Sentenza n. 3 del 1974
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SENTENZA N. 3

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Dott. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1971 dal tribunale di Napoli nel procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di Mazzei Giuseppina, iscritta al n. 306 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1973 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 12 luglio 1971 nel procedimento per l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. a carico di Mazzei Giuseppina, il tribunale di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale per presunto contrasto con gli artt. 13, 24 e 27 della Costituzione dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui stabilisce che, "se nel corso del termine di durata della misura predetta stabilito dal giudice, il sorvegliato commette un reato per il quale riporti successivamente condanna e la sorveglianza speciale non debba cessare, il termine ricomincia a decorrere dal giorno nel quale é scontata la pena".

A sostegno della censura il tribunale premette in fatto che la Mazzei era stata ripetutamente denunziata per contravvenzioni commesse nel corso della applicazione della sorveglianza speciale, e di conseguenza, "secondo una prassi interpretativa" della norma impugnata, con decreto del tribunale stesso, era stata disposta la "sospensione del termine di scadenza della sorveglianza speciale" (5 giugno 1968) fino al termine del relativo procedimento penale, "per ricominciare a decorrere, in caso di condanna" a norma del ripetuto art. 11.

Non essendo ancora espletati tutti i procedimenti penali pendenti a carico della Mazzei, ancora sottoposta pertanto alla sorveglianza speciale, che aveva così raggiunto la durata di quattro anni, rispetto a quella di un anno determinata nel provvedimento originario, la medesima, con istanza 21 aprile 1971 aveva chiesto determinarsi la durata della misura di prevenzione in discorso. Ciò posto, il tribunale rileva che, a seguito della istanza, era stato investito del giudizio sulla legittimità dello stato di restrizione della libertà personale, cui la Mazzei é tuttora sottoposta in forza della norma citata, la cui interpretazione ed il cui raffronto con la Costituzione, pertanto, sarebbero pregiudiziali alla definizione del procedimento principale.

Al riguardo, il tribunale osserva che la duplicazione della misura di prevenzione sarebbe prevista dalla norma impugnata ope legis senza cioè ulteriore intervento e motivato provvedimento del giudice, e pertanto in contrasto con la garanzia giurisdizionale prevista dall'art. 13 Cost. nonché "ovviamente" con la garanzia del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. per la menomazione di tale diritto che una consimile previsione comporterebbe. Ed in proposito l'ordinanza fa richiamo alla giurisprudenza di questa Corte concernente la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme concernenti l'ammonizione già contenute nel t.u. delle leggi di p.s. 18 giugno 1931, n. 773, artt. da 164 a 176, del quale ultimo la norma impugnata costituirebbe una pressoché letterale riproduzione.

Ma, prosegue l'ordinanza, "la reale portata" del lamentato difetto di costituzionalità emergerebbe evidente dalla interpretazione di cui sarebbe suscettibile la norma impugnata stessa, secondo cui appunto, come nel caso in esame, si giungerebbe ad escludere la cessazione della applicazione della misura nel periodo intermedio fra l'originaria scadenza e il momento in cui, verificandosi le condizioni (commissione di un reato nel corso del termine originariamente stabilito, successiva condanna ed espiazione della pena relativa), il termine debba ricominciare a decorrere finendo con il sottoporre l'imputato ad una restrizione di durata notevolmente più lunga di quella predeterminata e, anzi, praticamente indeterminabile se non a posteriori.

Pur formulando ampie riserve sulla esattezza di tale interpretazione, attraverso l'esame della giurisprudenza della Cassazione, il tribunale osserva tuttavia che pregiudiziale rimarrebbe in ogni caso l'esame delle censure sollevate in relazione ai richiamati precetti costituzionali, cui si aggiungerebbe la violazione della presunzione di innocenza posta dall'art. 27 Cost., nel caso in cui, come nella specie, il protrarsi della misura di prevenzione senza soluzione di continuità al di là del termine stabilito dovesse intendersi conseguenziale alla semplice denunzia per un fatto - reato, cioè prima del relativo accertamento giudiziale.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 259 del 13 ottobre 1971.

Nel giudizio avanti a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni difensive il 29 settembre 1971.

L'Avvocatura osserva che il tribunale, pur esprimendo la propria perplessità circa l'interpretazione della norma impugnata, avrebbe ritenuto di sottoporre egualmente la questione alla Corte, mentre dalla corretta soluzione del dubbio interpretativo sarebbero invece necessariamente emerse l'irrilevanza e l'infondatezza delle questioni stesse.

