Sentenza n.88 del 1974
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SENTENZA N. 88

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218; dell'art. 82 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797; e dell'art. 16 del d.l.lgt. 9 novembre 1945, n. 788 (pagamento di somma aggiuntiva per omesso versamento di contributi delle assicurazioni sociali), promosso con ordinanza emessa il 27 giugno 1972 dal pretore di Civitavecchia nel procedimento penale a carico di Tartaglini Aldo, iscritta al n. 303 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972.

Visti l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Tartaglini Aldo;

udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1974 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi gli avvocati Paolo Roscioni e Antonio Cochetti, per il Tartaglini, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Tartaglini Aldo imputato di diversi reati concernenti l'omesso versamento di contributi previdenziali, il pretore di Civitavecchia, con ordinanza emessa il 27 giugno 1972, ha impugnato dinanzi alla Corte costituzionale gli artt. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, e 16 del d.l.lgt. 9 novembre 1945, n. 788 (i quali prevedono che il datore di lavoro inadempiente all'obbligo del versamento dei contributi delle assicurazioni sociali é tenuto al pagamento in favore dell'INPS dei contributi evasi e di una somma aggiuntiva pari a quella dovuta) per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 23, 24, primo comma, e 27 della Costituzione.

L'ordinanza di rimessione rileva che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, la sanzione della somma aggiuntiva, prevista dalle norme impugnate, deve essere applicata automaticamente, prescindendo sia dall'effettiva sussistenza ed entità del danno, sia dalla domanda giudiziale della parte interessata.

Ne deriva che le norme denunciate appaiono in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione perché creano una particolare situazione di privilegio a favore dell'INPS rispetto a tutti gli altri soggetti di diritti patrimoniali nascenti da fatti illeciti commessi in loro pregiudizio; con l'art. 23 Cost., laddove consentono al giudice penale di condannare al pagamento dei contributi e delle somme aggiuntive senza la domanda dell'Istituto e con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, in quanto l'applicazione automatica delle sanzioni civili non consente ai datori di lavoro inadempienti di svolgere le loro difese nel caso in cui l'inadempimento o il ritardo nel versamento dei contributi sia stato determinato dalla impossibilità della prestazione per causa a loro non imputabile.

Le norme in esame, inoltre, sembrano anche in contrasto con l'art. 27 della Costituzione, laddove consentono la condanna della persona fisica del legale rappresentante di un ente o di una società, avente personalità giuridica, al pagamento di un debito altrui, ossia di un debito dell'ente o della società rappresentata qual'é quello relativo al pagamento dei contributi evasi e della somma aggiuntiva.

L'ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata a norma di legge.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto in giudizio chiedendo che siano dichiarate infondate le denunciate questioni di legittimità costituzionale.

L'Avvocatura ritiene che i dubbi prospettati dal pretore di Civitavecchia siano destituiti di ogni fondamento perché con la sentenza n. 76 del 1966 la Corte costituzionale ha già chiaramente e compiutamente esaminato i profili di legittimità costituzionale dedotti nella ordinanza di rimessione. Ed invero, la qualifica di sanzione amministrativa attribuita alla somma aggiuntiva dalla citata sentenza, da un lato escluderebbe che possa essere invocato il principio di eguaglianza, perché verrebbero poste a raffronto situazioni del tutto diverse, e dall'altro renderebbe pienamente legittimo quel principio della officialità, non esplicitamente disposto sul piano normativo ma ripetutamente affermato e giustificato dalla Corte di cassazione, anche a sezioni unite, in base al quale il datore di lavoro inadempiente viene condannato non solo alle pene previste dalla legge ma anche al pagamento di contributi e della somma aggiuntiva.

Anche la dedotta violazione dell'art. 27 della Costituzione sarebbe, secondo l'Avvocatura, priva di fondamento perché la norma costituzionale invocata si riferisce esclusivamente alla responsabilità penale e non riguarda affatto la disciplina sanzionatoria di natura amministrativa regolata dalle disposizioni impugnate. Comunque anche se si volesse avere riguardo alla ammenda, pure prevista dalle norme in esame, non sussisterebbe nessuna violazione del precetto costituzionale, perché é del tutto normale e ragionevole che ad incorrere nella responsabilità penale sia l'organo che ha la legale rappresentanza della persona giuridica che ha omesso di versare i contributi.

A sostegno delle censure prospettate nella ordinanza di rimessione, si é costituito in giudizio il sig. Tartaglini, che, con atto di deduzioni del 13 ottobre 1972, ha illustrato e ribadito le ragioni esposte dal giudice a quo, chiedendo che la Corte dichiari la illegittimità costituzionale delle norme denunciate.

3. - L'Avvocatura dello Stato e la difesa del Tartaglini hanno presentato memorie, in cui hanno sviluppato le rispettive argomentazioni, insistendo nelle proprie conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Civitavecchia denunzia alla Corte le seguenti norme sull'INPS e precisamente:

l'art. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, in materia di pensioni di invalidità e vecchiaia;

l'art. 82 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, in materia di assegni familiari;

l'art. 16 del d.l.lgt. 9 novembre 1945, n. 788, in materia di Cassa integrazione guadagni.

La censura é limitata alla parte in cui i detti articoli, ciascuno in riferimento alla materia disciplinata, stabiliscono che il datore di lavoro, in caso di omesso o ritardato versamento dei contributi, é tenuto al pagamento di una somma aggiuntiva di importo pari ai contributi omessi.

Le norme che si assumono violate sono quelle di cui agli artt. 3, comma primo, 23, 24, comma primo, e 27 della Costituzione.

