Sentenza n. 34 del 1975
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SENTENZA N. 34

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott- Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 9 gennaio 1963, n. 9 (Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 1972 dalla Corte suprema di cassazione - sezione seconda civile - nel procedimento civile vertente tra Pezzoli Ernesta e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 298 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 254 del 27 settembre 1972.

Visti gli atti di costituzione di Pezzoli Ernesta e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1974 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

uditi gli avvocati Paolo Barile e Franco Agostini, per Pezzoli Ernesta, e l'avv. Giovanni Battista Rossi Doria, per l'INPS.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento civile iniziato nei confronti dell'INPS dalla coltivatrice diretta Ernesta Pezzoli per ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità, la Corte di cassazione, con ordinanza 2 maggio 1972, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dell'art. 5 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, sul riordinamento delle norme di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri.

La norma denunciata prevede, tra l'altro, che, ai fini del raggiungimento dei requisiti minimi di contribuzione, possano essere computati, "per ciascun anno, non più di 156 contributi giornalieri per gli uomini e non più di 104 contributi giornalieri per le donne ed i giovani".

Secondo il giudice a quo, l'assicurata, nella specie, non avrebbe potuto far valere il prescritto ammontare complessivo di 520 contributi, ma solo 414 (pur avendone versati 579 e cioé 240 per il 1959, 102 per il 1960, 133 per il 1961 e 104 per il 1965).

Afferma l'ordinanza che non sussisterebbe alcuna ragione giustificatrice della suindicata discriminazione, basata soltanto sul sesso.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

La parte privata si é ritualmente costituita ed ha chiesto che la questione sia dichiarata fondata, deducendo che la norma censurata sarebbe ingiustamente restrittiva e disincentivante del lavoro. Né avrebbe alcun rilievo l'analoga limitazione discriminatoria dettata dal successivo art. 9, secondo comma, della stessa legge del 1963, che atterrebbe soltanto all'accredito dei contributi e, non avendo effetto retroattivo, sarebbe, comunque, inapplicabile al caso di specie.

L'INPS si é costituito con deduzioni con le quali, pur chiedendo che si provveda come di giustizia, prospetta l'infondatezza della questione.

Al riguardo, sostiene che l'art. 5 della legge del 1963, lungi dal realizzare un pregiudizio nei confronti della donna lavoratrice, valuterebbe, invece, i suoi contributi in misura superiore rispetto all'uomo. Assume, in particolare, che, a seguito dell'estensione dell'assicurazione obbligatoria ai lavoratori agricoli autonomi, varrebbero ora, per questi ultimi, i medesimi criteri di contribuzione assoluta e di contribuzione relativa, previsti per i lavoratori agricoli dipendenti.

Da tali criteri risulterebbe una più favorevole considerazione della lavoratrice agricola, che potrebbe raggiungere l'ammontare dei contributi per lei richiesti nell'anno con due soli contributi giornalieri per settimana, a differenza de1 lavoratore agricolo di sesso maschile che, allo stesso fine, avrebbe, invece, bisogno di tre contributi giornalieri.

La difesa dell'Istituto precisa, infine, che la norma denunziata fisserebbe il limite di valutazione dei contributi al solo scopo del conseguimento del diritto alla pensione e non riguarderebbe il suo ammontare, che verrebbe, invece, determinato computando tutti i contributi, in qualsiasi tempo e misura accreditati alle singole posizioni assicurative.

La difesa della parte privata ha depositato memoria nella quale esprime l'avviso che la norma denunziata sarebbe illegittima in riferimento non solo al principio di eguaglianza, ma anche agli artt. 36 e 38 Cost., i cui precetti sarebbero specificazione del suddetto principio. A tale più ampio esame si dovrebbe pervenire in sede di interpretazione dell'ordinanza di rimessione o, in difetto, con separata questione da sollevare incidentalmente nell'attuale giudizio da questa Corte.

Nel merito osserva che non avrebbero rilievo i chiarimenti forniti dalla difesa dell'INPS sul diverso meccanismo contributivo per l'uomo e per la donna, dato che rimarrebbe pur sempre la sostanziale ingiustizia della posizione delle lavoratrici, che, pur avendo versato un numero di contributi eguale a quello di altro lavoratore, potrebbero rimanere escluse dalla tutela previdenziale.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza di rimessione dubita della conformità agli artt. 3 e 37 Cost. dell'art. 5 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, perché esigendo, ai fini del riconoscimento a pensione dei coltivatori diretti e dei mezzadri e coloni, requisiti di contribuzione annua diversi, a seconda che si tratti di lavoratori oppure di lavoratrici, avrebbe posto in essere una disparità di trattamento esclusivamente in ragione del sesso.

2. - La difesa della parte privata sostiene che la censura dovrebbe riguardare anche gli artt. 36 e 38 Cost., deducendo che il riferimento sarebbe concettualmente compreso nell'ordinanza di rimessione per essere i relativi precetti una specificazione del principio di eguaglianza e che, in ogni caso, nessun ostacolo processuale impedirebbe alla Corte di sollevare d'ufficio la relativa questione.

É, tuttavia, da obiettare che, avendo il giudice a quo prospettato la violazione della parità tra lavoratori e lavoratrici - quale é sancita dagli artt. 3 e 37 Cost. - nell'esclusivo ambito della stessa categoria dei lavoratori agricoli autonomi, non potrebbe, comunque, tenersi conto degli altri due precetti costituzionali. L'ordinanza, infatti, ritiene vulnerato il principio di eguaglianza esclusivamente in relazione alla pretesa difformità di disciplina, in ragione del sesso, tra coltivatori diretti, mezzadri e coloni, per quanto concerne il diritto alla pensione, senza alcun riguardo a una disparità con la posizione previdenziale di altre categorie di lavoratori.

Non rileva, quindi, l'assunto che gli artt. 36 e 38 Cost. implicitamente postulino il rispetto dell'eguaglianza quanto alla proporzione tra lavoro svolto e trattamento economico e quanto al diritto alla previdenza sociale.

3. - Nel merito, é da osservare che, sebbene l'art. 5 della legge n. 9 del 1963 regoli con norme diverse, per gli uomini e per le donne, i requisiti per il conseguimento della pensione, il divieto di computare per le donne più di 104 contributi giornalieri per ciascun anno - il che é oggetto specifico della sollevata questione - corrisponde all'analogo divieto di computo per gli uomini di un numero di contributi eccedente i 156. Il differente ammontare della contribuzione annuale massima consentita per maturare la pensione trova, d'altra parte, la sua ratio nel minor numero di contributi richiesti per le pensioni di vecchiaia e di invalidità della donna (rispettivamente 1560 e 520) nei confronti di quelle dell'uomo (2340 e 780), nonché nel differente limite di età (55 anni) che la stessa norma pone per la pensione di vecchiaia della donna rispetto a quello (60 anni) che é previsto per l'uomo.

Tenuto complessivamente conto di tale disciplina, la disposizione denunziata non può dirsi in contrasto né col principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., né con quello di parità di diritti del lavoratore e della lavoratrice di cui all'art. 37 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 9 gennaio 1963, n. 9 (Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO -  Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE -  Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 25 febbraio 1975.