Sentenza n. 17 del 1975
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SENTENZA N. 17

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 13 giugno 1961, n. 528, contenente provvedimenti concernenti la zona industriale di Ravenna, e degli artt. 2, terzo comma, e 3 della legge 23 febbraio 1967, n. 104, contenente norme interpretative ed integrative della predetta legge, promossi con due ordinanze emesse il 3 ottobre 1972 dalla Corte di appello di Bologna nei procedimenti civili riuniti vertenti tra la società Industria Sgiba AG. in Italia, la società azionaria Porto industriale di Ravenna, la società Bonifica di Porto Corsini e Baldi Luigi, iscritte ai nn. 400 e 401 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 del 7 febbraio 1973.

Visti gli atti di costituzione delle società SGIBA, SAPIR, Bonifica di Porto Corsini e di Baldi Luigi, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 novembre 1974 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi l'avv. Carmelo Carbone, per la società SGIBA e per Baldi Luigi, l'avv. Amedeo Fiore, per la società Bonifica di Porto Corsini, l'avv. Pietro Rescigno, per la società SAPIR, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile di 2 grado, tra la società SGIBA e la società azionaria Porto industriale di Ravenna (avente ad oggetto determinazione di indennità espropriativa) e di altro analogo procedimento tra Luigi Baldi, la s.p.a. Porto industriale di Ravenna e la società Bonifica di Porto Corsini, l'adita Corte di appello di Bologna, con ordinanze di identico contenuto emesse il 3 ottobre 1972, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art.3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma terzo, e 3 della legge 23 febbraio 1967, n. 104 ("Norme integrative ed interpretative della legge 13 giugno 1961, n. 528" sulla industrializzazione di Ravenna), nella parte in cui, rispettivamente, dispongono, l'art. 2, che l'indennità di espropriazione per le opere pubbliche occorrenti per l'ampliamento, sistemazione e attrezzatura del porto canale Corsini e per l'annessa zona di sviluppo industriale in Ravenna "sarà ragguagliata al valore venale dei terreni riferito a sei anni prima dell'entrata in vigore della legge 1961, n. 528" e, l'art. 3, che la norma innanzi riportata abbia efficacia retroattiva (alla data dell'entrata in vigore della legge 1961 su citata).

2. - Con le stesse ordinanze é stata pure prospettata, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge n. 528 del 1961, "in quanto non prevedono un limite temporale per l'esercizio delle opere di cui all'art. 1, ma affidano la prefissione dei termini all'autorità amministrativa".

3. - Ritualmente notificate, comunicate e pubblicate le ordinanze indicate ed instaurati i relativi giudizi innanzi alla Corte, si sono in questi costituite la SAPIR (Società azionaria porto industriale di Ravenna), che ha concluso in via preliminare, per l'irrilevanza e, nel merito, per l'infondatezza della sollevata questione, la s.p.a. SGIBA che ha, invece, concluso per la declaratoria di illegittimità delle norme impugnate, subordinatamente all'affermazione di irrilevanza della questione; e la s.p.a. Bonifica di Porto Corsini che ha puntualmente condiviso le argomentazioni e le conseguenti conclusioni delle ordinanze di rimessione.

4. - É intervenuta (nel secondo procedimento) anche la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura di Stato, che ha sostenuto la piena legittimità delle norme denunziate.

Considerato in diritto

 

1. - É sollevata questione di legittimità - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - degli artt. 2, comma terzo, e 3 della legge 23 febbraio 1967, n. 104, in quanto prevedono che, con effetto retroattivo alla data dell'entrata in vigore della legge 13 giugno 1961, n. 528, l'indennità di espropriazione per le opere pubbliche occorrenti per la sistemazione del porto Corsini di Ravenna e dell'annessa zona industriale venga "ragguagliata al valore venale dei terreni, riferito a sei anni prima dell'entrata in vigore della legge 1961, n. 528" e, cioé, alla data del 22 luglio 1955.

La normativa impugnata avrebbe, secondo il giudice a quo, carattere innovativo rispetto all'art. 4 della precedente su citata legge del 1961, la quale riportava, invece, la determinazione della indennità anzidetta al momento dell'esproprio (con la prescrizione soltanto di prescindere da ogni incremento di valore che si fosse verificato o potesse verificarsi "in dipendenza di opere pubbliche e di ogni altra operazione che si riconnetta, comunque, all'impianto ed alla sistemazione della zona di sviluppo industriale e del porto").

Sulla base di tale premessa, la violazione del principio di uguaglianza é, in particolare, fatta discendere da ciò che, per effetto della disposta retroattività, la nuova e - secondo la Corte di Bologna - più sfavorevole normativa si applicherebbe alle espropriazioni anteriori, di cui fosse tuttora in corso il procedimento di determinazione dell'indennità, e non anche alle parallele vicende espropriative, in cui l'indennizzo fosse, invece, già divenuto definitivo.

Si realizzerebbe, in tal modo, una ingiustificata disparità di trattamento, nell'ambito di situazioni sostanzialmente identiche, in quanto verrebbero valutati con criteri diversi beni esistenti nella medesima zona e già espropriati al momento dell'entrata in vigore della legge 1967, n. 104 cit., in dipendenza del solo fatto di essere o meno divenuta definitiva, in tale data, la determinazione della relativa indennità.

