Sentenza n. 18 del 1974
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SENTENZA N. 18

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Fracesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 marzo 1971 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Fioraso Angela e la società Chatillon, iscritta al n. 219 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 14 luglio 1971;

2) ordinanza emessa il 26 aprile 1972 dal tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Schipani Emilia ed altri e la "Borsetteria Artistica Fiorentina", iscritta aI n. 354 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 del 6 dicembre 1972;

3) ordinanza emessa il 13 dicembre 1972 dalla Corte d'appello di Trieste nel procedimento civile vertente tra la società Arsenale Triestino San Marco e Pizzamus Luciano, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 2 maggio 1973;

4) ordinanza emessa il 13 dicembre 1972 dalla Corte d'appello di Trieste nel procedimento civile vertente tra la società Italcantieri e Righi Dorando, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 133 del 23 maggio 1973;

5) ordinanza emessa il 12 febbraio 1973 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra la società Ansaldo e Centimerio Angelo, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 del 4 luglio 1973;

6) ordinanza emessa il 29 gennaio 1973 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra la società Ansaldo e Severi Alberto, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 176 dell'11 luglio 1973;

7) ordinanze emesse il 18 maggio 1973 dal tribunale di La Spezia in due procedimenti civili vertenti tra Bachini Licurgo, Spalatra Oscar e la società Termomeccanica italiana, iscritte ai nn. 296 e 297 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 236 del 12 settembre 1973.

Visti gli atti di costituzione di Schipani Emilia ed altri, di Pizzamus Luciano, delle società Chatillon, Arsenale Triestino San Marco, Italcantieri e Termomeccanica italiana, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1973 il Giudice relatore Angelo De Marco;

uditi gli avvocati Pierpaolo Longo e Luciano Ventura, per il Pizzamus gli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Carlo Fornario, per la società Chatillon, l'avv. Guido Sadar, per le società Arsenale Triestino San Marco e Italcantieri, l'avv. Ubaldo Prosperetti, per la società Termomeccanica italiana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - L'operaia Angela Fioraso, che aveva prestato servizio in tale qualità presso la società Chatillon dal 20 gennaio 1929 al 31 dicembre 1968, conveniva davanti al pretore di Milano detta società chiedendo che la indennità per fine rapporto le venisse liquidata nella misura di una mensilità dell'ultima retribuzione per ogni anno di servizio e non nella misura ridotta a "scaglioni" di anni di servizio, in conformità con l'art. 42 del contratto collettivo nazionale cotonieri 27 luglio 1967, adottata dalla convenuta.

Il pretore adito, con ordinanza 16 marzo 1971, rilevato che in base al terzo comma dell'art. 2120 del codice civile - secondo il quale "l'ammontare della indennità (di fine rapporto) é determinato in base all'ultima retribuzione ed in relazione alla categoria alla quale appartiene il prestatore d'opera " - l'operato della società convenuta avrebbe dovuto essere dichiarato legittimo, ancorché il citato contratto collettivo prevedesse una grave disparità di trattamento tra la categoria " impiegati" e quella "operai", riteneva di dover sollevare d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma del citato art. 2120 cod. civ., in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Secondo il pretore, infatti, la diversità di categoria di appartenenza, in considerazione della qualità delle prestazioni lavorative che implica, può essere presa in considerazione ai fini di stabilire l'entità della retribuzione, ma una volta che questa sia determinata non può estendersi alla liquidazione per fine rapporto: di qui il contrasto con l'art. 36 della Costituzione.

Comunque non vi é alcuna razionale giustificazione per un trattamento più favorevole per la categoria "impiegati" rispetto a quella " operai", che, anzi, apparirebbe più meritevole di maggiore considerazione: di qui il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Dopo gli adempimenti di legge il giudizio viene ora alla cognizione della Corte.

Si é costituita la società Chatillon il di cui patrocinio, con memoria depositata il 3 agosto 1971, chiede che la sollevata questione venga dichiarata infondata.

Non vi é stato intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

2. - La stessa questione di legittimità costituzionale della liquidazione agli operai della indennità di fine rapporto non nella misura di una mensilità per ogni anno di servizio, ma in misura ridotta ed a scaglioni di servizio viene prospettata dal tribunale di Firenze, con ordinanza 26 aprile 1972, emessa nel corso della causa civile promossa da alcuni operai della "Borsetteria Artistica Fiorentina", riguardante l'applicazione dell'art. 44 del contratto collettivo nazionale di lavoro degli addetti alle industrie manufatturiere, pelli e cuoio del 22 dicembre 1969.

La questione, peraltro, é motivata soltanto in riferimento all'art. 3 della Costituzione ed in considerazione della natura di retribuzione differita e, comunque, previdenziale dell'indennità in questione, di fronte alla quale non può giustificarsi una diversità di trattamento tra operai ed impiegati.

Dopo gli adempimenti di legge, anche questo giudizio viene ora alla cognizione della Corte.