I profili delle varie questioni, che sono tutte non fondate, sono di seguito distintamente esposti con le relative osservazioni.

2. - Secondo l'ordinanza, per ciò che concerne il pagamento della somma aggiuntiva, sarebbe fatto all'INPS, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, un trattamento privilegiato rispetto a tutti gli altri soggetti titolari di diritti nascenti da illecito, in quanto alla condanna al pagamento di quella somma si perviene ex officio, e cioè, senza costituzione di parte civile, senza domanda di parte e senza che ci sia o sia comunque richiesto o dimostrato esistente un danno, e il tutto ad opera del magistrato, che é tenuto a provvedervi nel processo penale da instaurarsi contro il datore di lavoro per il reato contravvenzionale cui il mancato pagamento dei contributi dà luogo. Il che andrebbe vagliato anche in rapporto al fatto che i diritti dell'INPS, se sono, come sono, soggetti a prescrizione, dovrebbero poter essere azionati soltanto ad istanza di parte.

Si osserva in proposito che le situazioni giuridiche messe a raffronto - quella degli altri soggetti rispetto all'INPS - sono differenziate, in quanto l'INPS é un ente pubblico, che assolve una pubblica funzione in materia di previdenza, curando il soddisfacimento di interessi costituzionalmente protetti (art. 38 Cost.).

Relativamente all'obbligo del pagamento della somma aggiuntiva, dovuta anche quando l'omissione cui si ricollega non ha prodotto danno, si osserva che, con sentenza di questa Corte n. 76 del 1966, detta somma é stata qualificata come sanzione amministrativa, tra i cui scopi, quello volto a risarcire un danno, non appare né unico né essenziale. Deve anche osservarsi che manca ogni connessione fra la prescrittibilità di un diritto e l'esercizio ex officio o a domanda di parte dell'azione che da esso deriva. Del che é riprova che anche le azioni penali sono soggette a prescrizione.

3. - Secondo la stessa ordinanza, l'azione di recupero della somma aggiuntiva, come degli interessi moratori, esercitata dal giudice penale ex officio nel processo per la contravvenzione di cui si é detto, ostacolerebbe, o renderebbe almeno più difficile, la difesa del datore di lavoro che non potrebbe adeguatamente giustificare le cause dell'omissione o del ritardato pagamento dei contributi, e ciò in violazione del diritto di difesa, tutelato dall'art. 24 della Costituzione.

Ma é ovvio osservare in contrario che il datore di lavoro non può trovarsi in condizione di minorata difesa solo perché l'azione di recupero dei contributi, somma aggiuntiva e interessi moratori, viene esercitata ex officio in connessione con quella penale e si svolge in unico processo, perché egli, nel proporre le sue difese, può esporre le proprie ragioni sia sul presupposto unico delle due azioni costituito dal mancato pagamento dei contributi assicurativi e sia sugli aspetti peculiari pertinenti a ciascuna di esse, ammesso che ve ne siano.

4. - Le censure dell'ordinanza concernenti gli artt. 23 e 27 della Costituzione non sono precisate né appaiono ben precisabili. Comunque, ove, in riferimento all'art. 23, si volesse dedurre che la somma aggiuntiva costituisce una prestazione imposta e che mancherebbero le condizioni che ne legittimino l'imposizione, dovrebbe opporsi che ciò non sarebbe esatto, perché chiaramente rispettata quella basilare costituita dalla riserva di legge.

Quanto poi all'art. 27 che, per altro, riguarda la materia penale, la questione sorge da un mero errore di interpretazione delle norme denunziate; le quali, secondo l'ordinanza, consentirebbero che, se datore di lavoro inadempiente sia una persona giuridica, la condanna al pagamento della somma aggiuntiva e degli interessi moratori farebbe carico, al pari di quello dell'ammenda, al legale rappresentante di essa in persona propria anziché nel nome. Il che é del tutto inesatto, essendo ovvio che il rappresentante legale di una persona giuridica, relativamente ad un fatto contemplato dalla legge come reato, é tenuto a sottostare in proprio alle conseguenze penali solo per fatto proprio e non risponde che nel nome per quanto riguarda quelle civili o amministrative riferibili alla persona giuridica rappresentata.

Nel caso di cui al giudizio di merito, il presidente dell'ente di che trattasi risponderà perciò soltanto per l'ammenda, mentre il pagamento dei contributi omessi, quello degli interessi, come della somma aggiuntiva, spetterà all'ente.

Se poi il giudice avesse in proposito diversamente disposto, del suo errore, riparabile con i comuni rimedi giurisdizionali, non potrebbe farsi carico alla norma, ma alla sua errata interpretazione e nessuna questione di costituzionalità potrebbe porsi.

5. - Infine va osservato esser priva di giuridico fondamento anche la generica censura con la quale si lamenta la carenza nel giudice penale, che pur gradua le pene, di un potere di riduzione della somma aggiuntiva, di cui é invece fornito il Comitato esecutivo, e cioè un organo dell'INPS. Al riguardo si rileva che il potere riduttivo di che trattasi costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, la quale é ordinariamente di spettanza proprio della pubblica amministrazione e non del potere giudiziario.

Le questioni proposte vanno pertanto dichiarate non fondate.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, e 16 del d.l.lgt. 9 novembre 1945, n. 788, tutte in materia di previdenza sociale; questioni proposte, con l'ordinanza in epigrafe, dal pretore di Civitavecchia, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 23, 24, comma primo, e 27 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 marzo 1974.