Sentenza n.161 del 1973
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SENTENZA N. 161

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 62, primo, terzo e quarto comma, del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 28 ottobre 1971 dal pretore di Pisa nel procedimento penale a carico di Cannistrà Mario e Antonelli Ivano, iscritta al n. 483 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 del 9 febbraio 1972.

Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1973 i1 Giudice relatore Enzo Capalozza.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale per la violazione dell'obbligo di iscrizione di un portiere nell'apposito registro dell'autorità di pubblica sicurezza, iniziato nei confronti di Mario Cannistrà per aver adibito alle suddette mansioni Ivano Antonelli, e nei confronti di quest'ultimo per aver svolto la propria opera senza la suddetta iscrizione, il pretore di Pisa, con ordinanza 28 ottobre 1971, ha sollevato, in riferimento al primo e secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del primo, terzo e quarto comma dell'art. 62 del t.u. delle leggi di p.s., approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773.

Premesso che le pene ivi previste sono diverse e quella a carico del lavoratore (terzo comma: arresto da uno a tre mesi e ammenda da lire 40.000 a lire 200.000) é più grave di quella a carico di chi lo abbia adibito al servizio (quarto comma: ammenda da lire 80.000 a lire 240.000), i1 pretore afferma che le relative condotte, siano esse da considerarsi come forma di compartecipazione ad un reato unico, ovvero come distinte figure di reato, danno luogo al medesimo evento. La differenza di trattamento punitivo, pertanto, andrebbe ricercata unicamente nella diversità delle rispettive situazioni sociali, e sarebbe, comunque, priva di una qualsiasi ragionevolezza, in contrasto con il principio di eguaglianza.

Al riguardo, il pretore richiama ipotesi normative analoghe che prevedono, per il lavoratore, una pena più lieve di quella comminata per il datore di lavoro (art. 14 legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla mancanza di libretto sanitario di addetto alla manipolazione di sostanze alimentari), ovvero puniscono soltanto il datore di lavoro (art. 12 legge 10 gennaio 1935, n. 112, sull'assunzione di lavoratori privi del libretto di lavoro; legge 22 marzo 1908, n. 105, sul lavoro notturno dei fornai; art. 8 legge 14 luglio 1959, n. 741, sulle violazioni dei contratti collettivi resi obbligatori erga omnes).

Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte.

Considerato in diritto

1. - Il pretore di Pisa, con l'ordinanza in epigrafe, lamenta che sia comminata una sanzione diversa contro chi adibisca a portiere del proprio albergo persona non iscritta nell'apposito registro dell'autorità di pubblica sicurezza e contro chi, contravvenendo all'obbligo di iscriversi in tale registro-obbligo che gli é imposto, qualora non rivesta la qualità di guardia particolare giurata - presti la propria opera come portiere d'albergo: sanzione meno grave per il primo (ammenda da lire 80.000 a lire 240.000: art. 62, quarto comma, t.u. delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773) e più grave per il secondo (arresto da uno a tre mesi e ammenda da lire 40.000 a lire 200.000: art. 62, terzo comma). Siffatto differenziato trattamento penale sarebbe in contrasto con l'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione.

2. - La illegittimità si concreterebbe in una duplice violazione del principio di eguaglianza, in quanto la legge, senza un ragionevole motivo, farebbe "un trattamento diverso a cittadini che si trovano in condizioni eguali" (art. 3, primo comma, Cost.): e in quanto il trattamento é più severo per il "soggetto economicamente, culturalmente e socialmente più debole, quale deve presumersi sia il lavoratore rispetto al datore di lavoro o al rappresentante di questi": ciò che si risolverebbe - a detta del pretore - in un ingiustificato aggravio della situazione di cittadini che la Costituzione intende, invece, proteggere in maggior grado (art. 3, secondo comma).

3. - Le censure sono infondate.