Si sono costituiti gli attori del giudizio a quo, il di cui patrocinio, con memoria depositata il 27 dicembre 1972, richiamate ed illustrate le argomentazioni dell'ordinanza di rinvio, chiede che non soltanto venga dichiarata fondata la proposta questione, ma che la dichiarazione di incostituzionalità venga estesa (ex art. 27 della legge n. 87 del 1953) anche all'art. 10, comma quarto, del r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, così come modificato dalla legge 18 dicembre 1960, n. 1561, e all'art. 44 del c.c.n.l. 8 gennaio 1957, approvato con d.P.R. 14 luglio 1960, n. 1017.

É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto d'intervento, depositato il 24 ottobre 1972, rilevato che, attesa la evidente diversità di prestazione d'opera dell'impiegato rispetto a quella dell'operaio, é pienamente giustificata la differenziata disciplina normativa denunziata, chiede che la questione venga dichiarata non fondata.

3. - Con altre sei ordinanze emesse rispettivamente:

a) il 13 dicembre 1972 dalla Corte d'appello di Trieste, nel procedimento civile vertente tra la società Arsenale Triestino e Luciano Pizzamus;

b) pure il 13 dicembre 1972, dalla stessa Corte d'appello di Trieste, nel procedimento civile vertente tra la società "Italcantieri" e Dorando Righi;

c) il 12 febbraio 1973, dalla Corte d'appello di Genova, nel procedimento civile vertente tra la società Ansaldo ed Angelo Centimerio;

d) il 29 gennaio 1973, dalla stessa Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra la società Ansaldo ed Alberto Severi;

e) il 18 maggio 1973, dal tribunale di La Spezia, in due procedimenti civili promossi da Licurgo Bachini ed Oscar Spalatra contro la società Termomeccanica Italiana (due distinte ma identiche ordinanze); viene proposta la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dell'art. 2120 cod. civ. nella parte in cui, secondo la interpretazione datane dalla Suprema Corte di cassazione, anche a sezioni unite, nel caso di un dipendente di una stessa ditta che, senza soluzione di continuità, dalla categoria "operaio" sia arrivato a quella di "impiegato", la indennità di fine rapporto, pur dovendo essere liquidata unitariamente ed in base all'ultima retribuzione, per il periodo di servizio prestato quale impiegato debba essere commisurata ad una intera mensilità di retribuzione e per quello di servizio prestato quale operaio alle minori entità stabilite a "scaglioni" di anni di servizio dai contratti di lavoro.

Secondo tali ordinanze, infatti, la differenziazione della indennità in relazione alla categoria nella quale é stato prestato il servizio che vi dà diritto non ha giustificazione razionale e, quindi, viola sia il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, sia quello di proporzionalità della retribuzione - considerandosi l'indennità retribuzione differita - alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, sancito dall'art. 36 della Costituzione.

Dopo gli adempimenti di legge, i giudizi, come sopra promossi, vengono ora alla cognizione della Corte.

Nei giudizi promossi con le due ordinanze della Corte d'appello di Trieste si sono costituiti:

a) l'appellato Pizzamus, il di cui patrocinio, riportandosi alle argomentazioni dell'ordinanza di rinvio e diffusamente illustrandole e amplificandole, chiede che la questione venga dichiarata fondata;

b) le appellanti s.p.a. Arsenale Triestino e s.p.a. Italcantieri, i di cui patrocini, riportandosi alla giurisprudenza della Cassazione e ponendo in rilievo come la stessa piattaforma rivendicativa in sede di contrattazione collettiva, pur affermando in astratto la parità tra operai ed impiegati, in concreto prevede cinque categorie di retribuzione, ammette una differenziazione di posizioni che rende razionale e, quindi, non in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, la differenziata disciplina normativa applicata dalla richiamata giurisprudenza, chiedono che la questione venga dichiarata infondata.

Nessuno si é costituito nei due giudizi promossi con le ordinanze della Corte d'appello di Genova.

Infine, nei due giudizi promossi con le ordinanze del tribunale di La Spezia, si é costituita la società Termomeccanica Italiana, il cui patrocinio, con ampia memoria, in sostanza afferma la piena aderenza agli artt. 3 e 36 della Costituzione della interpretazione data all'art. 2120 cod. civ. dalle sezioni unite della Cassazione e chiede, in conseguenza, che la proposta questione venga dichiarata infondata.

Con successive, ulteriori memorie del 27 ottobre 1973, la s.p.a. Arsenale Triestino San Marco e la s.p.a. Italcantieri hanno insistito nel ritenere esatta la sopra cennata interpretazione data dalla Cassazione all'art. 2120 cod. civ. ed infondata la relativa questione di costituzionalità. Così ha fatto pure la s.p.a. Termomeccanica Italiana, con memoria depositata il 27 ottobre 1973.

