Sentenza n.166 del 1973
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SENTENZA N. 166

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1971 dal tribunale di Varese nel procedimento penale a carico di Gambacci Walter Urano e Gianni Edgardo, iscritta al n. 380 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 del 24 novembre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

Ritenuto in fatto

1. - Nel procedimento penale a carico di Walter Urano Gambacci e di Edgardo Gianni rinviati a giudizio per avere, nella rispettiva qualità di diplomato in odontotecnica e protesi dentaria e di medico chirurgo, causato con le loro condotte colpose la morte di Caterina Pace, il tribunale di Varese, in sede dibattimentale, con ordinanza del 12 luglio 1971, sollevava, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 del codice penale "i quali consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare".

Il giudice a quo ricordava che la difesa del Gambacci aveva prospettato l'esistenza di un possibile contrasto con il principio di eguaglianza del combinato disposto dei detti articoli in relazione all'art. 2236 del codice civile; e che il pubblico ministero aveva concluso per la non manifesta infondatezza della questione. Osservava che, secondo il costante insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, "la penale rilevanza della colpa professionale non possa configurarsi altrimenti che nel quadro della colpa grave richiamata dall'articolo 2236 c.c. e nel carattere di inescusabilità"; che in tale situazione normativa, dal disposto dei citati articoli del codice penale risultava una disciplina differente a seconda che il soggetto attivo del reato fosse o no un professionista in possesso di titolo accademico; e che il giudizio di rimprovero della condotta umana (di contenuto essenzialmente normativo) veniva in concreto condizionato dal tipo di attività esercitato dal detto soggetto attivo del reato.

Nella specie il contrasto con il principio di eguaglianza, ad avviso del giudice a quo, sarebbe particolarmente evidente perché il "grado della colpa" di due condotte, che secondo l'accusa avrebbero concorso alla produzione di un unico evento lesivo, dovrebbe essere preso in esame come "elemento di discriminazione per la formulazione del giudizio di colpevolezza degli imputati" e perché a parità di grado di colpa sarebbero ricollegate conseguenze diverse sul piano dell'applicazione della legge penale con esclusivo riguardo alla professione esercitata dagli imputati.

2. - L'ordinanza veniva ritualmente comunicata, notificata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 24 novembre 1971).

Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti. Spiegava invece intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

L'Avvocatura generale dello Stato premetteva che nessun contrasto era dato ravvisare tra gli articoli 589 e 42 del codice penale e l'art. 3 della Costituzione. Aggiungeva che probabilmente le argomentazioni del tribunale si riferivano all'art. 43, comma terzo, dello stesso codice, ma escludeva che anche in tal caso la questione potesse dirsi fondata. Infatti che al giudice sia lasciato di apprezzare se in una determinata fattispecie vi sia stata colpa, rientra nel naturale ambito di valutazione a lui commesso dalla legge; e nel compiere tale valutazione é palese che il giudice debba riferirsi al comportamento specifico posto in essere dal soggetto o a questo riferibile, tenendo presenti le caratteristiche della concreta fattispecie sottoposta al suo esame.

Quanto poi al richiamo contenuto nell'ordinanza all'articolo 2236 del codice civile, l'Avvocatura rilevava che rispetto a detta norma non era sollevata alcuna questione di costituzionalità e che al riguardo, comunque, potevano valere in contrario le precedenti considerazioni.

Considerato in diritto

1. - Secondo il tribunale di Varese gli artt. 589 e 42 del codice penale, per cui é penalmente responsabile chi cagiona per colpa la morte di una o più persone (omicidio colposo) o di chi commette altro delitto colposo, sarebbero in contrasto con il principio di eguaglianza nella parte in cui "consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare".

Tali norme, considerato che "la penale rilevanza della colpa professionale non possa configurarsi altrimenti che nel quadro della colpa grave richiamata dall'art. 2236 c.c. e nel carattere di inescusabilità", vengono infatti ad assumere una struttura elastica, suscettibile, in quanto tale, di contenuti diversi, a seconda che il soggetto nei cui confronti deve trovare applicazione, sia o no un "professionista" in possesso di titolo accademico.

E per l'ipotesi - che secondo la tesi accusatoria si sarebbe verificata nella specie - in cui due condotte concorrano alla produzione dell'unico evento lesivo, da un canto "il grado della colpa" gioca "come elemento di discriminazione per la formulazione del giudizio di colpevolezza degli imputati" e dall'altro, a parità di grado di colpa sono collegate conseguenze diverse sul piano dell'applicazione della legge penale, con esclusivo riguardo alla professione esercitata dagli imputati.

2. - La particolare disciplina in tema di responsabilità penale, desumibile dagli artt. 589 e 42 (e meglio, 43) del codice penale, in relazione all'art. 2236 del codice civile, per l'esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, é il riflesso di una normativa dettata (come si legge nella relazione del Guardasigilli al codice civile n. 917) "di fronte a due opposte esigenze, quella di non mortificare la iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista" stesso.

Ne consegue che solo la colpa grave e cioè quella derivante da errore inescusabile, dalla ignoranza dei principi elementari attinenti all'esercizio di una determinata attività professionale o propri di una data specializzazione, possa nella indicata ipotesi rilevare ai fini della responsabilità penale.

Siffatta esenzione o limitazione di responsabilità, d'altra parte, secondo la giurisprudenza e dottrina, non conduce a dover ammettere che, accanto al minimo di perizia richiesta, basti pure un minimo di prudenza o di diligenza. Anzi, c'é da riconoscere che, mentre nella prima l'indulgenza del giudizio del magistrato é direttamente proporzionata alle difficoltà del compito, per le altre due forme di colpa ogni giudizio non può che essere improntato a criteri di normale severità.

3. - Stante ciò, se si passa alla considerazione dell'intera normativa denunciata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, é agevole constatare che la questione non é fondata.

Il differente trattamento giuridico riservato al professionista la cui prestazione d'opera implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, e ad ogni altro agente che non si trovi nella stessa situazione, non può dirsi collegato puramente e semplicemente a condizioni (del soggetto) personali o sociali. La deroga alla regola generale della responsabilità penale per colpa ha in sé una sua adeguata ragione di essere e poi risulta ben contenuta, in quanto é operante, ed in modo restrittivo, in tema di perizia e questa presenta contenuto e limiti circoscritti.

D'altra parte, l'asserita disparità di trattamento non può essere individuata nel fatto che per la formulazione del giudizio di colpevolezza degli imputati il "grado della colpa" operi come elemento di discriminazione, o che sul piano dell'applicazione della legge penale a parità di grado di colpa siano ricondotte conseguenze diverse, perché codesti due profili hanno il loro logico e sufficiente riscontro nella premessa già esaminata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 del codice penale, nella parte in cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare, questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dal tribunale di Varese con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 novembre 1973.