Sentenza n. 112 del 1974
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SENTENZA N. 112

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 631, ultimo comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 novembre 1971 dal pretore di Locri nel procedimento di esecuzione penale a carico di Ceravolo Pietro Domenico, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 22 marzo 1972;

2) ordinanza emessa il 14 luglio 1972 dal pretore di Locri nel procedimento di esecuzione penale a carico di Prochilo Vincenzo, iscritta al n. 20 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 1974 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il pretore di Locri con due ordinanze di identico contenuto ha sollevato d'ufficio nel corso dei procedimenti di esecuzione penale a carico rispettivamente di Ceravolo Pietro Domenico e Prochilo Vincenzo, questione di legittimità costituzionale dell'art. 631, ultima parte, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, prima parte, 13, prima e seconda parte, e 24, seconda parte, della Costituzione.

Si afferma nelle ordinanze di rimessione che la norma impugnata, non riconoscendo effetto sospensivo al ricorso per cassazione proposto avverso l'ordinanza con cui il giudice decide l'incidente di esecuzione ed attribuendo al giudice stesso un potere discrezionale di sospensione, violerebbe il principio di eguaglianza in quanto la discrezionalità del potere riconosciuto al giudice potrebbe in concreto portare a disparità di trattamento tra cittadini che si trovino in identiche situazioni. La garanzia costituzionale della libertà personale sarebbe a sua volta lesa dalla deroga, contenuta nella disposizione impugnata, al principio generale che l'impugnazione ha effetto sospensivo. Infine sarebbe menomato anche il diritto di difesa, dovendo questo essere inteso non solo in senso formale, ma anche nel senso sostanziale di ottenere, mediante l'impugnazione, la sospensione del provvedimento impugnato.

Nessuna delle parti private si é costituita innanzi a questa Corte.

É intervenuto in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l'infondatezza della questione proposta.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le ordinanze di rimessione, di identico contenuto, viene sollevata di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 631, ultimo comma, del codice di procedura penale. La disposizione, in base alla quale il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero o dagli interessati contro l'ordinanza con cui il giudice penale decide su un incidente di esecuzione, non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, potendo tuttavia il giudice stesso provvedere alla sospensione dell'esecuzione con proprio decreto, sarebbe viziata da incostituzionalità sotto un triplice profilo, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, primo e secondo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.

I due giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - La questione non é fondata. Quanto al primo profilo, viene osservato che il potere di sospendere l'esecuzione dell'ordinanza, conferito al giudice dell'esecuzione, può dar luogo a disparità di trattamento tra situazioni soggettive identiche, in base ad una "valutazione sommamente discrezionale, non sottoposta a sindacato alcuno e sfornita di rimedio giuridico". Questa Corte ha già ripetutamente dichiarato che l'attribuzione al giudice di un potere discrezionale non comporta di per sé violazione del principio di eguaglianza (cfr. sentenze n. 88 del 1962; nn. 25, 92 e 95 del 1967): occorre infatti distinguere tra il momento legislativo ed il momento applicativo delle norme, sostanziali o processuali, e considerare che la funzione di adattamento al singolo caso - la quale trova peculiare espressione in materia penale nel potere del giudice di fissare la pena tra il minimo e il massimo edittale - tende precisamente ad attuare il principio di eguaglianza, con riguardo alla particolarità di ciascun caso concreto. Non é dato escludere che il potere discrezionale di valutazione possa esplicarsi talvolta in modo erroneo o addirittura ingiusto: ma questa é una eventualità inevitabile del momento applicativo, non un vizio di legittimità della norma che in via generale attribuisce il potere, senza porre alcuna discriminazione soggettiva. Nella fattispecie normativa in oggetto, inesattamente si denuncia la mancanza di rimedio giuridico contro il decreto di sospensione dell'esecuzione, perché anche questo provvedimento, in quanto con esso il giudice decida sulla libertà personale, é sempre soggetto a ricorso per cassazione, à sensi dell'art. 190, secondo comma, del codice di rito penale, come modificato dalla legge 18 giugno 1955, n. 517.

