Sentenza n. 256 del 1974
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SENTENZA N. 256

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1462, primo comma, del codice civile, promossi con ordinanze emesse il 15 giugno ed il 27 aprile 1972 dal tribunale di Milano in due procedimenti civili vertenti tra la società Industria Italiana Imballaggi e Trossi Vittoria, iscritte ai nn. 353 e 412 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 del 6 dicembre 1972 e n. 48 del 21 febbraio 1973.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Trossi Vittoria;

udito nell'udienza pubblica del 2 ottobre 1974 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Kenato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento civile vertente tra Trossi Vittoria e la s.r.1. Industria Italiana Imballaggi, il tribunale di Milano ha sollevato, di ufficio, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1462, primo comma, del codice civile, in riferimento agli artt.3 e 24 della Costituzione.

Identica questione di legittimità costituzionale é stata successivamente proposta dal tribunale di Milano in altro giudizio vertente tra le medesime parti.

Si é costituita in entrambi i giudizi di legittimità costituzionale Trossi Vittoria, deducendo la irrilevanza e, in subordine la infondatezza della questione proposta.

É altresì intervenuto in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri egualmente deducendo l'infondatezza della questione proposta

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le ordinanze di rimessione, di contenuto sostanzialmente identico, viene sollevata di ufficio la questione d legittimità costituzionale dell'art. 1462, primo comma, del cc dice civile, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. La norma denunciata, riconoscendo la validità ed efficacia della clausola limitativa dell'opponibilità di eccezioni da parte d uno dei contraenti - normalmente inclusa nei contratti in cui le condizioni vengono predeterminate dal contraente più forti sul piano giuridico ed economico - sanzionerebbe sotto di versi profili una situazione di disparità e diseguaglianza d fatto tra le parti, che mediante l'inserzione di tale clausole verrebbe "trasfusa nel sinallagma contrattuale".

La norma sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, sancito dal primo comma dell'art. 3 della Costituzione in quanto consentirebbe "la prevalenza di un cittadino su un altro solo a causa della loro differente potenza di fatto"; ed ancor più con il disposto del secondo comma dello stesso art. 3, in quanto permetterebbe di "consolidare e perpetuare situazioni di predominio e di privilegio economico, che urtano palesemente con uno sviluppo dell'eguaglianza reale dei cittadini".

La clausola contestata e la norma che l'ha recepita determinerebbero una situazione di diseguaglianza anche sotto un altro aspetto, perché il contraente abbiente che sottoscriva detta clausola non avrà difficoltà ad adempiere la propria prestazione o ad affrontare il giudizio senza temerne le conseguenze economiche, né a proporre un giudizio per far valere le sue pretese nei confronti della controparte; mentre il contraente non abbiente sarà indotto a pagare per evitare un giudizio e non subire una condanna, senza avere i mezzi necessari per promuovere a sua volta una causa.

I motivi per cui questa Corte ha riconosciuto la incostituzionalità dell'istituto del solve et repete nei rapporti tra cittadino contribuente e Stato, dovrebbero a maggior ragione valere per la sua applicazione nel campo contrattuale, ove esso é rivolto a tutelare "semplici interessi di privati nei confronti di altri privati del tutto eguali fra loro sul piano giuridico".

Infine le ordinanze rilevano che la norma denunciata, "istituzionalizzando il potere di un soggetto di limitare la tutela dei diritti competenti alla controparte in base al contratto stipulato, costituisce la fonte primaria della limitazione stessa", e pertanto si porrebbe in contrasto anche con il principio sancito dal primo comma dell'art. 24 della Costituzione.

2. - I due giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Deve essere preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza, dato che entrambe le ordinanze di rinvio contengono ampia e congrua motivazione sia sull'ammissibilità dell'appello proposto contro le due sentenze del pretore, sia sulla conseguente rilevanza della questione ai fini della decisione dei giudizi di appello, con valutazioni di rito e di merito non sindacabili in questa sede.