É decisivo il rilievo che i destinatari della norma che impone l'iscrizione nel registro di polizia sono coloro che intendano esplicare mansioni di portieri (o di custodi), i quali hanno "un dovere di sorveglianza al fine della prevenzione di reati contro persone o cose, da adempiere anche in relazione all'interesse di soggetti estranei al rapporto di lavoro" (sentenza n. 7 del 1966 di questa Corte). Il che é fatto palese, in primo luogo, dall'esatta individuazione dell'oggetto della tutela giuridico-penale ed é confermato dal primo comma dell'art. 113 del Regolamento 6 maggio 1940, n. 635, per l'esecuzione del t.u. il quale detta che "l'autorità di p.s., nel provvedere sulle domande per la iscrizione nel registro dei portieri, valuta, con criteri discrezionali, l'idoneità morale dell'aspirante ed in particolare accerta se, per età, condizioni di salute, intelligenza, egli sia in grado di spiegare la necessaria vigilanza e di opporsi efficacemente alla consumazione di azioni delittuose" (il requisito dell'idoneità politica é uti non esset, perché, nel sistema vigente, il rispetto incondizionato delle libertà politiche, oltrechè sindacali e religiose, é un limite che non é valicabile dalla discrezionalità amministrativa: vedansi le motivazioni delle sentenze di questa Corte n. 30 del 1961 e n. 7 del 1966); in secondo luogo, dal comma successivo dello stesso art. 113, il quale reca che "il portiere é tenuto a corrispondere ad ogni richiesta dell'autorità di p.s. e a riferire ogni circostanza utile ai fini della prevenzione generale e della repressione dei reati". Ed é confermato, altresì, dal secondo comma dell'art.62 del t.u., che, imponendo la rinnovazione annuale dell'iscrizione (e la sanzione é quella dell'art. 17: arresto sino a tre mesi o ammenda sino a lire 80.000), esonera - giusta l'insegnamento della Cassazione - da penale responsabilità il datore di lavoro, il quale, dopo un'assunzione regolare del portiere, si trovi, in prosieguo, ad avere alle dipendenze un prestatore d'opera che l'iscrizione non abbia rinnovato.

4. - L'iscrizione nel registro é una forma di autorizzazione amministrativa, senza la quale non possono essere esercitate le attività inerenti alla qualifica di portiere (o di custode). E le ottemperanze a carico dell'aspirante non soltanto non riguardano il proprietario (o l'amministratore) dello stabile o dell'esercizio o dell'ufficio, ma sono, anzi, imposte anche nel di lui interesse: l'interesse ad avere un portiere (o un custode) efficiente e fidato. Ciò é sufficiente a dimostrare che l'art. 62 prevede non un illecito unico o identico o, comunque, equivalente, ma illeciti convergenti.

Il comportamento del datore di lavoro, penalmente sanzionato in modo autonomo, consiste, di solito, in una mera trascuratezza, in una omissione di informativa: una negligenza che può risolversi in un pregiudizio per lui. Ed é del tutto irrilevante la circostanza che il prestatore d'opera possa essere economicamente, socialmente e culturalmente più debole del datore di lavoro.

5. - Questa Corte, nella motivazione della sentenza n. 77 del 1972, ha già avuto occasione di intrattenersi sulla figura e sui compiti funzionali del portiere, che attengono a diverse branche del diritto, e più al diritto pubblico che a quello privato.

E, sia pure a seguito di una prospettazione diversa (artt. 4 e 35 Cost.), la Corte, con la mentovata sentenza n. 7 del 1966, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 62 del t.u., come quello che attribuisce all'autorità amministrativa un potere discrezionale né ingiustificato né illimitato, sia perché il servizio di portierato implica un dovere di sorveglianza per la prevenzione di reati contro persone o cose e presenta peculiarità che postulano un preventivo vaglio delle qualità personali di chi aspira ad esercitarlo; sia perché il non accoglimento della richiesta iscrizione deve avere una motivazione che rispetti le libertà sindacali e religiose del soggetto e si fondi su fatti certi e tali da escludere la idoneità del richiedente all'esercizio del delicato compito. Considerazioni che si richiamano qui in quanto mostrano, sia pure implicitamente, la difformità tra le due ipotesi di illecito che il legislatore, nella sua discrezionalità, distintamente prevede e punisce nell'art. 62 del testo unico.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 62, primo, terzo e quarto comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, sollevata dal pretore di Pisa con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1973.