2. - Sul punto della rilevanza della sollevata questione, va innanzi tutto, superata l'eccezione, formulata (dalle società SAPIR e SGIBA) sul rilievo che le disposizioni denunziate non si applicherebbero alle fattispecie che formano oggetto dei giudizi a quibus, atteso che l'eccezione anzidetta presuppone una interpretazione del testo normativo diversa da quella adottata nelle ordinanze di rimessione, e che appare corretta.

Privo di consistenza é poi anche l'altro motivo di irrilevanza (prospettato dalla SAPIR) basato sull'assunto di una "sostanziale corrispondenza, sul piano della realtà di fatto, dei valori dei terreni espropriati nel 1961 e nel 1955 (data di riferimento della legge 1967, n. 104)": in quanto trattasi di assunto enunciato soltanto nella impugnata sentenza di primo grado e non condiviso dalla Corte di appello, alla cui ordinanza di rimessione occorre, invece, avere riguardo.

3. - Nel merito va preliminarmente puntualizzato l'ambito della questione. Questa, secondo la prospettazione del giudice a quo, concerne - come si é detto - il solo profilo di contrasto con il precetto di uguaglianza e non investe (come, con inammissibile estensione, vorrebbe, invece, la società SGIBA) anche l'illegittimità in via autonoma dell'art. 2, comma terzo, legge 1967, n. 104, sotto il profilo della irrisorietà del ristoro per l'ampiezza della dissociazione temporale tra il momento dell'esproprio e quello di valutazione della relativa indennità.

4. - Nei termini così delineati, la questione non é fondata.

Può prescindersi qui dall'esaminare se la disciplina risultante dalla normativa denunziata sia, effettivamente, innovativa o abbia, invece - come sostenuto dalla società SAPIR - carattere meramente interpretativo della precedente legge del 1961.

Anche a ritenere, infatti, che la disposizione dell'art. 2 legge 1967 cit. abbia contenuto innovativo, non per questo essa sarebbe illegittima per la sua retroattività, sotto il profilo - cui esclusivamente occorre riferirsi - prospettato nell'ordinanza di rimessione.

Tale profilo - che non investe il problema se la retroattività di una norma possa, ed in che limiti, incidere su diritti quesiti - é, si ripete, quello soltanto della disparità di trattamento tra soggetti espropriati anteriormente alla legge 1967, secondo che, al momento dell'entrata in vigore di questa, risultino o non definitivamente indennizzati. Ora é evidente che la discriminazione di trattamento così denunziata non dipende già da una disciplina differenziata delle situazioni comparate sibbene dalla circostanza di fatto (esterna alla previsione normativa) dell'esservi o meno al momento dell'entrata in vigore della disciplina legislativa de qua un giudizio in corso nel quale essa possa trovare applicazione.

In altri termini, la inapplicabilità della legge 1967, n. 104 nelle ipotesi in cui la determinazione dell'indennità, ai sensi della precedente legge 1961, n. 528, fosse divenuta definitiva per mancata opposizione alla stima o per esaurimento del relativo giudizio discende da principi di carattere generale (alla stregua dei quali assume rilevanza il dato di fatto del non esservi in corso, per alcuni casi, una controversia sulla misura della indennità) e non si riconnette al precetto della legge impugnata.

Questa, per ciò, sfugge alla censura di legittimità, sotto tale profilo, rivoltale.

5. - Non fondata é anche l'ulteriore questione - sollevata con le stesse ordinanze in epigrafe indicate - di legittimità, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, degli artt. 2 e 3 della legge n. 528 del 1961 "in quanto non prevedono un limite temporale per l'esecuzione delle opere di cui all'art. 1, ma affidano la prefissione dei termini all'autorità amministrativa".

Erroneamente, invero, il giudice a quo richiama - a sostegno della formulata ipotesi di incostituzionalità - la precedente sentenza n. 90 del 1966 di questa Corte.

L'affermazione - in tale pronunzia racchiusa - che "l'indicazione dei termini non può essere idonea ad assicurare la garanzia voluta dalla Costituzione, se non in quanto sia contenuta nella stessa legge" é, infatti, riferita alla sola - peculiare - ipotesi di legge che autorizzi l'espropriazione di singoli beni individualmente determinati.

Nelle ipotesi, invece - come quelle di specie - di legge di carattere generale dichiarativa della pubblica utilità di intere categorie di opere, la stessa sentenza innanzi menzionata chiarisce come l'indicazione del termine legittimamente si riconnetta al primo atto amministrativo della procedura espropriativa che in concreto segue alla declaratoria astratta e generale di pubblica utilità delle opere indicate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma terzo, e 3 della legge 23 febbraio 1967, n. 104, contenente norme interpretative ed integrative della legge 13 giugno 1961, n. 528, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Bologna con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 13 giugno 1961, n. 528, contenente provvedimenti concernenti la zona industriale di Ravenna, sollevata, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, con le ordinanze medesime.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1975.