3. - La questione non é fondata. Giova anzitutto rilevare che la "clausola limitativa della proponibilità di eccezioni", oggetto dell'art. 1462 del codice civile, ancorché comunemente indicata nella prassi come clausola o patto del solve et repete, si differenzia nettamente dall'istituto del solve et repete fiscale, sia quanto ai presupposti, sia quanto all'ambito di applicazione e alla natura degli effetti giuridici. Nel diritto tributario trattavasi di un principio legale, in base al quale la proponibilità dell'azione del soggetto passivo della pretesa fiscale, diretta a far dichiarare la illegittimità dell'atto di imposizione, veniva condizionata al preventivo pagamento del tributo, determinando così un vero e proprio difetto, sia pur temporaneo, di giurisdizione: e proprio per questo la Corte ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, con riguardo alla differenza di trattamento tra il cittadino in grado di pagare il tributo che gli fosse indebitamente imposto, e quello che, non avendo la materiale disponibilità della somma pretesa dall'ente impositore, venisse privato della effettiva possibilità di chiedere ed ottenere la tutela giurisdizionale del proprio diritto.

La clausola disciplinata dall'art. 1462 del codice civile ha invece la sua fonte in un contratto liberamente stipulato, e precisamente in un contratto con prestazioni corrispettive; e, come risulta dalla collocazione della norma nella sez. I del capo XIV del quarto libro del codice, "Della risoluzione per inadempimento", ha il limitato effetto di escludere da parte del contraente convenuto per l'adempimento la proponibilità di determinate eccezioni "al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta". Pertanto come é stato dichiarato da autorevole giurisprudenza, la clausola in questione, operando sul terreno sostanziale dell'adempimento, non costituisce ostacolo al l'instaurarsi di un valido rapporto processuale, avendo solo l'effetto di consentire la pronta soddisfazione della pretesa creditoria della controparte senza far luogo all'esame delle eccezioni del debitore, le cui ragioni potranno essere fatte valere, anche nello stesso giudizio, dopo l'adempimento. Dovendosi escludere che la clausola limitativa dell'opponibilità di eccezioni determini difetto di giurisdizione, é evidente che la disposizione dell'art. 1462 del codice civile non comporta negazione o inammissibile compressione del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dal primo comma dell'art. 24 della Costituzione.

4. - La clausola di cui si discute ha sicuro fondamento nel principio dell'autonomia negoziale, sancito dall'art. 1322 del codice civile e confermato dalla disposizione dell'art. 1372, per cui il contratto ha forza di legge tra le parti. Naturalmente l'autonomia é soggetta ai limiti stabiliti dalla legge, secondo l'espresso disposto dell'art. 1322, cui fa riscontro la disciplina costituzionale che garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata, indicandone al tempo stesso i precisi limiti. Ed infatti il legislatore, nel riconoscere la validità ed efficacia delle condizioni contrattuali che sanciscono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, ha richiesto che esse siano oggetto di espressa e specifica approvazione per iscritto (cfr. art. 1341, secondo comma, del codice civile), ed ha inoltre circoscritto il loro ambito di applicazione proprio con la norma dell'articolo 1462, escludendo che esse possano comunque estendersi I alle ecce ioni di nullità, di annullabilità, e di rescissione del contratto. Di più: per evitare l'eventualità di applicazioni abusive, con la norma del secondo comma dello stesso art. 1462, ha stabilito che anche nei casi in cui la clausola limitativa della proponibilità di eccezioni é efficace, il giudice, ove riconosca che concorrono gravi motivi, ha tuttavia il potere di sospendere la condanna, imponendo, se del caso, una cauzione.

Dal complesso di queste disposizioni risulta con chiara evidenza che la denunziata illegittimità dell'art. 1462 non sussiste. La circostanza che la clausola limitativa venga contrattualmente stabilita a carico di un solo dei contraenti, e sia generalmente predisposta dall'altro tra le condizioni generali di contratto, ha una precisa giustificazione, se si considera che essa é diretta ad assicurare la parte normalmente tenuta ad eseguire per prima la propria prestazione, circa il puntuale adempimento della prestazione corrispettiva della controparte, differito nel tempo. La clausola trova infatti e normale applicazione nei contratti di compravendita, di somministrazione, e di locazione immobiliare, nei quali siano accordate una o più dilazioni per il pagamento del prezzo, o stabiliti termini successivi per il pagamento delle singole somministrazioni, ovvero pattuito il regolare pagamento del canone secondo una determinata periodicità; ed ha precisamente lo scopo di garantire il venditore o fornitore, che ha consegnato la merce, e il locatore, che ha immesso il conduttore nel godimento della cosa locata, contro pretestuose eccezioni dilatorie o defatigatorie, intese a ritardare l'adempimento del corrispettivo pattuito e dovuto. La clausola, - come già si é accennato - non può estendere la propria efficacia nei confronti delle eccezioni di nullità o annullabilità del contratto, ossia concernenti il fatto costitutivo del rapporto, né nei confronti di quelle attinenti alle eventuali cause di rescissione del contratto, ossia alla sopravvivenza del vincolo obbligatorio, e nemmeno nei confronti di fatti estintivi estranei all'azione del sinallagma funzionale, ossia non dipendenti dal comportamento della controparte (pagamento ed altri modi di estinzione; prescrizione dell'azione): la sua validità ed efficacia é dunque configurabile solo nei confronti delle eccezioni aventi il loro fondamento nell'inesatto o imperfetto adempimento da parte dell'attore, cioè delle exceptiones inadimpieti, e più propriamente non rite adimpleti contractus.

