Sentenza n. 76 del 1974
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SENTENZA N. 76

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 314/4, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1971 dal tribunale per i minorenni di Messina nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore Arcidiacono Marisa, iscritta al n. 20 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 dell'8 marzo 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1974 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il tribunale per i minorenni di Messina, nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore Arcidiacono Marisa, dato atto che la madre di costei, unica sua parente, era fisicamente e psichicamente minorata in modo grave e non in grado quindi di provvedere all'assistenza della figlia, con ordinanza del 13 novembre 1971, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 314/4 del codice civile (inserito nel detto codice con l'art. 4 della legge 5 giugno 1967, n. 431), nella parte in cui esclude la dichiarazione dello stato di adottabilità quando lo stato di abbandono del minore sia dovuto a forza maggiore.

Secondo il tribunale la norma predetta, la quale testualmente stabilisce che "sono dichiarati in stato di adottabilità... i minori di età inferiore agli otto anni privi di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore", escluderebbe tassativamente nella specie la dichiarazione di adottabilità, trattandosi di una ipotesi in cui ovviamente lo stato di abbandono dipende da forza maggiore. La situazione del minore abbandonato per malattia certamente o probabilmente insanabile, tuttavia, in nulla differirebbe, per quanto riguarda le conseguenze sulla di lui sfera affettiva e psichica, da quella del minore abbandonato volontariamente o colposamente e tratterebbesi, pertanto, di situazioni analoghe o identiche, le quali, come tali, non potrebbero essere disciplinate in modo antitetico, senza incorrere nella violazione del principio di eguaglianza che, invece, impone che a situazioni diverse debba applicarsi una disciplina diversa, onde evitare che si creino ingiustificate ed irrazionali sperequazioni. E ciò tanto più che, se pure nella ratio legis deve ritenersi presente anche l'esigenza di tutelare i diritti della famiglia di origine, oltre che l'interesse del minore, sarebbe evidente che, nel contrasto fra i due elementi, debba prevalere quest'ultimo.

Inoltre la norma impugnata contrasterebbe con l'art. 30 Cost. secondo cui "nel caso di incapacità dei genitori la legge provvede che siano assolti i loro compiti" senza alcuna discriminazione fra il caso in cui l'incapacità sia dovuta a forza maggiore e quello in cui dipenda da volontarietà o colpa.

Avanti alla Corte Costituzionale si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

L'Avvocatura afferma che l'adozione speciale di cui alla legge n. 431 del 1967, comportando il venir meno di ogni rapporto con la famiglia di origine, ha natura implicitamente sanzionatoria nei confronti dei genitori naturali che, non avendo adempiuto all'obbligo loro imposto dall'art. 30 Cost. di mantenere, istruire ed educare i figli, decadono dal corrispondente diritto. L'esclusione quindi della adottabilità nel caso previsto dalla norma impugnata, cioè nel caso di mancanza di qualsiasi responsabilità dei genitori naturali, sarebbe ampiamente giustificata e non potrebbe parlarsi di violazione del principio di eguaglianza, essendo oltretutto diversa obiettivamente la situazione del minore abbandonato per volontà o per colpa da quella del minore abbandonato per forza maggiore, dato che in questa seconda ipotesi non potrebbe ritenersi estinto un vincolo quanto meno affettivo con la famiglia di origine.

Neppure sussisterebbe il denunziato contrasto con l'art. 30 Cost., in quanto l'adozione speciale non costituisce l'unico strumento per ovviare alla mancata osservanza dei doveri dei genitori verso i figli, ben potendo giovare altri istituti, come l'adozione ordinaria, l'affiliazione o l'assistenza pubblica all'infanzia, e l'esclusione di alcune categorie di minori dall'adozione speciale non comporterebbe, quindi, la violazione della detta norma costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - La censura di illegittimità dell'art. 314/4 del codice civile in esame, essenzialmente si fonda sull'affermazione che la situazione di bisogno del minore abbandonato per comportamento comunque imputabile a coloro che sarebbero tenuti a prestargli assistenza non si differenzierebbe, nella sostanza, da quella del minore abbandonato invece per causa di forza maggiore, e sulla affermazione consequenziale che l'esclusione, in quest'ultima ipotesi, della applicabilità dell'istituto della adozione speciale, concreterebbe una discriminazione ingiustificata a danno di una categoria di minori abbandonati, priva, anche essa, di quell'assistenza materiale e morale che l'istituto in parola tenderebbe invece a garantire in ogni caso.

