Sentenza n. 67 del 1974
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SENTENZA N. 67

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI   

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli articoli 206, 208, 209, 227, 231 a 242 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte dirette), e dell'art. 51 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 20 luglio 1971 dal pretore di Cittadella nel procedimento civile vertente tra l'esattoria comunale di Cittadella, il Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento e il fallimento società Scapin Aldo, iscritta al n. 463 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 del 29 gennaio 1972;

2) ordinanza emessa il 7 luglio 1970 dal giudice del tribunale di Marsala delegato al fallimento Baiata Giovanni, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973;

3) ordinanza emessa il 19 ottobre 1972 dal tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra il fallimento Marzollo Attilio, l'esattoria delle imposte dirette di Venezia e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 28 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione del Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento, dell'esattoria comunale di Cittadella e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;

udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi;

uditi l'avv. Leopoldo Ermetes, per l'esattoria comunale di Cittadella, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento esecutivo immobiliare, determinato da surroga dell'esattoria comunale di Cittadella nell'espropriazione già iniziata presso il tribunale di Padova dal Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento nei confronti del fallimento società Scapin Aldo e fratello, il pretore di Cittadella ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli articoli da 231 a 242 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u. sulle imposte dirette), in riferimento agli artt. 24,25 e 102 della Costituzione.

Premette il giudice a quo di non ignorare le numerose decisioni della Corte costituzionale che hanno già sostanzialmente respinto la censura oggi riproposta, ma rileva che il caso di specie é diverso da quello già esaminato, giustificandosi quindi una nuova ordinanza di rimessione. Osserva infatti il pretore che nella specie si é verificata la sottrazione dei beni immobiliari alla competenza del tribunale - giudice dell'esecuzione in virtù dell'espropriazione speciale promossa ex art. 42 del t.u. 16 luglio 1905, n. 646, dal Consorzio nazionale per il credito agrario - ad opera dell'esattoria comunale che procede alla vendita immobiliare valendosi della speciale procedura che consente di operare in via sostanzialmente amministrativa, sotto il mero controllo esteriore del pretore, privo di funzioni giurisdizionali. Vi é quindi un conflitto tra due procedure speciali e non tra un procedimento speciale e quello ordinario, come nei casi già precedentemente esaminati dalla Corte costituzionale. L'incongruenza ed illegittimità delle norme censurate emergerebbe dalla considerazione che il sistema vigente prevede:

1) la competenza generale del giudice del fallimento sopra i beni del fallito;

2) la competenza del giudice dell'esecuzione anche sui beni del fallito in base alla procedura speciale ex art. 42 t.u. 16 luglio 1905, n. 646;

3) il diritto dell'esattore a sottrarre il bene al magistrato del fallimento o al giudice dell'esecuzione per venderlo direttamente innanzi al pretore, privo di funzioni giurisdizionali in proposito;

4) la restituzione delle somme ricavate a quei giudici perché vengano distribuite secondo il piano di riparto o lo stato passivo da essi redatto;

5) l'inutilità per l'esattore della vendita diretta se il titolo per cui ha agito non venisse riconosciuto valido dal giudice competente, presso cui deve intervenire per l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita.

Pertanto il giudice a quo ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale "delle norme che danno diritto all'esattore di effettuare atti di espropriazione anche quando esiste già una procedura innanzi all'autorità giudiziaria": invero tali disposizioni determinerebbero la sottrazione al tribunale, giudice naturale dell'espropriazione immobiliare, con menomazione della tutela giurisdizionale degli altri soggetti nei confronti dell'esattore procedente per la realizzazione di un credito anche proprio, in violazione, rispettivamente, degli artt. 102, primo comma, 24 e 25, primo comma, della Costituzione.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 18 febbraio 1972, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o l'infondatezza delle questioni sollevate.

