Sentenza n. 8 del 1974
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SENTENZA N. 8

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (elezione dei consigli delle amministrazioni straordinarie delle provincie siciliane), promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1971 dalla Corte suprema di cassazione - sezioni unite civili - sui ricorsi elettorali riguardanti Caragliano Antonino, Di Graziano Cono e Castro Sebastiano ed altri, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 19 aprile 1972 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 18 del 15 aprile 1972.

Visti gli atti di costituzione di Caragliano Antonino, Di Graziano Cono e Castro Sebastiano;

udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1973 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l'avv. Enzo Silvestri, per il Caragliano, e l'avv. Alfredo Randazzo, per il Di Graziano.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 3 giugno 1971, sui ricorsi elettorali di Caragliano Antonino contro Di Graziano Cono ed altri e di Di Graziano Cono contro Caragliano Antonino ed altri, la Corte suprema di cassazione - sezioni unite civili - ha proposto, con riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14, in relazione all'art. 10, n. 7, della legge statale 8 marzo 1951, n. 122, come modificato dall'art. 3 della legge statale 10 settembre 1960, n. 962.

La norma di cui trattasi ha, infatti, precluso l'eleggibilità alla carica di componente dei consigli delle amministrazioni straordinarie delle provincie siciliane per gli amministratori delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nell'ambito della provincia, operando così senza ragionevole motivo una restrizione ed una conseguente disparità di trattamento rispetto a quanto previsto dalla corrispondente disposizione della legislazione statale, che si riferisce ai soli amministratori delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza poste sotto la vigilanza della provincia, dichiarati responsabili in via amministrativa o giudiziaria (art. 10 della legge 8 marzo 1951, n. 122, come modificato dall'art. 3 della legge 10 settembre 1960, n. 962).

La questione sarebbe rilevante, perché nella specie la contestazione dell'elezione del sig. Antonino Caragliano si basa sulla norma la cui legittimità é, per le considerazioni che precedono, revocata in dubbio.

2. - Il sig. Caragliano si é costituito in giudizio, con deduzioni depositate in data 4 febbraio 1972, nelle quali ulteriormente sviluppando - con richiami anche a principi affermati nelle sentenze n. 46 e n. 108 del 1969 di questa Corte - le censure di legittimità costituzionale dedotte dall'ordinanza di rinvio, conclude chiedendo l'accoglimento della questione proposta.

3. - Si é costituito anche il sig. Di Graziano Cono, con atto depositato il 15 gennaio 1972, sostenendo anzitutto la irrilevanza della questione, in quanto il giudizio a quo, potrebbe essere deciso indipendentemente dalla soluzione di essa, poiché il Caragliano risulterebbe ineleggibile anche ai sensi del n. 3 dell'art. 7 della stessa legge regionale, trattandosi comunque di amministratore di un ente - quale l'Ospedale S. Giovanni di Dio e S. Isidoro di Giarre - che era da considerare, al momento in cui si svolsero le elezioni, controllato e dipendente della provincia.

La predetta circostanza, che rende cioè coincidente la qualifica di amministratore delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nell'ambito provinciale con quelle di amministratore di un ente controllato e dipendente dalla provincia dovrebbe, del resto, valere anche nel merito a dimostrare l'insussistenza di un contrasto tra la normativa statale e quella regionale in argomento. Se poi dovesse ad ogni modo ammettersi che permane una difformità nel contenuto fra le due legislazioni, questa non sembra tale da integrare gli estremi di una violazione da parte della Regione dei limiti che ineriscono all'esercizio della sua potestà legislativa in materia elettorale - come risulta anche dall'insegnamento che può trarsi dalla giurisprudenza di questa Corte e in particolare dalla recente decisione n. 189 del 1971 -, identica essendo la ratio fondamentale della ineleggibilità sancita sia nella norma impugnata che in quella statale corrispondente.

Le conclusioni di questa parte sono, pertanto, intese ad ottenere una dichiarazione di irrilevanza e, subordinatamente, di manifesta infondatezza.

4. - Con memoria prodotta il 29 gennaio 1972, si é costituito, inoltre, il sig. Sebastiano Castro, deducendo dall'esigenza di un coordinamento fra le norme di cui rispettivamente ai nn. 3 e 7 dell'art. 10 della legge statale la interpretazione, secondo cui nel primo caso l'ineleggibilità avrebbe riguardo alla situazione degli amministratori delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, considerate fra gli enti dipendenti e sottoposti a vigilanza della provincia, i quali siano in carica al momento delle elezioni; nel secondo caso, diversamente, sarebbero colpiti da incapacità quegli stessi amministratori ormai scaduti dall'ufficio, ma dichiarati responsabili in via amministrativa od in via giudiziaria e perciò ritenuti non idonei ad amministrare la cosa pubblica. Quest' ultima disposizione avrebbe allora un significato del tutto diverso rispetto a quella impugnata ed un precetto, invece, corrispondente alla previsione di cui all'art. 7, n. 8, della stessa legge regionale: verrebbe meno così la possibilità di un confronto fra la fattispecie regionale di cui é questione e quella statale erroneamente assunta a parametro per la sua valutazione.

La parte conclude, pertanto, chiedendo una dichiarazione di manifesta infondatezza.

5. - Con memoria difensiva del 21 giugno 1972, infine, il Caragliano replica alle deduzioni dei due resistenti, ribadendo con ulteriori argomenti le tesi della rilevanza e della fondatezza della questione.