Invero, secondo l'Avvocatura, se per impedire la cessazione della esecuzione della misura di prevenzione allo scadere del termine originario non basta una semplice denunzia, il tribunale avrebbe potuto senz'altro decidere sull'istanza della Mazzei, senza introdurre alcun giudizio di costituzionalità.

L'Avvocatura argomenta poi a sostegno della ora esposta interpretazione della norma, affermando, in sostanza, che essa corrisponderebbe ai criteri generali fissati in materia di applicazione delle misure di prevenzione dall'art. 4 della legge in esame, che ne demanda la determinazione della durata al tribunale, e prospettando, per le ipotesi di fatto analoghe a quella in esame, la possibilità, da parte dell'autorità di p.s. che ha proceduto alla denuncia di persona sottoposta a sorveglianza speciale, di riproporre l'applicazione di una nuova misura alla scadenza di quella originaria, con la procedura giudiziaria all'uopo prevista e le debite garanzie di difesa.

Così ridimensionata la portata della norma impugnata, apparirebbe chiara, secondo l'Avvocatura, l'infondatezza della questione sollevata in relazione all'art. 13 Cost., poiché sarebbe solo la commissione di un reato giudizialmente accertata a provocare la decorrenza ex novo delle misure di prevenzione, in vista della conferma della pericolosità del condannato che tale accertamento comporta, mentre il termine fissato nell'originario provvedimento giustamente non scadrebbe a causa della elusione delle norme di esecuzione della misura stessa.

Infondata altresì sarebbe la questione sollevata in relazione all'art. 24 Cost., poiché la persona sottoposta alla misura di prevenzione potrebbe sempre chiedere la revoca o la modifica del provvedimento a norma dell'art. 7 della legge n. 1423 del 1956, spiegando in tale sede validamente le sue difese.

Né infine vi sarebbe alcun contrasto con l'art. 27 Cost. poiché l'evento interruttivo del termine di scadenza della misura di prevenzione sarebbe pur sempre collegato all'accertamento definitivo della responsabilità penale, ed anzi alla espiazione della pena.

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi infondate le sopra esposte questioni di legittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione pregiudiziale di irrilevanza, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, é infondata.

Il giudice a quo chiamato a decidere sull'istanza della Mazzei, tendente ad ottenere la determinazione della durata del periodo di applicazione della sorveglianza speciale cui essa istante si trova sottoposta in applicazione dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, interpretata nei sensi esposti nell'ordinanza di rinvio, ha dubitato della legittimità costituzionale della detta norma, che, d'altra parte, regola indubbiamente il rapporto in esame ed in base alla quale, pertanto, deve essere emessa la richiesta pronunzia; quindi innegabile il nesso di pregiudizialità fra il presente giudizio di costituzionalità e la definizione del giudizio principale, e tanto basta, per ritenere insussistente nella specie il lamentato difetto di rilevanza.

2. - Il primo comma dell'art. 11 della citata legge n. 1423 del 1956 dispone testualmente che la sorveglianza speciale "cessa di diritto allo scadere del termine" stabilito nel decreto con cui é stata inflitta "se il sorvegliato speciale non abbia, nel frattempo, commesso un reato". Il secondo comma, aggiunge che, se, nel corso del suddetto termine "il sorvegliato commette un reato per il quale riporti successivamente condanna, e la sorveglianza speciale non debba cessare, il termine ricomincia a decorrere dal giorno nel quale é scontata la pena".

La legge ha così apprestato un meccanismo in forza del quale, per il caso previsto nel primo comma, la cessazione dell'applicazione della sorveglianza alla scadenza originaria avviene ipso iure, in virtù del decorso del tempo, e, per il caso previsto dal secondo comma, in vista della pervicacia del sorvegliato nell'infrangere la legge, si procede invece ad una duplicazione del periodo di applicazione della misura, la cui nuova decorrenza é espressamente indicata dalla norma, nel giorno successivo alla espiazione della condanna, e quindi, evidentemente, in un momento successivo al passaggio in giudicato della relativa sentenza.

Secondo la tesi interpretativa accennata dal giudice a quo la descritta disciplina comporterebbe la reiterazione della misura originariamente inflitta come un effetto automatico della condanna, indipendentemente da una pronunzia del giudice al riguardo, nonché la sospensione, pure automatica e senza intervento del giudice, del termine originario di scadenza, per effetto della sola

esistenza di una denunzia relativa ad un reato che si assume commesso nel periodo suddetto; tale sospensione, sempre secondo il giudice a quo, si protrarrebbe fino al verificarsi della condizione per la reiterazione automatica della misura. Di qui, le denunziate violazioni degli artt. 13, 24 e 27 della Costituzione.