Rileva la difesa dello Stato che il giudice a quo, pur intendendo impugnare le norme che consentono all'esattore di sottrarre i beni espropriandi al magistrato che é già investito delle funzioni di giudice dell'esecuzione dei beni stessi, ha in concreto denunciato gli artt. da 231 a 242 del t.u. sulle imposte dirette, i quali non pongono o presuppongono tale regolamentazione, ma concernono il procedimento di espropriazione immobiliare dell'esattore, coesista o meno tale procedura con altri procedimenti esecutivi individuali o concursuali. Da ciò conseguirebbe, secondo l'Avvocatura generale, l'inammissibilità della questione, per genericità di formulazione dell'ordinanza di rimessione. Qualora invece la Corte costituzionale ritenesse di poter dedurre i termini della questione dalla motivazione dell'ordinanza, individuando nella censura degli artt. 205 e 206 del citato t.u. l'oggetto della medesima, la questione proposta dovrebbe essere dichiarata manifestamente infondata perché già decisa dalla Corte costituzionale nel senso della infondatezza con le sentenze n. 95 del 1970 e n. 115 del 1967.

Si sono costituiti in giudizio l'esattoria consorziale delle imposte dirette di Cittadella ed il Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento, rappresentati e difesi, rispettivamente, dagli avvocati Pietro Centanini, Leopoldo Ermetes e Stefano Gullo, con atti depositati l'11 ottobre 1971 ed il 12 febbraio 1972, istando, la prima, per una pronuncia d'inammissibilità o manifesta infondatezza e chiedendo, il secondo, dichiarazione d'illegittimità delle norme denunciate.

La difesa dell'esattoria, dopo aver osservato che dalla natura sostanzialmente amministrativa della procedura esecutiva esattoriale svolta innanzi al pretore dovrebbe conseguire il difetto di legittimazione di quest'ultimo a sollevare questioni incidentali di legittimità costituzionale, rileva che le norme effettivamente impugnate sono costituite dagli artt. 205 e 206 t.u. n. 645 del 1958, già esaminate dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 95 del 1970 e n. 115 del 1967, e decise nel senso della infondatezza con motivazione rispondente alle argomentazioni del giudice a quo.

Soggiunge quindi l'esattoria che non é esatta la affermazione del pretore di Cittadella secondo cui la Corte costituzionale avrebbe esaminato il concorso della procedura esattoriale con quella ordinaria ma non con altra procedura speciale: invero la coesistenza della procedura esattoriale e di quella concorsuale fallimentare é già stata esaminata riconoscendosi la legittimità della prima che non determina ingiustificati privilegi né viola il principio della par condicio creditorum (sentenza n. 115 del 1967). Altrettanto può rilevarsi nei rapporti tra la procedura esattoriale e quella riservata agli istituti di credito fondiario in base al t.u. 16 luglio 1905, n. 646, giacché il Meliorconsorzio avrebbe potuto intervenire nella prima procedura ex art. 210 t.u. n. 645 del 1958, assicurandosi il concorso sul prezzo ricavato dalla vendita, o addirittura, qualora avesse voluto far valere la sua procedura, surrogarsi all'esattore in base all'art. 51 citato t.u. n. 646 del 1905. In tal caso l'esattore non avrebbe potuto opporsi ma avrebbe potuto soltanto intervenire in quella procedura per la realizzazione dei suoi crediti fiscali.

Conclude pertanto la difesa dell'esattoria di Cittadella per l'inesistenza di qualsiasi privilegio, richiamandosi, per la pretesa violazione degli artt. 25 e 102 dello Costituzione, alla costante giurisprudenza della Corte costituzionale.

La difesa del Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento rileva, sostanzialmente, che le norme impugnate disciplinano, in violazione degli artt. 24 e 25 della Costituzione, il concorso tra la procedura esattoriale e quella a favore degli istituti di credito fondiario, sacrificando, in concreto, i diritti degli istituti di credito attraverso i privilegi ingiustamente accordati agli esattori. É vero, infatti, che questi ultimi hanno utilità ad un rapido rientro delle somme anticipate all'erario, tuttavia, a differenza degli istituti di credito fondiario, pur essi miranti al raggiungimento di fini pubblici, non subiscono mai in proprio il danno per una eventuale non riscossione del tributo, giacché ottengono il rimborso dall'ente impositore. Inoltre gli esattori sono dei privati che agiscono per il loro interesse personale; la possibilità dell'esattore di procedere in proprio alla vendita anche dei beni immobili, sottraendoli al giudice competente per l'esecuzione, rappresenterebbe quindi un privilegio ingiustificato, in contrasto anche con l'art. 24 della Costituzione, quando si consideri che per la tutela di crediti pubblici ipotecari, quali quelli degli istituti predetti, l'analoga possibilità di subastazione diretta é concessa per i soli beni mobili, e che l'esattore dopo aver venduto il bene, non può conseguire il prezzo se non a seguito del giudizio da parte del giudice competente in ordine alla graduazione del suo credito.

