Sentenza n. 233 del 1974
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SENTENZA N. 233

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 44 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (Testo unico delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 3 maggio 1972 dal pretore di Ronciglione nel procedimento penale a carico di Carrano Italo, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 233 del 6 settembre 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Carrano Italo;

udito nell'udienza pubblica del 12 giugno 1974 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per Carrano Italo.

 

Ritenuto in fatto

 

Il prof. Italo Carrano, preside titolare della scuola media statale di Bassano Romano, sottoposto a procedimento penale dal pretore di Ronciglione per il reato di abuso di ufficio, per avere inflitto al prof. Mauro Sarnari, a scopo di ritorsione e senza rispettare le forme previste, una punizione non contemplata da leggi e regolamenti, chiedeva con apposita istanza di essere difeso dall'Avvocatura dello Stato. Su richiesta del Ministero della pubblica istruzione, l'Avvocatura generale dello Stato riconosceva l'opportunità che la difesa del prof. Carrano fosse assunta dall'Avvocatura, a norma dell'art. 44 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611.

All'udienza, il pretore di Ronciglione, accogliendo una eccezione del difensore del prof. Sarnari, costituitosi parte civile, con ordinanza 3 maggio 1972, ha proposto questione di legittimità costituzionale del citato art. 44, deducendo la violazione:

a) del principio di eguaglianza, sia perché la norma impugnata, utilizzando il parametro vietato delle "condizioni personali e sociali" assicura agli impiegati ed agenti dello Stato la difesa gratuita che é invece negata ad altri cittadini; sia perché tale prestazione dell'Avvocatura, rimessa alla discrezionalità della pubblica Amministrazione, costituisce un ulteriore elemento di discriminazione nell'ambito di una medesima situazione;

b) dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione in quanto affida la difesa dell'imputato a un organo dello Stato, anche quando possano sussistere ipotesi di conflitto di interesse;

c) dell'art. 24, terzo comma, della Costituzione, in quanto assicura la difesa gratuita anche a persone che non siano non abbienti.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituito il prof. Carrano ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri: entrambi sono rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con deduzioni distinte, ma di identico contenuto, chiede che la Corte dichiari infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal pretore di Ronciglione osserva l'Avvocatura che la norma impugnata pone tre condizioni per l'assunzione della difesa del dipendente nei giudizi civili e penali: che essi concernano fatti o cause del servizio; che la richiesta provenga dall'Amministrazione di appartenenza a ciò sollecitata da una espressa domanda dell'interessato; che l'Avvocato generale dello Stato riconosca l'opportunità della difesa. Queste tre condizioni, tra loro collegate da un nesso di interdipendenza, consentirebbero di individuare il fondamento della norma (che va ravvisato nel rapporto di immedesimazione organica tra dipendente ed Amministrazione pubblica) e di conseguenza il duplice scopo del citato art. 44: quello di assicurare ogni possibile difesa dell'ente pubblico che potrebbe essere pregiudicato dall'eventuale condanna del funzionario (art. 28 Cost.), e quello di garantire al funzionario stesso la fattiva solidarietà dell'ente nelle controversie occasionate dall'attività di servizio.

Sulla base di queste considerazioni, l'Avvocatura ritiene che siano destituite di ogni fondamento le questioni di legittimità costituzionale proposte dal giudice a quo. Ed invero, per quanto riguarda la dedotta violazione del principio di eguaglianza, l'Avvocatura sostiene che la limitazione della categoria dei beneficiari della norma, predeterminata dalla legge in base alle finalità da essa perseguite, sia oggettivamente e razionalmente giustificata e che il potere discrezionale attribuito alla P. A. in ordine all'assunzione della difesa, sia fondato sulla esigenza di escludere in concreto quel conflitto di interessi tra il funzionario e l'amministrazione che pure in via ipotetica é stato invocato dal pretore di Ronciglione a sostegno della violazione del diritto di difesa. Ma anche sotto tale profilo la impugnazione della norma sarebbe priva di consistenza, perché il patrocinio dell'Avvocatura può essere concesso solo su richiesta dell'interessato, il quale perciò é pienamente libero di affidare la propria difesa a un professionista di sua fiducia.

Per quanto infine riguarda il contrasto della norma impugnata con il terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, l'Avvocatura rileva che il dettato costituzionale non esclude che le norme particolari assicurino la difesa in giudizio anche a categorie di persone diverse dai non abbienti.

All'udienza di discussione, l'Avvocatura si é riportata alle deduzioni scritte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Viene deferita alla Corte questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, recante il testo unico delle leggi sull'Avvocatura dello Stato.

Dispone il detto articolo che l'Avvocatura assume la rappresentanza e la difesa degli impiegati ed agenti delle amministrazioni dello Stato e di altre amministrazioni pubbliche nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio, qualora ne facciano richiesta (s'intende, oltre all'interessato,) le amministrazioni o gli enti, e l'Avvocatura generale dello Stato ne riconosca l'opportunità.