5. - Così stando le cose, appare ingiustificato il rilievo delle ordinanze di rinvio, per cui "la clausola, formalmente introdotta dalla libera volontà delle parti, costituisce una imposizione derivante dalla differenza di forza economica e di contrattazione dei contraenti", e addirittura un "mezzo di tutela di specifici interessi sociali di gruppo". Per tacer dei rapporti commerciali, che si intrecciano tra soggetti appartenenti ad ogni ceto senza distinzioni di classe, anche i proprietari locatori di appartamenti non costituiscono ormai un gruppo sociale omogeneo, e tanto meno un gruppo privilegiato; né può dirsi che gli inquilini, oggetto della più ampia tutela nella vigente legislazione, siano sottoposti alle imposizioni vessatorie o arbitrarie dei locatori solo perché questi esigono il regolare pagamento dei fitti. Nella comune esperienza, una clausola diretta a garantire il puntuale pagamento dei canoni da parte del conduttore al quale sia stato concesso il pieno godimento dell'immobile locato, precludendogli la possibilità di rifiutare o differire tale pagamento resistendo all'azione del proprietario con eccezioni relative ad eventuali inconvenienti o difetti che pretenda di aver riscontrato nell'uso dei locali affittati, soddisfa una reale esigenza pratica di tutela contro inadempienze pretestuose, cavillose, defatigatorie; e, in quanto rivolta ad assicurare il corretto e tempestivo adempimento della prestazione corrispettiva del conduttore, lungi dal creare un'ingiusta disparità di trattamento, tende precisamente a mantenere quell'equilibrio delle posizioni contrattuali che l'inadempimento unilaterale romperebbe, tanto più che una domanda giudiziale di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni ben difficilmente consentirebbe al locatore di riacquistare in modo sollecito la disponibilità dell'immobile e di ottenere effettiva soddisfazione del suo credito.

6. - Gli argomenti addotti dalle ordinanze di rinvio, circa la pretesa violazione del principio di eguaglianza in relazione alla differente potenza di fatto o di forza economica delle parti contraenti, si rivelano non pertinenti, in quanto le preoccupazioni del tribunale di Milano circa la situazione di inferiorità del contraente meno abbiente di fronte a quello più facoltoso sono eliminate dalla considerazione dell'ampiezza del potere discrezionale che il legislatore ha attribuito al giudice con il secondo comma dello stesso art. 1462. Qualora riconosca la sussistenza di gravi motivi, il giudice può sempre sospendere la condanna, con o senza cauzione, nonostante la esistenza della clausola limitativa della proponibilità di eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta. Con questa disposizione il legislatore ha compiuto tutto quanto poteva per evitare che l'applicazione di tale clausola abbia mai a determinare effetti abnormi, iniqui, o gravemente lesivi della situazione di diritto o di fatto del contraente convenuto per l'adempimento: il giudice, nella libera valutazione del singolo caso concreto, potrà financo escludere l'applicazione della clausola, con una prudente decisione equitativa, prescindendo da ogni rigor iuris nell'apprezzamento della effettiva realtà del rapporto e della gravità delle rispettive inadempienze.

Anche sotto quest'ultimo profilo risulta confermata la infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dal tribunale di Milano.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1462, primo comma, del codice civile, sollevata con le ordinanze elencate in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 12 novembre 1974.