La difesa del Meliorconsorzio prosegue quindi illustrando una serie di inconvenienti pratici derivanti dal sistema vigente, tendenti a porre in luce come la procedura esattoriale, anziché arrecare un vantaggio all'esattore, produce soltanto un danno agli altri creditori, consentendo una forma di vendita meno sicura ed efficace di quella prevista dalle altre procedure privilegiate. In conclusione, l'azione esattoriale verrebbe esercitata spesse volte, con pregiudizio degli altri creditori, per consentire all'esattore di dimostrare rapidamente l'inesigibilità del tributo al solo fine di ottenerne il rimborso dall'ente impositore.

2. - Il giudice del tribunale di Marsala, delegato al fallimento di Baiata Giovanni, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 51 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 - nella parte in cui consente la deroga al divieto delle azioni esecutive individuali durante la procedura fallimentare - e dell'art. 206, primo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, che autorizza l'esattore a procedere alla espropriazione anche in costanza di fallimento, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo di un ingiustificato privilegio attribuito alle esattorie e per il dubbio che la sottrazione dei beni espropriandi agli organi del fallimento violi il principio del giudice naturale.

Osserva il giudice a quo che la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 1967, con la quale analoga questione venne dichiarata non fondata, non ha eliminato gli inconvenienti ed i dubbi di legittimità nascenti dalla normativa impugnata. Invero la violazione del principio d'eguaglianza emergerebbe sia dalla considerazione che per altri crediti dello Stato, (come ad esempio per spese di giustizia in materia penale) non viene adottata alcuna procedura privilegiata, mentre per crediti esattoriali, eventualmente non più privilegiati per il tempo trascorso dalla loro maturazione, tale procedura é sempre ammessa con possibilità di riscossione in prededuzione, sia dal rilievo che all'esattore é attribuita una doppia strada per realizzare il proprio credito, esperibile congiuntamente o sussidiariamente: l'azione esecutiva autonoma e l'insinuazione al passivo fallimentare.

La violazione del principio del giudice naturale risulterebbe evidente, ad avviso del giudice a quo, sol che si consideri come l'interesse pubblicistico collegato al criterio della par condicio creditorum non può tollerare alcuna sottrazione di competenza agli organi del fallimento, che soli possono assicurare la concorsualità dell'esecuzione. Conseguirebbe da ciò l'illegittimità non del solo art. 206, citato t.u., relativo ai diritti dell'esattore, ma anche dell'art. 51 della legge fallimentare, che prevede deroghe a tali principi, anche per la parte non applicabile alla fattispecie sottoposta al tribunale di Marsala.

L'ordinanza di rimessione prosegue rilevando che il curatore non sempre interviene nell'esecuzione esattoriale; che non può ottenere la sospensione della medesima se non impegnandosi a versare l'intero ammontare del credito esattoriale; che l'esattore, una volta riscosso il credito, non si insinua al passivo fallimentare; che il pretore non può adeguatamente procedere a valutare la consistenza ed i privilegi dei crediti concorsuali prima che ciò sia avvenuto in sede fallimentare; e che conseguentemente l'affermazione secondo cui i creditori concorsuali hanno in ogni caso la medesima tutela vale solo in linea teorica ma non da un punto di vista pratico.

In conclusione le norme impugnate realizzerebbero un ingiustificato privilegio dell'esattore.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 1 marzo 1971, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità della questione relativa all'art. 51 della legge fallimentare e l'infondatezza di quella concernente lo art. 206 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645.

Premette la difesa dello Stato che é lo stesso giudice a quo a rilevare come mediante l'impugnativa del citato art. 51 "potrebbero essere parimenti travolti altri casi di deroga che in questa sede non possono essere dedotti per difetto di rilevanza"; soggiunge quindi che poiché l'unico caso di deroga sottoposto al tribunale di Marsala concerne l'esecuzione esattoriale che é consentita espressamente dall'art. 206 citato t.u. del 1958, avente autonoma portata normativa, soltanto tale disposizione può essere legittimamente sottoposta all'esame della Corte costituzionale, sussistendo per essa il requisito della rilevanza.

