Sentenza n.164 del 1973
 CONSULTA ONLINE 


SENTENZA N. 164

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 116 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 (disposizioni sull'assegno bancario e sull'assegno circolare), nonché dell'intero regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 27 novembre 1971 dal pretore di Napoli nel procedimento penale a carico di Starace Roberto, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972;

2) ordinanza emessa il 17 giugno 1972 dal pretore di Tricase nel procedimento penale a carico di De Donno Bruno, iscritta al n. 269 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 233 del 6 settembre 1972;

3) ordinanza emessa il 15 novembre 1972 dal pretore di Terralba nel procedimento penale a carico di Gogoni Milia Antonio, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 18 aprile 1973;

4) ordinanza emessa il 26 aprile 1972 dal pretore di Castelbaronia nel procedimento penale a carico di Pagliarulo Giuseppe Antonio, iscritta al n. 311 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di Costituzione di Starace Roberto;

udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1973 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi gli avvocati Pasquale Serpico e Raniero Quattrocchi, per lo Starace, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 27 novembre 1971, nel corso di un procedimento penale a carico di Roberto Starace, il pretore di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 116 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, in relazione ai principi generalmente accolti in materia di delegazioni legislative e consacrati nel vigente ordinamento nell'art. 76 della Costituzione.

Rileva il pretore che l'art. 3 della legge 31 gennaio 1926, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, disponeva che il Governo potesse emanare tali norme quando fosse "a ciò delegato da una legge ed entro i limiti della delegazione" e che la legge di delegazione 30 dicembre 1923, n. 2814, aveva nella specie autorizzato il Governo ad emanare, fra l'altro, un nuovo codice di commercio, previo esame e parere di apposita Commissione parlamentare: il decreto delegato contenente disposizioni sull'assegno bancario, sull'assegno circolare e su alcuni titoli speciali dell'Istituto di emissione, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia sarebbe stato, invece, emesso il giorno precedente a quello in cui il Presidente di detta Commissione ebbe ad inviare il prescritto parere ai Presidenti dei due rami del Parlamento per il successivo inoltro al Governo. L'inosservanza dell'obbligo di udire il parere in questione determinerebbe, perciò, l'illegittimità, alla stregua dei principi a quell'epoca vigenti, della normativa denunziata.

2. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate il 29 febbraio 1972 nelle quali, richiamate le vicende storiche e politiche che precedettero la formazione del decreto delegato n. 1736 del 1933, sostiene che, se é vero che i verbali e la relazione riassuntiva dei lavori della Commissione parlamentare furono trasmessi nei giorni successivi all'emanazione del decreto stesso, si trattò in effetti di un mero adempimento formalistico e per di più inutiliter datum, in quanto il Governo aveva già avuto modo di udire l'avviso della Commissione ed anzi di uniformarvisi, almeno per quanto riguarda l'art. 116, come risulterebbe dal raffronto tra il tenore dell'originario progetto governativo e del testo approvato dalla Commissione stessa nella seduta del 12 dicembre 1933.

Le conclusioni dell'Avvocatura dello Stato sono, pertanto, intese ad ottenere una pronuncia di infondatezza della questione.

3. - Si é costituito nel giudizio presso questa Corte anche l'imputato nel processo a quo, con memoria prodotta il 2 maggio 1972, nella quale chiede che il r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, sia dichiarato incostituzionale, sviluppando con ampia argomentazione le censure già espresse nell'ordinanza di rinvio.

4. - Identiche questioni di legittimità costituzionale sono state successivamente proposte, svolgendo analoga motivazione, dal pretore di Tricase, con ordinanza emessa il 17 giugno 1972, nel corso di un procedimento penale a carico di Bruno De Donno, e dal pretore di Terralba con ordinanza emessa il 15 novembre 1972, nel corso di un procedimento penale a carico di Antonio Gogoni Milia.

5. - Con altra ordinanza, emessa il 26 aprile 1972 nel corso di un procedimento penale a carico di Pagliarulo Giuseppe Antonio, imputato di bancarotta semplice, il pretore di Castelbaronia ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'intero r.d. 16 marzo 1942, n. 267, recante "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa", assumendo che tale decreto non avrebbe ottemperato al disposto dell'art.2 della legge di delegazione 30 dicembre 1923, n. 2814, e degli artt. 2 e 3 della legge di delegazione 24 dicembre 1925, n. 2260, che prescrivevano per la sua emanazione il parere obbligatorio, previo esame, da parte di una apposita Commissione parlamentare. La violazione di tale limite risulterebbe dalla stessa "formula di promulgazione", che a differenza di quella usata per altri decreti delegati della stessa epoca, usa l'ambigua espressione "sentito il parere delle Assemblee legislative" e darebbe pertanto luogo ad una ipotesi di contrasto con i principi costituzionali fondamentali operanti, anche prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, in materia di delegazione ai pubblici poteri.

