Sentenza n. 251 del 1974
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SENTENZA N. 251

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, del d.P.R. 5 giugno 196S, n. 749, - nella parte in Cui ai fini della liquidazione dell'indennità una tantum in luogo di pensione, ha riguardo agli emolumenti in vigore al 31 dicembre 1964, - promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 25 maggio 1972 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Scavo Maria contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 367 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 334 del 27 dicembre 1972;

2) ordinanza emessa il 10 gennaio 1973 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Neri Olga contro il Ministero del tesoro, iscritta al n. 402 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 314 del 5 dicembre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1974 il Giudice relatore Edoardo Volterra.

 

Ritenuto in fatto

 

Con due ordinanze emesse il 25 maggio 1972 ed il 10 gennaio 1973, la Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.2, comma secondo, del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, nella parte in cui ha riguardo alla liquidazione in favore del personale di ruolo dell'indennità una tantum in luogo di pensione con riferimento agli emolumenti pensionabili in vigore al 31 dicembre 1964, in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Accertata la rilevanza della questione, domandando le parti in entrambi i procedimenti la riliquidazione dell'indennità una tantum, la Corte osserva che in base alla disposizione denunziata le nuove misure degli stipendi conglobati ai sensi del d.P.R. n. 749 non vanno considerate ai fini del trattamento pensionistico del personale. Ciò mentre lo stesso art. 2, al primo comma, ha disposto che le nuove misure degli stipendi debbono essere considerate, fra l'altro, ai fini della liquidazione delle indennità di licenziamento che competono al personale statale non di ruolo, cui non é assicurata la quiescenza propria dei dipendenti di ruolo.

Questa differenza sembra in contrasto con i principi fissati nell'art. 3 della Costituzione che vuole sia garantito uguale trattamento per situazioni giuridiche identiche.

Considerata, infatti, in punto di quiescenza, la sostanziale identità di situazioni tra il dipendente non di ruolo di cui al primo comma dell'art. 2 del d.P.R. n. 749 e il dipendente che cessi dal servizio con diritto all'indennità una tantum di cui al secondo comma dell'articolo predetto, identità di situazioni ravvisabili nella stessa forma di quiescenza (somma corrisposta in unico ammontare) e determinata secondo un medesimo criterio (una mensilità lorda dello stipendio per ogni anno di servizio), non sarebbe sorretta da valido motivo logico la distinzione posta dal legislatore che ha disposto la liquidazione dell'indennità su base di stipendi differenti, per gli uni sugli stipendi vigenti al 10 marzo 1966, per gli altri sugli stipendi vigenti al 31 dicembre 1964.

Sotto altro profilo, inoltre, il secondo comma dell'art. 2 del d.P.R. n. 749 sembra porsi in contrasto con il dettato costituzionale.

Poiché con l'art. 36, primo comma, della Costituzione si dispone che al lavoratore sia assicurata una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, potrebbe quindi ragionevolmente presumersi che, nel rispetto del citato precetto costituzionale, il legislatore abbia ravvisato nell'importo dell'ultimo stipendio goduto una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della svolta attività lavorativa e non in quello percepito al 31 dicembre 1964.

Le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due giudizi di cui alle ordinanze in epigrafe vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza stante che sollevano uguali questioni di legittimità costituzionale in ordine alle medesime disposizioni di legge.

2. - Con le citate ordinanze la Corte dei conti solleva, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, nella parte in cui dispone la liquidazione in favore del personale di ruolo dell'indennità una tantum in luogo di pensione determinata in base agli emolumenti pensionabili in vigore al 31 dicembre 1964.

Secondo le ordinanze, la norma denunziata, disponendo al secondo comma, che "ai fini della liquidazione dei trattamenti ordinari di quiescenza, normali e privilegiati, continuano ad essere considerati gli stipendi, le paghe e le retribuzioni, nonché gli altri eventuali emolumenti pensionabili, in vigore al 31 dicembre 1964" porrebbe in essere, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, una disparità non razionale e giustificabile di trattamento fra il personale statale di ruolo e non di ruolo avente diritto all'indennità una tantum per cessazione dal servizio in luogo di pensione e quello statale non di ruolo per il quale, invece lo stesso art. 2 al comma primo dispone che le nuove misure degli stipendi debbano essere considerate fra l'altro, ai fini della liquidazione delle indennità di licenziamento.

La norma impugnata contrasterebbe inoltre con l'art. 36, comma primo, della Costituzione in quanto sarebbe presumibile che il legislatore abbia ravvisato nell'importo dello stipendio goduto alla data di cessazione dal servizio, una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta. Pertanto, considerando che il trattamento di quiescenza riveste carattere retributivo in quanto costituisce parte differita del compenso dovuto per il lavoro prestato, verrebbe meno per il personale statale di ruolo la proporzionalità fra retribuzione e conseguente trattamento di quiescenza.

3. - Con costante giurisprudenza la Corte ha affermato l'applicabilità dei principi sanciti dall'art. 36, comma primo, della Costituzione oltre che alla retribuzione spettante in attività di servizio, anche a quella differita spettante dopo la cessazione, precisando nelle sentenze nn. 57 e 82 del 1973 che rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore disporre in merito ai modi e alla misura del trattamento di quiescenza.

In applicazione dei concetti su esposti la Corte non ritiene fondato il dubbio di legittimità costituzionale del comma secondo dell'art. 2 del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, così come é prospettato dalle ordinanze in riferimento all'art. 36, comma primo, della Costituzione, rientrando la norma impugnata nella sfera discrezionale del legislatore ed essendo razionale che esso adotti, anche in relazione alle esigenze di bilancio, un criterio di gradualità nell'estendere al trattamento di quiescenza le maggiorazioni accordate per quello di attività, sempre che non s'incorra nella violazione dell'art. 38, secondo comma, che non é denunziato dal giudice a quo.

4. - Non sussiste, per quanto concerne la norma impugnata, la violazione del principio di uguaglianza, trattandosi di situazioni diverse ed essendo innegabili le differenze fra l'indennità una tantum e l'indennità di licenziamento, concernendo la prima una forma di trattamento di quiescenza e la seconda un mezzo per sovvenire alle esigenze del lavoratore nel periodo fra il licenziamento e un nuovo impiego ed essendo razionalmente giustificabile che di norma per dati rapporti sia dovuta un'indennità ancorata alla prestazione del servizio per un dato periodo e proporzionale all'ultima retribuzione del lavoratore e che per altri rapporti siano invece previste altre forme di trattamento economico e di indennità previdenziali, queste ultime diversamente calcolate.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, sollevate dalle ordinanze in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione nella parte in cui si ha riguardo alla liquidazione una tantum in luogo di pensione in rapporto agli emolumenti pensionabili in vigore al 31 dicembre 1964.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1974.