Nel merito l'Avvocatura generale si richiama alla sentenza n. 115 del 1967 della Corte costituzionale, con la quale analoga questione venne dichiarata non fondata, la cui motivazione risponde pienamente ed analiticamente alle argomentazioni ora riproposte dal giudice a quo.

3. - Nel corso di una controversia promossa dal fallimento Attilio Marzollo contro l'esattoria delle imposte dirette di Venezia e l'Amministrazione delle finanze dello Stato (chiamata in causa), affinché venisse dichiarata la non assoggettabilità ad esecuzione esattoriale di beni liquidi pertinenti al fallimento e la condanna dell'esattoria al risarcimento danni conseguenti al vincolo d'indisponibilità posto su quei beni, il tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 206, 208, 209 e 227 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, "nella parte in cui essi, consentendo all'esattore di agire esecutivamente in pendenza di fallimento del debitore, a) apprestano strumenti di liquidazione oggettivamente inidonei ad assicurare ai creditori concorsuali risultati uguali a quelli conseguibili in sede di liquidazione fallimentare, b) non consentono al fallimento alcuna difesa in caso di pignoramento esattoriale illegittimo, ovvero, consentendo all'esattore di pignorare anche le attività liquide della curatela, precludono lo svolgimento del processo fallimentare".

Osserva il tribunale di Venezia di non poter condividere le affermazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 1967, secondo cui a tutti i creditori concorsuali é assicurata pari tutela mediante l'intervento pretorile di assegnazione, giacché i numerosi inconvenienti pratici pur riconosciuti dalla sentenza stessa, non sono fenomeni accidentali evitabili mediante la corretta applicazione delle norme, bensì derivano da insufficienze strutturali delle disposizioni denunciate. Ciò risulterebbe, infatti, dal tipo di strumenti esecutivi di cui dispone l'esattore, per cui, esaurita negativamente la fase degli incanti, la successiva incontrollata vendita comunale a trattativa privata, a prezzo libero (art. 227 citato t.u.) realizza un tipo di esproprio gestito irresponsabilmente senza garanzie e rimedi. Invero a quel momento, a pregiudizio già avvenuto, l'applicazione della regola del concorso soddisferebbe un'esigenza di giustizia meramente apparente e non certo sostanziale.

L'ordinanza di rimessione prosegue quindi rilevando come il vigente sistema che prevede il ricorso all'intendente di finanza e la sostituzione dell'azione risarcitoria alle opposizioni altrimenti consentite dagli artt. 615 - 619 c.p.c., determina un gravissimo pregiudizio della curatela, le cui attività liquide siano state abusivamente pignorate dall'esattore. Posto infatti che l'esattore non possa più esercitare attività espropriative (Cons. Stato IV, 20 aprile 1971, n. 468) dopo l'avvenuta conversione in liquidità corrente, ad opera del fallimento, dei titoli e beni appartenenti al fallito, l'azione risarcitoria prevista dall'art. 209 citato t.u. non appresta alcun rimedio rispetto alla paralisi della funzione pubblica del fallimento causata dalla sottrazione degli indispensabili mezzi economici, paralisi per giunta insuscettibile di valutazione pecuniaria a fini risarcitori. Che se infine il pignoramento della massa fallimentare fosse legittimo, le ragioni di pregiudizio rimarrebbero intatte, ed in tal caso risulterebbe illegittimo l'art. 206 citato t.u. giacché permettendo di paralizzare l'esecuzione fallimentare sacrifica il diritto dei creditori al suo regolare svolgimento.

Il complesso degli effetti negativi sopra enunciati realizzerebbe un ingiusto privilegio dell'esattore con sacrificio dei diritti dei creditori fallimentari, in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Si é costituita in questa sede l'Amministrazione delle finanze dello Stato, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 17 marzo 1973, chiedendo dichiararsi l'infondatezza delle questioni prospettate.

