Sentenza n.135 del 1973
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SENTENZA N. 135

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 86, terzo comma, del r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito in legge 5 giugno 1939, n. 973 (riforma delle leggi sul lotto pubblico), promosso con ordinanza emessa il 18 giugno 1971 dal tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di Mendola Cirino, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 9 dicembre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1973 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento penale a carico di Mendola Cirino, imputato del reato di cui all'art. 86, comma terzo, del r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito in legge 5 giugno 1939, n. 973, il tribunale di Siracusa ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta in detto articolo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Nel presente giudizio le parti non si sono costituite, ma é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la dichiarazione di infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - Il tribunale di Siracusa ha denunziato per violazione del principio di uguaglianza l'art. 86, comma terzo, del r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito in legge 5 giugno 1939, n. 973, secondo il quale costituisce reato di peculato "il mancato versamento entro il giorno di giovedì di ciascuna settimana di tutta la somma delle riscossioni della settimana precedente, fatta deduzione soltanto delle somme pagate per vincite e dell'acconto d'aggio spettante al ricevitore del lotto".

Essendo irrilevante - secondo l'ordinanza di rimessione - accertare se il ricevitore si sia o meno appropriato della somma incassata o l'abbia distratta a profitto proprio o di altri, la norma commina la stessa sanzione tanto al ricevitore, responsabile della omissione di versamento, sia pure non giustificata, protratta fino ad un certo giorno, quanto al comune peculatore di cui all'art. 314 cod. pen.; onde la violazione dell'art. 3 Cost. per trattamento uguale in situazioni disuguali.

2. - La questione non é fondata, perché il tribunale di Siracusa non ha interpretato esattamente la norma impugnata.

Ed infatti, la Corte di cassazione ha già ritenuto che il momento consumativo del reato contemplato nel sopraindicato art. 86 si realizza con l'appropriazione o distrazione della somma; ed ha aggiunto che é da escludere che la norma configuri un delitto commissivo perpetrato mediante la omissione del versamento, alla determinata scadenza, da parte del ricevitore. E questa Corte ritiene di far propria tale interpretazione, confortata dalle seguenti considerazioni.

In primo luogo é evidente che la dizione letterale dell'art. 86 "costituisce reato di peculato ai sensi del codice penale" richiama tutti gli elementi costitutivi, sia materiali sia psicologici, propri del peculato di cui all'art. 314 cod. pen. (appropriazione o distrazione dolosa del denaro o della cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione), e quindi richiede, per la sussistenza del reato, che alla omissione del versamento si accompagni siffatta appropriazione o distrazione.

In secondo luogo, la norma trova giustificazione - come bene osserva l'avvocato dello Stato - nell'intento del legislatore di eliminare le incertezze della dottrina, frequenti nel passato, sul se i ricevitori o gestori di banco lotto fossero pubblici ufficiali o, quanto meno, incaricati di pubblico servizio, ai fini della applicabilità agli stessi della norma sul peculato. Non fu dettata, cioé, allo scopo di creare un reato speciale avente caratteristiche diverse da quelle indicate dall'art. 314 del codice penale.

Pertanto, fra il ricevitore del lotto, che omette di versare la somma incassata appartenente alla pubblica amministrazione, appropriandosene o distraendola, ed il comune peculatore, non sussiste quella diversità di situazione, che l'ordinanza di rimessione pone a fondamento della asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 86, comma terzo, del r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito in legge 5 giugno 1939, n. 973 (riforma delle leggi sul lotto pubblico), questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dall'ordinanza 18 giugno 1971 del tribunale di Siracusa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1973.