Sentenza n.159 del 1973
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SENTENZA N. 159

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 466 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 luglio 1971 dal pretore di Fornovo Taro nel procedimento penale a carico di Cantarelli Enore, iscritta al n. 364 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 del 24 novembre 1971.

Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1973 i1 Giudice relatore Luigi Oggioni.

Ritenuto in fatto

Il pretore di Fornovo Taro con ordinanza 7 luglio 1971, emessa nel procedimento penale a carico di Cantarelli Enore, imputato di corruzione di minorenne, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 466 del codice di procedura penale nella parte in cui, permettendo la lettura in dibattimento dei rapporti di polizia giudiziaria, consentirebbe la divulgazione di quei fatti contenuti nel rapporto che siano lesivi dell'onore e del decoro dell'imputato e, non avendo riscontro in valide prove, siano frutto di impressioni o giudizi arbitrari.

Secondo il giudice a quo, l'impugnata disposizione contrasterebbe con l'art. 2 Cost., in quanto la conoscenza pubblica dei fatti offenderebbe la dignità umana del prevenuto, con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto lo porrebbe in una condizione di inferiorità "rispetto all'imputato in genere" e romperebbe il giusto equilibrio e la parità fra accusa e difesa, e con l'articolo 27 Cost., in quanto sarebbe inconciliabile con la presunzione d'innocenza che dovrebbe accompagnare l'imputato fino al riconoscimento definitivo della sua colpevolezza.

Il contrasto con la garanzia di difesa, secondo il pretore, dovrebbe più precisamente ravvisarsi nella circostanza che la lettura in dibattimento delle parti del rapporto obiettivamente lesive della reputazione dell'imputato, potendo essere ordinata anche d'ufficio dal giudice, non troverebbe alcun limite esterno in un correlativo potere della difesa di impedirne la divulgazione; la lettura in esame, inoltre, condurrebbe ad una specie di condanna morale anticipata, e non sarebbe necessaria ai fini della conformità delle pene ai criteri di cui all'art. 133 del codice penale, potendo la personalità del reo essere analizzata in modo autonomo dal magistrato, attraverso l'esame "di ogni componente idonea a fondare la sua decisione".

Non essendovi stata Costituzione di parti avanti a questa Corte, la causa é stata trattata in camera di consiglio.

Considerato in diritto

A fondamento della questione di legittimità dell'art. 466 del codice di procedura penale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, il giudice a quo pone sostanzialmente la presunta lesione della reputazione dell'imputato che deriverebbe dalla lettura di quelle parti del rapporto di polizia giudiziaria le quali, riflettendo "apprezzamenti e valutazioni" circa la di lui moralità "non ancorati a concreti elementi di prova perché frutto di impressioni raccolte nell'ambiente, e talvolta di giudizi del tutto gratuiti" inciderebbero sull'onore ed il decoro dell'imputato stesso, senza che la difesa possa opporvisi in nessun modo, data la facoltà del giudice di disporre detta lettura anche di ufficio.

Tale lesione si risolverebbe, altresì, nella violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. per lo stato di inferiorità che si verificherebbe a danno dell'imputato così inquisito e per la correlativa rottura della parità tra accusa e difesa.

La questione é, peraltro, infondata.

Occorre invero ricordare che l'art. 466 c.p.p. si richiama ai quattro articoli precedenti, facendo espressamente salvo quanto ivi disposto, e autorizza, quindi, la lettura di ufficio dei rapporti di polizia giudiziaria limitando l'oggetto della lettura stessa, per quanto riguarda le informazioni della pubblica autorità sulla moralità delle parti, a "fatti specifici atti a stabilire la personalità dell'imputato in relazione al reato o ad accertarne o ad escluderne la qualità di persona socialmente pericolosa", così come appunto disposto dall'art. 464 c.p.p. che detta disposizioni generali in materia di letture dibattimentali. Pertanto, il contenuto normativo della disposizione impugnata non si estende fino a consentire le valutazioni o gli apprezzamenti gratuiti cui fa riferimento l'ordinanza di rinvio, ma si limita a permettere l'acquisizione, attraverso il valido strumento informativo del rapporto di polizia giudiziaria, di elementi obiettivi da utilizzare in sede processuale ai fini della maturazione del libero convincimento del giudice sul fatto, in relazione alla personalità del soggetto che ne é incolpato.

La norma impugnata si uniforma, quindi, alla fondamentale esigenza della ricerca della verità, che domina il processo penale, e non si pone in contrasto con la garanzia di difesa.

E in base a concetti analoghi a quelli ora espressi la Corte, con la sentenza n. 154 in data odierna, ha, appunto, escluso il contrasto con il diritto di difesa, della facoltà di disporre anche d'ufficio la lettura in dibattimento delle deposizioni testimoniali istruttorie e delle dichiarazioni dei coimputati prosciolti, ai sensi degli artt. 462 n. 3, 463, 465 del codice di procedura penale.

D'altra parte, la difesa dell'imputato ha pur sempre modo di esplicarsi, compatibilmente con le esposte esigenze, mediante gli interventi resi possibili dalla necessaria specificità dei fatti e delle circostanze eventualmente riferiti nel rapporto. E ciò é conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'esercizio del diritto di difesa può essere adattato alle speciali caratteristiche dei vari momenti processuali in cui deve esplicarsi.

Le considerazioni che precedono valgono evidentemente ad escludere sia i profili di contrasto con l'art. 3 proposti nell'ordinanza, fondati sulla presunta illegittimità della lettura in esame, sia la sussistenza della lamentata violazione dell'art. 2 Cost., dato che la lettura stessa, nei limiti sopra precisati, risponde a legittimi fini di giustizia, e non può pertanto ritenersi lesiva della dignità umana dell'imputato.

É infine fuori luogo il richiamo all'art. 27 Cost. perché la disposizione impugnata, lungi dall'implicare una presunzione di colpevolezza a carico dell'imputato prima della condanna, concerne solo l'ingresso in sede processuale di elementi da sottoporre al vaglio del giudice ai fini della futura pronunzia sulla eventuale colpevolezza dell'imputato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 466 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente la lettura d'ufficio in dibattimento dei rapporti di polizia giudiziaria, sollevata con ordinanza del pretore di Fornovo Taro in data 7 luglio 1971 in riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 27 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1973.