Osserva la difesa dello Stato che la Corte costituzionale, nel respingere, numerose volte, le censure ora nuovamente riproposte, ha posto in luce come, per la tutela "dell'interesse fiscale alla pronta riscossione dei tributi", "interesse particolarmente differenziato" (sentenze n. 45 del 1963 e n. 50 del 1965), l'esecuzione esattoriale si sviluppa sulla base di un atto amministrativo, il ruolo, che il giudice ordinario non può sospendere né revocare. Pertanto l'art. 209, secondo comma, del t.u. sulle imposte dirette, dando, ai soggetti legittimati a proporre le opposizioni di cui agli artt. 615 e seguenti il solo diritto di agire per il risarcimento del danno, oltre che il ricorso agli organi della giustizia amministrativa, ha apprestato mezzi di tutela giurisdizionale compatibili con i modi dell'esecuzione esattoriale, in sostituzione degli altri, inadeguati, predisposti nel procedimento ordinario. D'altronde non va sottaciuto che la procedura esecutiva esattoriale, a differenza di quella ordinaria, é preordinata alla tutela di un interesse creditorio costituzionalmente differenziato (sentenze n. 87 del 1962 e n. 138 del 1968).

Alla pubblica udienza le parti hanno insistito nelle conclusioni prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze di rimessione prospettano questioni tra loro connesse, sicché i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione sollevata dal pretore di Cittadella concerne la compatibilità, o meno, con il diritto di difesa, con il principio del giudice naturale e con la riserva di giurisdizione a favore del giudice ordinario, delle disposizioni che danno diritto all'esattore di effettuare atti d'espropriazione quando é già in corso altra procedura esecutiva innanzi l'autorità giudiziaria. Si dubita infatti che in tal modo le disposizioni impugnate (erroneamente individuate negli artt. da 231 a 242 del t.u. sulle imposte dirette n. 645 del 1958, ma più correttamente ravvisabili negli artt. 205 e 206, primo comma, stesso testo unico) possano determinare sottrazioni di competenza al tribunale, giudice naturale dell'esecuzione immobiliare, e menomazione della tutela giurisdizionale degli altri creditori nell'ambito dell'esecuzione esattoriale che si svolge, sostanzialmente, in via amministrativa.

Altra questione é quella relativa alla compatibilità con gli artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione degli artt. 51 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e 206, primo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nelle parti in cui, derogando al divieto delle azioni esecutive individuali, autorizzano l'esattore a procedere all'espropriazione anche in costanza di fallimento. Il giudice delegato al fallimento presso il tribunale di Marsala ha prospettato il dubbio che i poteri dell'esattore costituiscano un privilegio ingiustificato e che la sottrazione della vendita dei beni agli organi fallimentari violi il principio del giudice naturale.

Questa Corte deve infine decidere se contrastino o meno con gli artt. 3 e 24 della Costituzione gli artt. 206, 208, 209 e 227 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nella parte in cui, consentendo all'esattore di agire esecutivamente in pendenza di fallimento del debitore, apprestano strumenti di liquidazione non parificabili, sotto il profilo dell'idoneità pratica, a quelli propri della liquidazione fallimentare, né consentono al fallimento una valida tutela contro i pignoramenti esattoriali illegittimi, paralizzanti, a volte, lo svolgimento del processo fallimentare. La normativa citata attribuirebbe all'esattore, secondo l'ordinanza del tribunale di Venezia, un ingiustificato privilegio con conseguente carenza di tutela giurisdizionale degli altri soggetti nei suoi confronti.

3. - Occorre in via preliminare dichiarare non fondata l'eccezione di difetto di legittimazione del pretore a proporre questioni di legittimità costituzionale, formulata dalla difesa dell'esattoria di Cittadella, sotto il profilo che egli interviene nell'esecuzione esattoriale in veste sostanzialmente amministrativa. Basta richiamare in proposito quanto già più volte affermato da questa Corte circa la sufficienza che la questione venga sollevata nel corso di un procedimento compiuto sotto la direzione del titolare di funzioni giurisdizionali perché si realizzi il presupposto processuale richiesto dagli artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953 (sentenza n. 83 del 1966

 concernente un identico caso).

4. - Sempre in rito va invece accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione attinente l'art. 51 della legge fallimentare, secondo cui non rientrano nel divieto di azioni esecutive individuali in costanza di fallimento le eccezioni già previste da altre disposizioni di legge. Invero, ove venisse dichiarata l'illegittimità del citato art. 51, sarebbero travolti casi di deroga non deducibili nella specie, come espressamente riconosce lo stesso giudice a quo. Né si giustificherebbe un esame parziale della norma, posto che l'eccezione al divieto d'azione individuale é stabilita dall'art. 206, primo comma, del citato t.u. n. 645 del 1958, norma parimenti impugnata.