3. - La disposizione impugnata, "derogando al principio generale che l'impugnazione ha effetto sospensivo, improntato all'inderogabile esigenza di assicurare sostanzialmente la libertà personale dell'individuo", comporterebbe una illegittima restrizione della libertà, in contrasto con i principi sanciti dall'art. 13, primo e secondo comma, della Costituzione. Il richiamo all'art. 13 non é pertinente, perché la garanzia costituzionale della inviolabilità della libertà personale consiste nel divieto di qualsiasi restrizione che possa essere disposta fuori dei casi e modi previsti dalla legge, e senza atto motivato dell'autorità giudiziaria: ma non richiede tuttavia che detta restrizione possa verificarsi solo in base a provvedimento definitivo, dopo l'esperimento d'ogni possibile gravame. L'istituto della esecuzione provvisoria trova applicazione non solo nel processo civile, ma anche nel processo penale. La disposizione dell'art. 205 del codice di procedura penale, che sancisce il normale effetto sospensivo dell'impugnazione "salvo che la legge disponga altrimenti", é certamente ispirata al favor libertatis, ma non esclude tuttavia eccezioni che abbiano particolare giustificazione, come quella per cui il ricorso per cassazione dell'imputato avverso l'ordine o mandato di cattura, consentito dall'art. 263 bis, non ne sospende tuttavia l'esecuzione.

Anche nella disposizione denunciata l'esclusione dell'effetto sospensivo appare pienamente giustificata, trattandosi del procedimento per la decisione sugli incidenti di esecuzione, da parte del giudice competente a provvedere circa l'esecuzione penale; deve aggiungersi che la esecutività dell'ordinanza può operare non solo a danno ma anche a vantaggio del soggetto interessato, come nel caso di ordinanza che abbia disposto la liberazione del condannato, contro la quale sia stato proposto ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero (cfr. art. 578 codice di procedura penale).

Nelle fattispecie sottoposte alla decisione del giudice a quo, dovevasi precisamente disporre la revoca della sospensione condizionale della pena o di altri benefici à sensi dell'art. 590 del codice di procedura penale, e la conseguente esecuzione di pene detentive a suo tempo applicate con sentenze passate in giudicato; talché, anche sotto questo profilo, appare evidente la insussistenza di qualsiasi contrasto con il principio dell'inviolabilità della libertà personale.

4. - Viene infine denunziata la violazione del diritto di difesa, inteso in senso non solo formale ma anche sostanziale, quale diritto "di ottenere, mediante l'impugnazione, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, e quindi di attendere, senza che nel frattempo si possa determinare una situazione pregiudizievole per il condannato, una decisione definitiva, che eventualmente riconosca a costui, ove esistenti, le proprie ragioni". Ma la garanzia della piena tutela giurisdizionale, sancita dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, non comporta come necessaria conseguenza la inammissibilità di qualsiasi restrizione della libertà personale prima di una decisione definitiva; e ciò tanto più in sede di esecuzione penale, quando trattisi, come nei casi di specie, dell'esecuzione di pene detentive già irrogate con sentenze costituenti giudicato. La esecutorietà del provvedimento di cui é questione non integra di per sé alcuna violazione del diritto di difesa; e d'altra parte ad evitare il verificarsi di situazioni irreparabilmente pregiudizievoli per il condannato soccorre proprio il potere conferito al giudice dallo stesso art. 631, di sospendere con decreto l'esecuzione della propria ordinanza. Di tale potere ben avrebbe potuto avvalersi il pretore di Locri nei casi sottoposti al suo esame, concernenti due condannati, uno dei quali solo ora chiamato a scontare una condanna a dieci giorni di reclusione inflittagli nel lontano 1916 col beneficio della sospensione condizionale, e l'altro, attualmente ricoverato in manicomio giudiziario, colpito anch'esso dalla revoca della sospensione condizionale o del condono relativamente a condanne pronunciate or sono più di vent'anni. Erano questi casi tipici di esercizio del potere discrezionale di sospensione dell'esecuzione, idonei precisamente a dimostrare l'opportunità del regime normativo stabilito con la disposizione impugnata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 631, ultimo comma, del codice di procedura penale, sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, primo e secondo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere                            

 

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1974.