Sentenza n.148 del 1973
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SENTENZA N. 148

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 216 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 2 agosto 1972 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze nel procedimento per misure di sicurezza a carico di Cosimi Ludovico, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972.

Udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1973 il Giudice relatore Leonetto Amadei.

Ritenuto in fatto

1. - Cosimi Ludovico, detenuto in espiazione di pena nella casa di reclusione di Firenze e prossimo alla scarcerazione, inoltrava, al giudice di sorveglianza, istanza di revoca della misura di sicurezza di assegnazione a casa di lavoro, inflittagli con la sentenza di condanna, adducendo la sopravvenuta invalidità al lavoro.

Il giudice di sorveglianza, dato atto che, effettivamente, l'inabilità al lavoro era sopravvenuta durante lo stato di detenzione, e affermata la propria competenza a valutare, ex articolo 635 cod. proc. pen., le possibili conseguenze dell'evento invalidante sulla esecuzione della misura di sicurezza, sollevava, con ordinanza datata 2 agosto 1972, questione di legittimità costituzionale dell'art. 216 cod. pen., in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 38 della Costituzione, nella parte in cui impone o rende facoltativa l'applicazione della casa di lavoro senza tener conto delle condizioni fisiche del soggetto.

2. - L'ordinanza esamina l'asserito contrasto dell'articolo 216 cod. pen. con i richiamati precetti costituzionali in una diffusa motivazione, che, nei suoi aspetti essenziali, può riassumersi nella seguente proposizione: non può ritenersi legittima l'applicazione della misura di sicurezza della casa di lavoro ad un soggetto in condizioni di capacità lavorativa notevolmente ridotta, avuto riguardo alla funzione che il lavoro é destinato ad assumere nella struttura della misura stessa e alla particolare tutela prevista dalla Costituzione a favore degli inabili al lavoro.

3. - Con diretto riferimento all'art. 38, secondo comma della Costituzione, il proponente osserva che, in forza delle disposizioni normative e regolamentari, la prestazione lavorativa imposta all'internato non differisce, nella sostanza, da quel tipo di lavoro subordinato in senso tecnico, destinato ad inserirsi nel vasto quadro delle previdenze poste, a tutela dei lavoratori, dalla Costituzione. Tale tutela, pertanto, verrebbe disattesa con la sottoposizione, senza limitazione alcuna, ad un'attività lavorativa obbligatoria di soggetti fisicamente non idonei ad essa.

4. - L'asserito contrasto della norma con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, viene presentato sotto due distinti profili, uno specifico e l'altro generico.

Sotto l'aspetto specifico sarebbe illegittimo accomunare ad una stessa disciplina giuridica tanto soggetti invalidi quanto soggetti validi al lavoro. Mentre per i secondi si avrebbe una concreta assegnazione ad un lavoro pienamente retribuito e in grado di corrispondere al loro reinserimento nella società per i primi, invece, l'assoggettamento ad uno sforzo fisico inaccettabile ed insostenibile, determinerebbe un maggiore stato di frizione tra il soggetto e l'organizzazione sociale, con un inevitabile risultato in opposizione ai fini.

Sotto l'aspetto generico la violazione del principio d'uguaglianza sarebbe sostanzialmente determinata dagli stessi motivi posti a base della violazione dell'art. 38 della Costituzione. Infatti, si assume che gli invalidi, destinatari della norma di cui all'art. 216 cod. pen., verrebbero a trovarsi, a parità di condizioni fisiche, in situazione giuridica diversa con gli altri invalidi che destinatari della norma non lo sono; mentre, per il precetto costituzionale, la invalidità dovrebbe determinare effetti comuni a tutti, incensurati o no, delinquenti abituali o no.

5. - Il conflitto tra la norma penale e il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione é prospettato nel senso che la misura di sicurezza, così come é strumentalizzata dal codice vigente, non sarebbe in grado di assolvere alla sua funzione. Lo Stato, per legittimarla, dovrebbe rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana e determinano quei fenomeni di conflittualità sociale che stanno, spesso, alla base di una condotta antigiuridica.

Nessuna parte si é costituita in questa sede.

Considerato in diritto

1. - Il giudice di sorveglianza di Firenze denuncia, con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, la illegittimità costituzionale dell'art. 216 del codice penale, nella parte in cui impone, o rende facoltativa, l'applicazione della misura di sicurezza della casa di lavoro senza alcuna limitazione attinente alle condizioni di invalidità al lavoro del soggetto alla stessa misura sottoposto.

2. - Il contrasto tra la norma impugnata e l'art. 38 della Costituzione é prospettato, sia pure con più ampia motivazione, negli stessi termini delle due ordinanze che dettero luogo alla sentenza n. 167 del 1972 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale. Sotto questo aspetto, pertanto, la proposta questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

3. - É altresì infondata la questione nel suo riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione.

L'art. 216 c.p. non viola il principio di eguaglianza, né sotto il profilo generico, né sotto il profilo specifico indicati nell'ordinanza.

Si afferma, a riguardo, che la violazione del principio di eguaglianza, in senso generico, si avrebbe con l'assoggettare gli invalidi al lavoro, destinatari della norma di cui all'articolo 216 c.p., ad una disciplina giuridica di coercizione in antitesi con la posizione di tutela costituzionale propria dei lavoratori invalidi e in quanto tali. L'assunto generalizza il concetto di eguaglianza oltre i limiti costituzionali che ad esso sono propri. Vale osservare che, nel raffronto prospettato, non é ravvisabile in alcun modo una identità di situazioni giuridiche per effetto della comune condizione fisica, che, nel caso, é estrinseca all'essenza del principio di eguaglianza. V'é una situazione soggettiva, tipica, assorbente di ogni altra, nell'invalido al lavoro destinatario della norma impugnata: la sua condizione di socialmente pericoloso a causa e per effetto della sua condotta antigiuridica. Lo stato di invalidità potrà esercitare il suo peso ad altri fini, ma non certamente sulle conseguenze proprie di ogni comportamento penalmente illecito.

Il principio di eguaglianza non é neppure violato sotto l'ulteriore particolare profilo secondo il quale sarebbe costituzionalmente illegittimo sottoporre ad uno stesso trattamento - casa di lavoro - tanto soggetti validi, quanto soggetti invalidi, nonostante l'identica condizione giuridica di socialmente pericolosi.

In più sentenze, questa Corte, ha preso in esame il fondamento giuridico delle misure di sicurezza e, per ultimo, nella richiamata sentenza n. 167 del 1972. Ha, la Corte, affermato che presupposto delle misure di sicurezza é la pericolosità sociale del soggetto al quale vengono applicate. Da tale presupposto non é possibile discostarsi nello stabilire la legittimità costituzionale delle norme che regolano, nella loro diversa articolazione, tali misure, contemplate dall'art. 25 della Costituzione.

Le eventuali disarmonie del sistema in atto, sulle quali si impernia e si diffonde la motivazione ampiamente critica dell'ordinanza, non assumono rilevanza ai fini del giudizio di costituzionalità della norma contestata e nei limiti e negli aspetti in cui é contestata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 216 del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 38 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;

b) non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 216 del codice penale, sollevata nella richiamata ordinanza, in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1973.