2. - Deve, peraltro, anzitutto osservarsi che la situazione del minore abbandonato, in relazione alla applicazione dell'istituto della adozione speciale, non può essere considerata indipendentemente da quello che é lo stato dei suoi rapporti con la famiglia di origine, dato che la legge 5 giugno 1967, n. 431, introduttiva dell'istituto dell'adozione speciale, se é certamente informata all'esigenza di sovvenire alle necessità dei minori abbandonati, ha altresì stabilito, proprio a garanzia della continuità del vincolo istituendo con la famiglia di adozione, una sostanziale cautela prima di sostituire definitivamente al nucleo familiare di origine, inefficiente, quello della famiglia adottiva. Dispone infatti l'art. 314/26 cod. civ. (inserito con la citata legge n. 431 del 1967): "con la adozione speciale cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali e le norme penali fondati sul rapporto di parentela". La presenza di questa grave conseguenza entra indubbiamente quale elemento essenziale nella valutazione della situazione del minore, ai fini della disciplina dell'adozione speciale, nel senso che non può, ovviamente, venire in considerazione soltanto la di lui necessità di assistenza, ma deve tenersi anche conto dell'esigenza, di evidente contenuto umano e sociale, di conservare sino al limite i legami naturali con la famiglia di origine.

Non risponde pertanto ad una necessità costante che, nel conflitto, gli interessi del minore debbano prevalere in modo assorbente su quelli della famiglia di origine.

Elemento determinante, ai fini della prevalenza fra l'esigenza di intervenire a favore del minore da una parte, e quella di salvaguardare i diritti della predetta famiglia, dall'altra, é stato razionalmente identificato, dal legislatore, nella esistenza di constatati motivi di forza maggiore alla base del comportamento omissivo. Motivi di tal natura, invero, che escludono la riferibilità dell'abbandono alla volontà degli obbligati, conferirebbero al previsto distacco definitivo, secondo la valutazione politico - sociale del legislatore, il carattere di un rigorismo eccessivo e, come tale, da respingere.

Tale orientamento, del resto, trova puntuale riscontro nella disciplina penalistica dell'abbandono di persone minori degli anni quattordici o comunque incapaci di provvedere a sé stessi, che costituisce il reato punito dall'art. 591 c.p., nel caso in cui il comportamento omissivo consegua a dolo, qualificando quindi definitivamente l'animo dell'autore, mentre non é punibile, appunto, nel caso di forza maggiore, a norma dell'art. 45 c.p., cioè quando l'omissione é di solito contingente e legata alla durata della forza maggiore. Tutto quanto premesso conduce sia a negare che, come si afferma nell'ordinanza di rinvio, possano considerarsi indiscriminatamente la situazione del minore abbandonato per forza maggiore e gli altri casi di abbandono volontario, e quindi ad escludere la pretesa omogeneità delle rispettive situazioni di cui invece si censura erroneamente la differente disciplina, sia ad affermare che questa differenziazione di situazioni ben possa essere sorretta da appagante motivazione, che garantisca la sussistenza o meno delle condizioni di ammissibilità o meno dell'istituto nei singoli casi. Questa posizione garantistica é affidata alla sagacia del giudice, ed agli strumenti indicati dalla legge per decidere cognita causa sulla sussistenza concreta delle predette condizioni desumibili direttamente o indirettamente anche dalle circostanze probatorie elencate nell'art. 314/11. Tanto che per dar modo di esprimere un ponderato giudizio, la legge prevede il ricorso a sospensioni di procedimento ed a proroghe di termini (art. 314/10).

3. - Parimenti non fondata é la questione sollevata in relazione al preteso contrasto della norma impugnata con l'art. 30, comma secondo, Cost., secondo cui nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. Ed invero, come questa Corte ha già affermato con la sentenza n. 158 del 1971, "la norma invocata non impone una disciplina unica ed unitaria in ordine ai doveri dei genitori verso i figli ed in ordine al caso della mancata osservanza degli stessi. É ben possibile, infatti, che sia pure rivolti a finalità concorrenti o comuni, coesistano istituti distinti, quali l'affidamento e l'affiliazione, le due forme di adozione e le norme circa l'assistenza pubblica alla infanzia abbandonata, ecc. e che la complessiva disciplina sia variamente articolata; e che nel campo specifico della adozione speciale, questa sia consentita alle condizioni ed entro i limiti risultanti dalle scelte discrezionali che il legislatore abbia posto in essere in modo adeguato e razionale". Questi motivi addotti nella precitata sentenza per escludere, in materia, che sussista violazione dell'art. 30, comma secondo, Cost. valgono anche per escluderla nel caso qui in esame.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 314/4 del codice civile sollevata, con l'ordinanza in epigrafe del tribunale per i minorenni di Messina, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere        

 

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1974.