Sentenza n. 219 del 1974
 CONSULTA ONLINE 


 

SENTENZA N. 219

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 2 agosto 1967, n. 799 (Modifiche al testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvato con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, e successive modifiche), promosso con ordinanza emessa il 4 agosto 1972 dal pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Peracci Francesco e Berti Alessandro, iscritta al n. 370 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 334 del 27 dicembre 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 giugno 1974 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 4 agosto 1972 il pretore di Firenze ha promosso un secondo giudizio incidentale di legittimità costituzionale nei riguardi dell'art. 8 della legge 2 agosto 1967, n. 799, già impugnato con precedente ordinanza 24 marzo 1970. Anche la nuova ordinanza é stata pronunciata nel procedimento vertente tra Peracci Francesco e Berti Alessandro avente ad oggetto l'accertamento della validità di un contratto stipulato il 27 giugno 1967 con il quale il primo acquistava per cinque anni il diritto di cacciare in fondo chiuso di proprietà del secondo, diritto che non fu possibile poi esercitare a causa del divieto di caccia in fondo chiuso comminato dalla norma impugnata.

Il pretore - dopo aver ricordato che la Corte nell'ordinanza n. 153/1971 ha limitato l'esame della questione unicamente in riferimento all'art. 44 Cost., essendo stati genericamente formulati gli altri motivi di incostituzionalità - osserva che il divieto di caccia introdotto dalla norma si appalesa in contrasto

a) con l'art. 44 Cost., giacché esso espone i raccolti ai danni arrecati dalla selvaggina e perciò si risolve in un danno per la proprietà;

b) con gli artt. 1, 4, 35, 44, 46 e 47 Cost., in quanto mortifica fortemente l'attività produttiva diretta alla creazione e gestione di allevamenti di animali per uso venatorio o per finalità commerciale;

c) con l'art. 42 Cost. perché, dovendosi gli animali considerare di proprietà del proprietario del fondo, il divieto di caccia si risolve nell'annullamento del diritto di proprietà;

d) con gli artt. 42 e 43 Cost. perché l'intervento dei comitati provinciali di caccia per la cattura degli animali esistenti nei fondi chiusi realizza una espropriazione mobiliare su beni fungibili non prevista dalla Costituzione e per di più senza indennizzo per il proprietario espropriato.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato, con atto depositato in cancelleria il 5 dicembre 1972. Si é anche costituita, ma fuori termine, la parte Peracci Francesco con deposito di memoria difensiva in data 4 febbraio 1974.

Rileva preliminarmente l'Avvocatura l'inammissibilità delle questioni sollevate per irrilevanza delle stesse rispetto al giudizio sottoposto all'esame del pretore. Questi, invero, é chiamato a decidere sulla validità di una convenzione intervenuta il 26 giugno 1967, avente ad oggetto la cessione di diritti di caccia per il quinquennio 1967-1971. Una eventuale pronuncia d'incostituzionalità della norma impugnata renderebbe questa non più applicabile dal giorno successivo alla pronuncia, ma non spiegherebbe alcun effetto nel giudizio a quo nel quale il giudice non é chiamato ad applicare l'art. 8 della legge n. 799 del 1967, ma deve solo tenerne conto per giudicare sulla domanda dell'attore il quale pretende la restituzione della somma anticipata a titolo di corrispettivo della cessione di diritti di caccia non potuti esercitare a seguito del divieto introdotto dalla norma.

Passando al merito l'Avvocatura osserva che il divieto di caccia introdotto dalla norma denunciata anche a carico del proprietario del fondo chiuso non contrasta con l'art. 44 che tutela la piccola e media proprietà.

Questo precetto ha un carattere chiaramente programmatico che assegna al legislatore l'indirizzo di non emanar leggi che tendano a deprimere o danneggiare la piccola e media proprietà. L'art. 8 si applica indistintamente a tutte le proprietà, quale ne sia la dimensione; il suo contenuto non incide sul diritto di proprietà bensì sul diritto di caccia del proprietario dando ad esso la stessa regolamentazione del diritto di caccia degli altri cacciatori non proprietari terrieri. D'altra parte se il proprietario ritiene che il divieto danneggi le sue colture egli potrà non esercitare lo ius prohibendi ovvero chiedere l'intervento del comitato provinciale per far catturare gli animali che arrecano danno.

Neppure fondata é la seconda questione in quanto la creazione e gestione di allevamenti di selvaggina non sono affatto preclusi dalla norma denunciata, ma solo subordinati al rilascio di apposite concessioni del resto richieste anche dalla precedente normativa.

Infondato é anche il terzo motivo di incostituzionalità che denuncia la lesione del diritto del proprietario sugli animali rinchiusi nel suo fondo. A parte il fatto che la selvaggina é da considerarsi res nullius l'esclusione operata dalla legge riguarderebbe una intera categoria di beni: spetterà quindi alla giurisprudenza stabilire quale sia il modo d'acquisto della proprietà degli animali selvatici ancora ammissibile dopo le innovazioni legislative introdotte nel 1967: certo é che dette innovazioni non hanno annullato il diritto di proprietà sulla selvaggina mansuefatta o catturata poiché lo stesso art. 8 ammette l'allevamento a scopo ornamentale della selvaggina.

Ricorda, infine, l'Avvocatura che l'intervento del comitato della caccia può avvenire solo "su richiesta dei proprietari interessati" che vogliano far catturare la selvaggina esistente nel fondo il che sta a significare che, non essendovi stata già cattura da parte del proprietario, non é a parlarsi di acquisto di proprietà per via di occupazione.