3. - Ritiene peraltro la Corte che questa interpretazione della norma impugnata non possa essere condivisa.

É da rilevare, infatti, anzitutto, che, se pure la formula del secondo comma della legge sancisce l'automatismo della reiterazione della sorveglianza, l'accertamento dell'esistenza delle condizioni perché tale meccanismo possa e debba funzionare é indubbiamente di stretta competenza del magistrato, trattandosi di limitazione della libertà personale che l'art. 13 della Costituzione affida appunto ad atto motivato dell'autorità giudiziaria, ed essendo canone ermeneutico comunemente accettato il ricercare nelle norme il senso più conforme alla Costituzione, s'intende ove ciò, come nella specie, sia consentito dalla lettera e dallo spirito della disposizione.

Ed é di conforto a tale conclusione il rilievo che i criteri generali, regolanti l'applicazione delle misure di prevenzione, segnatamente desumibili dal complesso delle disposizioni di cui agli artt. da 1 a 4 della legge in esame, sono conformi al rispetto del citato principio costituzionale. Invero l'adozione delle misure stesse é affidata all'autorità giudiziaria, attraverso un procedimento in cui operano i principi fondamentali del processo penale, dalla contestazione dell'accusa, all'esercizio del diritto di difesa, al doppio grado di giurisdizione, al divieto di reformatio in peius in difetto di impugnazione del pubblico ministero.

Pertanto, può sicuramente affermarsi che occorrerà sempre la pronunzia del giudice che accerti il verificarsi delle condizioni necessarie perché si possa procedere alla reiterazione della sorveglianza, e che ne determini in concreto i limiti temporali.

É, d'altra parte, evidente che mal si concilierebbe con la palesata cura del legislatore nel tracciare i criteri di garanzia processuale sopra richiamati, la sospensione del termine originario di scadenza della sorveglianza nel senso supposto dal giudice a quo, cioè per effetto della mera esistenza di una denunzia, dovendosi invece ragionevolmente ritenere che, là dove la legge prevede come condizione essenziale per la cessazione di diritto dell'applicazione della sorveglianza la circostanza che il sorvegliato non abbia "commesso" un reato, intende che l'esclusione della condizione medesima, cioè la commissione del reato, risulti da sentenza passata in giudicato, parallelamente a quanto, come si é visto, é disposto ai fini della reiterazione della misura. Diversamente opinando, si opererebbe, in definitiva, una sostanziale equiparazione fra l'esistenza di una denunzia e il giudizio definitivo sul fatto denunziato, ai fini dell'applicazione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, istituendo una ingiustificabile differenziazione tra la disciplina del caso di reiterazione della sorveglianza e quello della cessazione di diritto, che sarebbe impedita dalla mera pendenza di una denunzia.

Pertanto, tale pendenza, in mancanza di una definitiva sentenza al riguardo, non può produrre alcun effetto sul termine primitivo di scadenza della sorveglianza, il quale continua a decorrere normalmente, e se viene a spirare prima che si abbia il giudicato e l'esecuzione della sorveglianza, deve senz'altro cessare.

4. - Così interpretate le norme impugnate, vengono evidentemente a cadere i motivi delle doglianze sollevate dal giudice a quo. Infatti, la reiterazione dell'applicazione della sorveglianza in caso di condanna consegue ad un provvedimento del giudice emanato nei modi di legge previa contestazione dei necessari presupposti, e sono quindi osservate le esigenze formali della previsione legale e dell'atto motivato dell'autorità giudiziaria, poste dall'art. 13 Cost. a garanzia della tutela della libertà personale.

Esclusa la fondatezza della censura suddetta, cade altresì quella attinente alla presunta violazione del diritto di difesa logicamente subordinata alla prima, come é, del resto, espressamente riconosciuto nella stessa ordinanza di rinvio.

Infine, esclusa la lamentata incidenza delle denunzie o delle pendenze relative ai reati riferiti al periodo di applicazione originaria sulla scadenza del termine di applicazione della misura, appare evidentemente insussistente il contrasto con l'art. 27 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), sollevata con l'ordinanza di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 13, 24 e 27 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI – Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Luigi BROSIO - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 14 gennaio 1974.