5. - Nel merito tutte le questioni prospettate sono infondate o manifestamente infondate. Giova ricordare che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l'esecuzione esattoriale é regolata come un procedimento nel quale si manifesta, sia pure più energicamente che in altri casi, il principio della esecutorietà dell'atto amministrativo. La legge speciale, che assicura la sollecita riscossione delle imposte, dà luogo ad un sistema volto a tutelare il preminente interesse, costituzionalmente riconosciuto, di garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (sentenza n. 87 del 1962).

Tale interesse giustifica quindi la particolare procedura esattoriale, che é configurata come prevalente, entro certi limiti, non solo nei confronti dell'esecuzione ordinaria, ma anche rispetto a quella concorsuale fallimentare e a quella stabilita a favore degli enti che esercitano il credito fondiario.

Questa Corte, nelle sentenze 95 del 1970, 115 del 1967, 138 del 1968 ed 87 del 1962, ha già escluso che le norme ora nuovamente impugnate contrastino con gli artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione. Le relative questioni, non sorrette da argomenti nuovi, vanno quindi dichiarate manifestamente infondate.

6. - Occorre tuttavia esaminare quelle censure che sono parzialmente nuove per il loro oggetto o per i nuovi profili che presentano. Anche in proposito, tuttavia, e con riferimento alla questione formulata dal tribunale di Venezia, non può ignorarsi che questa Corte ha già riconosciuto la piena legittimità costituzionale del principio secondo cui, nella procedura in esame, le normali opposizioni all'esecuzione sono sostituite dalla successiva azione di risarcimento danni (sentenza n. 138 del 1968). Pertanto, riconosciuta la legittimità del suddetto principio - sempre sul presupposto della particolare garanzia costituzionale dell'interesse alla rapida riscossione delle imposte - non ha valore il rilievo che l'azione risarcitoria, differita nel tempo, non produce gli stessi effetti delle opposizioni giudiziali, espressamente precluse dall'impugnato art. 209 citato t.u. Invero il differimento nel tempo é una conseguenza ineluttabile del principio criticato, ma non viola il diritto di azione e di difesa garantiti dall'art. 24 della Costituzione. D'altronde va rilevato che la normativa impugnata predispone in via primaria, proprio al fine di assicurare la legalità dell'esecuzione esattoriale, il ricorso all'Intendente di finanza, conformemente alla natura particolare della espropriazione in esame. Il reclamo concesso agli interessati mette in moto un procedimento contenzioso amministrativo che costringe l'Intendente a provvedere motivatamente sulla richiesta di sospensione, rimuovendo, se del caso, gli atti esecutivi impugnati. Contro il suo provvedimento possono essere poi esperiti i comuni rimedi propri della giurisdizione amministrativa (sentenza 93 del 1964).

7. - Per quanto attiene, infine, alla censura concernente la possibilità che i beni mobili invenduti dopo due incanti vengano consegnati al sindaco per la vendita a trattativa privata a qualsiasi prezzo, va osservato quanto segue. L'art. 227 del citato t.u. detta una disciplina generale per la vendita di tutti i beni mobili: tuttavia dal complesso delle norme che immediatamente lo precedono (artt. 219 ss.) risulta che le concrete modalità di vendita sono adeguate alla effettiva rilevanza dei beni, il cui prezzo base é variamente determinato (art. 225 citato t.u.). Alla vendita ad opera del sindaco - che quale organo pubblico offre garanzia di imparzialità - si addiviene solo dopo che siano andati deserti due pubblici incanti i quali sono preceduti da congrue forme pubblicitarie, come risulta dalla facoltà conferita al privato di chiedere al pretore la predisposizione di ulteriori mezzi di pubblicità commerciale (art. 223 citato t.u.). Pertanto non può dirsi che il sistema impugnato, visto alla luce dei principi che lo informano, dia luogo ad ingiustificati privilegi rispetto alle altre procedure esecutive.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), sollevata dal giudice delegato presso il tribunale di Marsala con l'ordinanza di cui in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 205 e 206, primo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico sulle imposte dirette), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, 25, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate del pretore di Cittadella e del giudice delegato del tribunale di Marsala;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 206, 208, 209 e 227 del citato d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con ordinanza del tribunale di Venezia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 1974.

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 13 marzo 1974.