Conclude l'Avvocatura chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità per difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 2 agosto 1967, n. 799 - che sancisce il divieto di caccia e uccellagione in fondo chiuso anche a carico del proprietario - , osservando che il pretore, chiamato a decidere della validità di un contratto stipulato tra le parti nel 1967 e scaduto nel 1971, non deve fare applicazione della norma impugnata al rapporto controverso, ma solo tener conto del divieto di caccia in fondo chiuso dalla stessa introdotto per statuire sulla domanda dell'attore intesa ad ottenere la restituzione della somma anticipata a titolo di corrispettivo della cessione di diritti di caccia non potuti esercitare a causa del divieto.

L'eccezione non é fondata. Risulta chiaramente dagli atti di causa che la convenzione 27 giugno 1967 avente ad oggetto la cessione di diritti di caccia, rimasta in sospeso a seguito della proibizione di legge, riprenderà efficacia in caso di accoglimento della sollevata eccezione di incostituzionalità con uno spostamento temporale della sua attuazione. L'accordo delle parti al riguardo emerge da una specifica offerta in tal senso avanzata dal convenuto (comparsa del 15 ottobre 1969) espressamente accettata dall'attore (comparsa di replica del 5 marzo 1970) e lo stesso pretore, del resto, non ha mancato di osservare in proposito nella sua ordinanza che il mantenimento della validità della convenzione resta "subordinato alla verifica della legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 2 agosto 1967, n. 799".

É quindi fuor di dubbio la persistente rilevanza della proposta questione nel giudizio pendente dinanzi al giudice a quo.

2. - Prima di scendere all'esame delle varie censure di incostituzionalità é d'uopo ricordare alcuni principi enunciati da questa Corte in tema di diritto di caccia. É stato affermato che questo diritto non ha carattere patrimoniale, ma costituisce un aspetto del diritto di libertà e che la cosiddetta libertà di cacciare non é costituzionalmente garantita, ma é una facoltà soggetta a disciplina pubblicistica la quale si articola in un complesso di limiti e divieti volti a tutelare l'incolumità personale, a proteggere la fauna e a garantire le colture e i prodotti dei fondi (sent. 50 del 1967; ord. 153 del 1971 e sent. 93 del 1973).

Ora é appunto in questa normativa che va inquadrata la disposizione contenuta nell'art. 8 della legge n. 799 del 1967 la quale sancisce il divieto di caccia ed uccellagione nei fondi chiusi anche nei riguardi del proprietario del fondo. Con tale divieto, che costituisce una limitazione della facoltà di esercitare la caccia, il legislatore ha voluto evitare che il proprietario potesse di fatto costituire una riserva nel proprio fondo chiuso senza assumerne gli obblighi e gli oneri relativi. Si é peraltro in tal modo realizzata una equiparazione di trattamento tra cacciatori proprietari e non proprietari per quanto attiene l'esercizio dell'attività venatoria.

3. - La prima censura mossa alla norma in esame é che il divieto pone i raccolti alla mercé della selvaggina e si risolve quindi in un danno per la proprietà, donde il contrasto con l'art. 44 della Costituzione.

L'eccezione non é fondata. Il legislatore non ha mancato di considerare tale eventualità e, all'uopo, nello stesso articolo, ha disposto che il Comitato provinciale della caccia competente per territorio, su richiesta dei proprietari interessati, effettua le catture di selvaggina necessarie per la protezione delle colture. Esiste dunque un puntuale precetto per impedire i danni che possono derivare da un notevole addensamento di animali selvatici in fondi chiusi e prive di rilievo sono le lagnanze formulate in ordine alla tempestività ed adeguatezza degli interventi dei Comitati, giacché esse non riguardano il contenuto e l'idoneità della norma allo scopo, ma denunciano carenze della sua applicazione.

Del pari infondata é la seconda eccezione secondo cui la disposizione impugnata contrasterebbe con gli artt. 1, 4, 35, 44, 46 e 47 Cost. in quanto inciderebbe notevolmente sull'attività produttiva diretta alla creazione e gestione di allevamenti di animali per uso venatorio e per finalità commerciali. Gli ultimi due commi dell'art. 8 prevedono, infatti, espressamente le facoltà in favore dei proprietari di fondi chiusi di costituirli in riserva privata o allestirvi allevamenti di selvaggina con le modalità e alle condizioni stabilite dalla legge.

Altri motivi di incostituzionalità sono stati, in fine, formulati in riferimento agli artt. 42 e 43 della Costituzione. Muovendo dalla premessa che gli animali selvatici da piede in un fondo chiuso sono da considerarsi di proprietà del titolare del fondo il pretore ritiene che il divieto di caccia comporterebbe l'annullamento di tale diritto, mentre la cattura degli animali da parte dei Comitati provinciali della caccia realizzerebbe una forma di espropriazione senza indennizzo.

Anche queste censure non sono fondate. La Corte ha già avuto occasione di affermare che il legislatore può regolare in modo particolare il contenuto del diritto di proprietà quando ciò sia fatto per un'intera categoria di beni e per fini di interesse generale (sent. 55 del 1968). Queste condizioni ricorrono entrambe nel caso in esame e perciò non può parlarsi di espropriazione senza indennizzo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 2 agosto 1967, n. 799, contenente "Modifiche al testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvato con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016 e successive modifiche", sollevata, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dal pretore di Firenze in riferimento agli artt. 1, 4, 35, 42, 43, 44, 46 e 47 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1974.