Sentenza n. 93 del 1975
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SENTENZA N. 93

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 217, secondo comma, e 219, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 10 febbraio 1972 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Bianchi Ennio, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 del 9 maggio 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 febbraio 1975 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di Ennio Bianchi, il pretore di Livorno ha sollevato, di ufficio, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 217, capoverso, e 219, ultimo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, recante "disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa".

Non vi é stata costituzione di parte privata.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri deducendo, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, l'infondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza di rimessione viene sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 217, secondo comma, e 219, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Si osserva al riguardo che la disposizione dell'art. 217, secondo comma, configurando la omessa o irregolare tenuta dei libri e delle altre scritture contabili, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, come reato di pericolo presunto, rispetto al quale non viene fatta "alcuna distinzione tra irregolarità meramente formali, che non creano ostacoli alla ricostruzione dell'attivo é del passivo, e irregolarità sostanziali che creino un danno ai creditori", sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, per cui a situazioni oggettivamente diverse dovrebbe corrispondere un trattamento differenziato. Con lo stesso principio contrasterebbe altresì la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 219, ove é prevista la riduzione della pena fino ad un terzo quando il fatto abbia cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, perché, secondo il giudice a quo, detta attenuante non potrebbe applicarsi nel caso in cui "la tenuta irregolare delle scritture contabili non abbia cagionato alcun danno ai creditori".

2. - Le questioni sono entrambe infondate. L'art. 217 della vigente legge fallimentare sanziona l'obbligo legale dell'imprenditore di tenere i libri e le scritture contabili, la cui inosservanza, collegata al fallimento, dà luogo ad un reato di pericolo presunto, ed é punita per se stessa, indipendentemente dalle conseguenze dannose che ne possano derivare. Questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare al riguardo che l'articolo 217 "prende in considerazione un'unica o unitaria situazione di fatto (della quale fa parte integrante ed essenziale la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore commerciale), e per essa opera una unitaria previsione del fatto come reato, e delle sanzioni penali" (sentenza n. 110 dell'anno 1972).

 

Deve d'altra parte rilevarsi che nello stesso art. 217 la pena edittale della reclusione é prevista nella misura "da sei mesi a due anni", rimettendo al potere discrezionale del giudice la sua determinazione concreta, secondo i criteri enunciati dagli artt. 132 e 133 del codice penale; e che inoltre le disposizioni dell'art. 219 consentono l'applicazione di aumenti e diminuzioni con riguardo alle circostanze aggravanti ed attenuanti, offrendo al giudice la possibilità di una equa graduazione anche in rapporto alla entità del danno patrimoniale eventualmente prodotto dalla cosiddetta bancarotta semplice documentale. É infine superfluo ripetere che l'attenuante prevista dal terzo comma dell'art. 219 per il caso di danno di speciale tenuità deve essere a maggior ragione applicata, come la Corte di cassazione ha affermato nella sua giurisprudenza, quando risulti non esservi stato alcun danno per i creditori.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 217, secondo comma, e 219, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata dall'ordinanza di cui in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1975.