Il Pizzamus, in data 29 ottobre 1973, ha depositato anch'egli un'ulteriore memoria, citando una recente sentenza della II sezione civile della Cassazione, la quale, in contrasto con le sezioni unite, ha ritenuto che in caso di passaggio di categoria, la liquidazione non va fatta "a scaglioni", ma secondo le norme riguardanti l'ultima categoria del lavoratore. Modificando le proprie precedenti conclusioni, il Pizzamus ha chiesto quindi che, sulla base di tale interpretazione dell'art. 2120 cod. civ., la relativa questione di costituzionalità sia dichiarata infondata o, in subordine, inammissibile.

La s.p.a. Chatillon, infine, con memoria del 26 ottobre 1973, ha ulteriormente svolto pur essa le proprie ragioni, chiedendo il rigetto dell'eccezione d'incostituzionalità dell'articolo 2120 cod. civ. sollevata dal pretore di Milano e sottolineando che la diversità nei criteri di liquidazione dell'indennità di anzianità fra operai e impiegati, é da riconnettersi esclusivamente alla diversa qualità del rispettivo lavoro e non al riconoscimento di una loro differente "dignità sociale".

 

Considerato in diritto

 

1. - Gli otto giudizi, come sopra promossi, vanno riuniti data l'identità delle questioni che ne formano oggetto.

2. - Tali questioni risultano infondate.

L'art. 2120 del codice civile, dopo avere stabilito che l'indennità di anzianità deve essere proporzionale agli anni di servizio, ne rimette la determinazione dell'ammontare alla autonomia collettiva e, in mancanza, agli usi o all'equità.

Tale determinazione deve essere fatta in base all'ultima retribuzione, il che non significa che non possa fissarsi in una aliquota di essa. Né la proporzionalità agli anni di servizio importa l'assegnazione ad ogni anno di una identica misura di ultima retribuzione, ben potendosi far variare l'ammontare secondo dati scaglioni, come praticato nei contratti collettivi e ritenuto legittimo dalla giurisprudenza.

La norma poi - fermi i limiti ed i criteri predetti - rimette alla contrattazione collettiva, agli usi e in mancanza al giudice, di differenziare la misura della indennità in relazione alla categoria di appartenenza del lavoratore.

Per quanto attiene alla questione che ci interessa, il fatto che in sede di contrattazione collettiva possa operarsi una diversificazione della misura della indennità secondo l'appartenenza del lavoratore alla categoria degli impiegati o a quella degli operai non implica che la norma, che ciò permette, sia in contrasto con gli artt. 36 e 3 della Costituzione.

Fermo che per l'art . 36 la retribuzione deve in ogni caso essere sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa, la stessa norma costituzionale fissa il principio che la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro.

Ora, se si tiene conto che secondo la giurisprudenza della Corte la indennità di anzianità ha natura e funzione di retribuzione differita, nel senso che essa costituisce parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita al momento della cessazione del rapporto, allo scopo pratico di agevolare al lavoratore il superamento delle difficoltà economiche cui potrà poi venire incontro; se si considera cioé che anche la indennità di anzianità fa parte del trattamento retributivo in senso lato, appare chiaro che la diversificazione di essa ben può essere vista sotto il profilo della valutazione della diversa qualità del lavoro prestato dall'impiegato e dall'operaio. Né vale il dire che tale diversità, essendo già stata presa in considerazione nella determinazione della retribuzione prestata nel corso del rapporto di lavoro, non può porsi a base di una ulteriore differenziazione per quanto attiene all'ammontare della indennità di anzianità, giacché entrambe le parti del trattamento retributivo sono in funzione della prestazione di lavoro, e quindi della qualità di tale prestazione.

Il rinvio alla contrattazione collettiva della determinazione della misura della

indennità di anzianità é costituzionalmente legittima e non importa violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto permette che le associazioni professionali tengano conto della diversità delle categorie, alle quali corrispondono, come si é detto, prestazioni qualitativamente diverse; tanto più che proprio in relazione alle diverse categorie può prospettarsi in modo diverso la misura dell'esigenza del differimento di una parte della retribuzione; e sono appunto le associazioni professionali che, in base ai dati della esperienza, possono fare una rilevazione della possibilità di reinserimento dei rispettivi lavoratori nel campo del lavoro, anche con riferimento allo sviluppo della politica da esse perseguita al riguardo, e quantificare, secondo le varie situazioni ed esigenze, la misura della retribuzione differita.

Quanto alla questione relativa all'indennità di anzianità nel caso di lavoratore che nel corso del rapporto passi da una categoria all'altra, il contrasto della giurisprudenza - se cioé l'art. 2120, riferendosi all'ultima categoria, imponga di dare, nella ipotesi predetta, la indennità come se si fosse stati sempre impiegati, ovvero consenta, nel calcolo della indennità, di fissare una data aliquota per gli anni di operaio ed una diversa per gli anni di impiegato - non involge questione di legittimità costituzionale, bensì di interpretazione della legge ordinaria.

Posto quanto sopra si é detto, entrambe le interpretazioni risulterebbero costituzionalmente legittime.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2120 del codice civile sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il

24 gennaio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA -  Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1974.