6. - Alla pubblica udienza i difensori di Caragliano e di Di Graziano hanno insistito nelle conclusioni già assunte.

 

Considerato in diritto

 

1. - É in questione la legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14, che, statuendo la ineleggibilità ai consigli delle amministrazioni straordinarie delle province siciliane degli amministratori delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nell'ambito della provincia, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 della Costituzione, apportando al diritto elettorale passivo nell'Isola una restrizione priva di riscontro nella legislazione statale e non giustificata da particolari esigenze proprie della Regione.

2. - Davanti a questa Corte, la difesa di una delle parti ha eccepito la irrilevanza della questione perché, nella specie, trattandosi di amministratore di una istituzione di assistenza e beneficenza controllata, all'epoca delle elezioni, dalla provincia, la ineleggibilità sarebbe comunque derivata in applicazione del n . 3 dell'art. 7 della legge de qua. L'eccezione va disattesa . Che l'esito del giudizio principale avrebbe potuto e potrebbe essere il medesimo alla stregua di disposizioni diverse da quella denunciata non incide, infatti, sulla rilevanza della questione, dal momento che la disposizione specificamente dettata per il caso concreto é proprio quella del n. 4 dello stesso art. 7.

3. - Nel merito, la questione é analoga, benché formalmente non identica, a quella già decisa da questa Corte con la sentenza n. 189 del 1971 (con riferimento allora, anziché agli amministratori, agli impiegati dipendenti delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella provincia) e deve parimenti essere dichiarata non fondata.

Le considerazioni con cui la ricordata sentenza ebbe a ritenere che, pur in mancanza di una espressa formulazione, il principio della ineleggibilità ai consigli provinciali dei dipendenti delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella provincia é presente nella legislazione statale, rientrando nella più lata previsione del n. 3 dell'art. 10 della legge 8 marzo 1951, n. 122, modificata dall'art. 3 della legge 10 settembre 1960, n. 962, valgono anche nella presente controversia, avendo tale disposizione riferimento agli amministratori, oltre che agli impiegati, di "enti, istituti o aziende dipendenti sovvenzionati o sottoposti a vigilanza della provincia". Ché anzi, il duplice fondamento della ineleggibilità, rilevato in quella precedente sentenza, al punto 3 della motivazione, quanto agli impiegati delle istituzioni di assistenza e beneficenza, sussiste manifestamente, a maggior ragione, per i loro amministratori.

Chiaramente, peraltro, tale ineleggibilità é ricollegata, nella legislazione dello Stato, alla circostanza che le istituzioni assistenziali da essa prese in considerazione siano sottoposte a quella, pur attenuata ed anomala, vigilanza, che l'art. 241 del t.u. della legge comunale e provinciale del 1915 (tuttora in vigore, come ritenuto dalla giurisprudenza ordinaria) attribuisce nei loro confronti ai consigli provinciali, in quanto siano destinate a vantaggio della provincia o di una sua parte.

É vero che, letteralmente, il n. 4 dell'art. 7 della legge regionale di cui é questione potrebbe sembrare statuire la ineleggibilità con riguardo alla semplice esistenza nella provincia delle istituzioni in oggetto; ma la formula può e deve essere interpretata restrittivamente, come specificativa e confermativa del più generale principio enunciato nel precedente n. 3 (così come avviene, del resto, per i consigli comunali, nei rapporti tra il n. 3 e il n. 4 dell'art. 15 del t.u. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570): richiedendosi, cioè, in conformità a quanto prescritto dalla legge statale, che le istituzioni di assistenza e beneficenza, cui la norma denunciata ha riferimento, siano, per l'appunto, quelle sottoposte a vigilanza delle province (articolo 150, n. 8, del decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana del 29 ottobre 1955, n. 6, richiamato, per le attuali amministrazioni straordinarie delle province siciliane, dal successivo art. 266, nonché dalla legge regionale 15 marzo 1963, n. 16).

4. - Così delineati i termini del raffronto tra legislazione statale e legislazione regionale, la questione si dimostra non fondata, privo di influenza essendo il richiamo dell'ordinanza alle ulteriori condizioni richieste per la ineleggibilità degli amministratori delle istituzioni di assistenza e beneficenza dal n. 7 dell'art. 10 della citata legge n. 122 del 1951, modificato dall'art. 3 della legge n. 962 del 1960, pure citata. Diversa é l'ipotesi qui regolata, con riferimento non - come nel n. 4 - agli amministratori in carica, ma agli amministratori cessati dalla carica (e tuttavia ineleggibili, se

ed in quanto dichiarati responsabili in via amministrativa o giudiziaria). Ipotesi, questa, che trova d'altronde preciso riscontro nel n. 8 dell'art. 7 della legge regionale de qua. É significativa, piuttosto, la circostanza che, anche in quest'ultima, la particolare ipotesi di ineleggibilità cui si é accennato risulti sicuramente circoscritta con riguardo alle istituzioni di assistenza e beneficenza sottoposte a vigilanza della provincia, dal che non può non trarsi, sul piano sistematico, argomento rafforzativo della interpretazione correttiva del n. 4 del medesimo art. 7, qui sopra adottata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, n. 4, della legge regionale siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (elezione dei consigli delle amministrazioni straordinarie delle province siciliane), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - VINCENZO Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 23 gennaio 1974.