Questo articolo, secondo il pretore di Ronciglione, sarebbe in contrasto con i seguenti articoli della Costituzione:

a) art. 3, perché accorda ai dipendenti pubblici, e con decisione discrezionale, la difesa dell'Avvocatura dello Stato, di cui non godono tutti gli altri cittadini;

b) art. 24, secondo comma, perché, nonostante il conflitto di interessi, accorda la difesa dei dipendenti pubblici, imputati di aver violato norme di legge, a un organo dello Stato, che é tutore dell'ordinamento;

c) art. 24, terzo comma, perché assicura la difesa gratuita, prevista per i non abbienti, ai dipendenti pubblici che tali non sono.

2. - Le questioni non sono fondate.

Sul primo punto si osserva che tra tutti i cittadini da una parte e coloro fra essi che siano pubblici dipendenti, vi é una posizione ovviamente differenziata proprio dal rapporto di dipendenza e di immedesimazione organica che questi hanno con lo Stato e che conferisce loro un particolare status' costituito da un complesso di diritti e di doveri.

Né può introdurre fattori di diseguaglianza (in ogni caso incidenti solo nei rapporti dei dipendenti pubblici fra loro) la discrezionalità riservata all'amministrazione e alla stessa Avvocatura nel concedere o nel negare la difesa dell'apposito organo statale al dipendente che ne faccia richiesta.

La discrezionalità delle relative decisioni, la quale é connaturale all'azione amministrativa e che, ben lungi dall'essere arbitrio, é persino soggetta a sindacato giurisdizionale (art. 113 Cost.), é, nel caso, il mezzo per valutare gli elementi che giustifichino, in rapporto agli interessi pubblici, l'assunzione della difesa dei dipendenti da parte dell'organo dello Stato. Disamina, questa, che non attiene soltanto al presupposto, pur richiesto, che il dipendente abbia agito non per un fine personale, bensì per uno compreso in quelli istituzionali della Pubblica Amministrazione, ma che é anche finalizzata in rapporto alla responsabilità che allo Stato può derivare dall'azione del dipendente, ai sensi dell'art. 28 della Costituzione.

3. - Sul secondo punto non si può consentire con la tesi dell'ordinanza di rimessione, secondo la quale lo Stato, cui compete la tutela dell'ordinamento, non potrebbe, senza tradire tale suo compito, provvedere alla difesa di chi é accusato di aver violato la legge penale.

In proposito si osserva in via generale che tale posizione é concettualmente errata, perché basata sul presupposto che lo Stato vada considerato sempre nella sua unità e non anche nella pluralità e nell'articolazione dei suoi poteri ed organi.

Comunque, il dipendente imputato, da non considerarsi colpevole, come ogni altro cittadino, se non dopo la sentenza definitiva (art. 27, comma secondo, Costituzione), deve essere difeso, ed é giusto che lo sia ad opera di un organo tecnico specializzato dello Stato quando l'azione incriminata é da lui compiuta nell'ambito dei suoi poteri e per fini che si riconoscano fra quelli della Pubblica Amministrazione, la cui volontà é da lui espressa, in base al rapporto organico che ad essa lo lega.

Può aggiungersi che il potere discrezionale che all'amministrazione compete, attraverso gli organi propri e quelli dell'Avvocatura, di concedere o negare la difesa, mira proprio a valutare l'opportunità della concessione e risolve, anche in questa sede, le questioni che possano insorgere sul tema di quei paventati contrasti.

Se poi, in concreto, un contrasto di interessi si manifestasse, in sede processuale, fra le posizioni dello Stato e quelle del dipendente statale, di cui l'Avvocatura dello Stato ha assunto la difesa, e tale contrasto fosse così grave da far temere che l'imputato non potesse essere adeguatamente difeso in piena libertà morale dall'avvocato da quell'organo assegnatogli come difensore, il giudice non mancherebbe di rilevarlo ed emetterebbe in proposito le disposizioni previste dall'art. 133, primo comma, del codice di procedura penale, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte 27 novembre 1959, n. 59.

4. - Sul terzo punto, che lamenta come, a mezzo dell'intervento dell'Avvocatura, si accordi al dipendente la difesa gratuita che l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, assicura ai non abbienti, deve rilevarsi come questa norma non escluda affatto che determinati soggetti, indipendentemente dalle loro condizioni economiche, possano essere difesi ad opera della stessa Avvocatura quando, ovviamente, ricorrano motivi razionali che giustifichino la concessione di tale forma di assistenza.

Del che, nel caso, si é già sufficientemente discusso, allorché si é posto in rilievo che lo Stato, difendendo il dipendente, difende anche se stesso, perché si tutela, in forma preventiva, in rapporto alla responsabilità civile cui é tenuto per le azioni da quello compiute in violazione di diritti di terzi (art. 28 Costituzione).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (contenente il testo unico sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), sollevata, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1974.