6. - É intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate il 14 novembre 1972, nelle quali - precisato che la questione va comunque esaminata solo con riferimento alla norma (art. 217 della legge in oggetto) da applicare nel caso concreto - rileva che, anche a voler prescindere dalla menzione nel preambolo della audizione del "parere delle Assemblee legislative", la ipotizzata audizione della Commissione parlamentare, seppure ammissibile in base alle ricordate precedenti leggi di delegazione, doveva considerarsi ormai non più necessaria ed inoltre che, in ogni caso, la sua mancanza sarebbe stata priva di efficacia invalidante in ordine alla procedura seguita per l'emanazione dell'atto, in seguito alle modificazioni costituzionali determinate dagli eventi del regime fascista e, più specificamente, dopo la legge 31 gennaio 1926, n. 100, che era intervenuta a disciplinare in via tassativa e generale all'art. 3 il procedimento di formazione delle leggi delegate.

7. - Alla pubblica udienza l'Avvocato dello Stato e i difensori della parte costituita hanno ampliato le loro argomentazioni e ribadito le conclusioni già assunte.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze del pretore di Napoli, del pretore di Tricase e del pretore di Terralba sollevano identiche questioni di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 116 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, in relazione alla legge di delega 30 dicembre 1923, n. 2814; una questione sostanzialmente analoga, nei confronti invece dell'intero r.d. 16 marzo 1942, n. 267, sempre in relazione alla ora menzionata legge di delegazione del 1923 nonché a quella, successivamente intervenuta, del 24 dicembre 1925, n. 2260, è sollevata dall'ordinanza del pretore di Castelbaronia. I relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Come detto prima in narrativa, la questione si accentra sull'asserito contrasto delle disposizioni dei decreti testé ricordati con le disposizioni delle leggi di delegazione, prescriventi che i progetti dei decreti delegati fossero dal Governo sottoposti all'esame di quella stessa Commissione parlamentare che aveva dato parere in ordine alla legge di delega: con conseguente violazione, come si afferma, dei principi fondamentali operanti in tema di delegazioni legislative ancor prima della vigente Costituzione ed oggi consacrati nell'art. 76 di questa.

Stando all'assunto delle ordinanze, infatti, il Governo del tempo avrebbe emanato gli atti normativi in oggetto senza aver tempestivamente udito il parere della predetta Commissione parlamentare, in tal modo esorbitando dai limiti della delega.

3. - Non é necessario, ai fini del decidere, prendere in esame il più vasto problema dell'ammissibilità di un sindacato di questa Corte sulle leggi anteriori alla Costituzione della Repubblica, alla stregua dell'ordinamento costituzionale anteriore: del quale é dubbio, d'altronde, se e da qual momento avesse grado sopraordinato rispetto alla legge ordinaria nella gerarchia delle fonti allora vigente.

Nella specie sulla quale la Corte é chiamata a pronunciarsi, é sufficiente, invece, richiamarsi alla sua precedente giurisprudenza in tema di delegazioni legislative disposte ed attuate prima della nuova Costituzione. Gli atti normativi denunciati nelle ordinanze, benché promananti da organi che non erano nell'ordinamento precostituzionale, e non sono nell'ordinamento in vigore, istituzionalmente investiti di potestà legislativa ordinaria, sono fonti equiparate a leggi formali ordinarie, perché ed in quanto fondantisi sopra delegazioni del potere legislativo. Ne consegue che, mentre a siffatte deleghe esauritesi in epoca anteriore, non sarebbe retroattivamente applicabile l'art. 76 della Costituzione sopravvenuta, non può tuttavia essere precluso a questa Corte di accertare se il Governo si fosse mantenuto entro i limiti della delegazione conferitagli, poiché, ove così non fosse, gli atti da esso adottati non avrebbero potuto, e non potrebbero, avere validamente forza di legge formale.

Ora, l'affermata omessa audizione del parere della Commissione parlamentare (peraltro non vincolante, pur se obbligatoriamente prescritto dalle leggi di delega) non varrebbe (anche se, in punto di fatto, il rilievo corrispondesse a verità) ad escludere il rapporto di continenza della normativa dettata dal Governo rispetto all'ambito della materia in ordine alla quale la delega gli era stata concessa.

Se si prescinde, infatti, come si deve, per le ragioni poc'anzi accennate, trattandosi di deleghe anteriori alla vigente Costituzione, dalle più rigorose condizioni oggi stabilite dall'art. 76, il solo tratto essenziale e logicamente caratterizzante della equiparabilità, in virtù di delega, di un atto non promanante dagli organi del potere legislativo alla legge formale, sta nel rispetto dei limiti di materia (ed eventualmente, ove prefissati, di tempo) della delega medesima, e non anche nell'osservanza di tutte le modalità d'esercizio del potere delegato, che, di volta in volta, gli organi deleganti abbiano ritenuto di ulteriormente stabilire.

E poiché non é contestato che le disposizioni denunciate incidono sulle materie che furono oggetto delle leggi di delega, la questione risulta chiaramente priva di fondamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 116 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, recante "Disposizioni sull'assegno bancario e sull'assegno circolare", e dell'intero r.d. 16 marzo 1942, n. 267, recante "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa", sollevate, in riferimento ai principi costituzionali generalmente accolti anche nell'ordinamento anteriore alla Costituzione repubblicana in materia di delegazioni legislative ed all'art. 76 della Costituzione, dal pretore di Napoli, dal pretore di Tricase, dal pretore di Terralba e dal pretore di Castelbaronia con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 novembre 1973.