Sentenza n.129 del 1973
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SENTENZA N. 129

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 25, terzo comma, della legge 5 marzo 1963, n. 246 (istituzione di imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 27 dicembre 1970 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra Del Mayno Giulia e il Comune di Varazze, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 del 12 maggio 1971;

2) ordinanza emessa il 5 maggio 1972 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile Vertente tra Cambiaso Rosa Pierina e il Comune di Savona, iscritta al n. 301 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972.

Visti gli atti di Costituzione di Del Mayno Giulia e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 maggio 1973 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con due ordinanze di identico contenuto emesse il 27 dicembre 1970 e il 5 maggio 1972, rispettivamente nei procedimenti civili vertenti tra Del Mayno Giulia e il Comune di Varazze e tra Cambiaso Rosa Pierina e il Comune di Savona, la Corte d'appello di Genova ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, comma terzo, della legge 5 marzo 1963, n. 246, per contrasto con le norme contenute negli artt. 53, comma primo, e 136, comma primo, della Costituzione.

In ordine al primo motivo d'incostituzionalità nelle ordinanze si osserva che la tassazione straordinaria a carico delle società di capitali e dei soggetti aventi un patrimonio di aree edificabili di valore globale superiore ai cento milioni, prevista dalla norma impugnata, può aver luogo, con carattere obbligatorio, solo nel caso in cui il Comune impositore abbia legittimamente e congiuntamente esercitato le facoltà previste dai precedenti due commi dello stesso articolo e precisamente nel caso in cui sia stata fissata la data di riferimento dell'imposta (fino al 1 gennaio del decimo anno anteriore a quello di adozione della delibera - comma primo) e l'applicazione retroattiva dell'imposta a carico di coloro che hanno alienato aree posteriormente alla data di riferimento, ma prima dell'entrata in vigore della legge (comma secondo).

Questo sistema di imposizione, unitariamente concepito nella formulazione originaria dell'art. 25, si presenterebbe ora monco di una sua componente, giacché la Corte ha dichiarato l'incostituzionalità del comma secondo del citato articolo (sent. n. 44 del 1966). La caducazione di questa norma dovrebbe quindi comportare l'incostituzionalità riflessa del terzo comma. Diversamente verrebbe ad istituirsi una diversità di trattamento, ai fini della capacità contributiva, tra il soggetto che abbia realizzato ed utilizzato l'incremento prima dell'entrata in vigore della legge ed il soggetto che abbia la mera titolarità di un cespite: il che contrasterebbe con la volontà del legislatore ch'era quella di considerare equipollenti le due ipotesi.

L'applicazione della norma impugnata, implicando una sia pur limitata efficacia del secondo comma (dichiarato incostituzionale), comporterebbe inoltre la violazione del principio di cui all'art. 136 Cost. secondo il quale la norma di legge dichiarata incostituzionale "cessa di avere efficacia" nella totalità dei suoi effetti e delle sue implicazioni.

Nel giudizio promosso con la prima ordinanza é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato e si é costituita la parte privata, rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Allorio e Ferruccio Carboni Corner.

Nel giudizio cui si riferisce la seconda ordinanza si é invece costituita la sola parte privata - rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Emanuele Granelli ed Ignazio Granelli - che ha però depositato fuori termini le proprie deduzioni.

Nelle proprie deduzioni, depositate in cancelleria il 25 maggio 1971, l'Avvocatura rileva anzitutto che la norma ora impugnata ha già formato oggetto di esame, proprio in riferimento all'art. 53 Cost., nella precedente sentenza n. 44 del 1966 della Corte ed il fatto che in detta occasione non ne fu dichiarata l'illegittimità conseguenziale ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, starebbe a dimostrare che la Corte non ritenne rilevante, sotto l'aspetto costituzionale, il collegamento esistente tra il secondo comma dell'art. 25, dichiarato illegittimo, ed il successivo terzo comma. Comunque la difficoltà di coordinamento venutasi a creare tra le norme rimaste in vigore é problema che può e deve essere risolto dal giudice ordinario in base ai comuni canoni dell'ermeneutica.

Ma, a parte tali rilievi, ad avviso dell'Avvocatura, il terzo comma dell'art. 25 può ben applicarsi prescindendo dall'applicazione del secondo comma, ma ricollegandosi semplicemente al primo, rimasto in vigore. Vi sarebbe, infatti, una chiara differenza tra le ipotesi disciplinate nei due commi in questione. Nel secondo comma era prevista la imposizione retroattiva di alienazioni di aree fabbricabili avvenute prima della istituzione del tributo e quindi su rapporti da tempo esauriti i cui effetti economici potevano non presentare alcuna positiva incidenza nella capacità contributiva dei soggetti colpiti; nel terzo comma, invece, l'imposta é diretta a colpire non atti pregressi di alienazione o di diretta utilizzazione di aree fabbricabili, ma il maggior valore acquistato nel tempo dalle aree secondo i principi fissati dalla legge.

Conclude, pertanto, l'Avvocatura per l'infondatezza della sollevata questione.

Nelle proprie deduzioni, depositate in cancelleria il 28 maggio 1971, la difesa della Del Mayno Giulia osserva preliminarmente che i profili di incostituzionalità dedotti dal giudice a quo rivestono carattere di novità. Questione identica a quella ora in esame era stata proposta dalla Commissione tributaria comunale di Savona, ma la Corte non entrò nel merito della stessa poiché pronunciò sentenza di inammissibilità (sent. 73 del 1969). Profili di incostituzionalità del tutto diversi da quelli ora prospettati ebbe invece ad esaminare la Corte con la precedente sentenza n. 44 del 1966 ed il fatto che in detta occasione non fu pronunciata l'incostituzionalità del comma terzo dell'art. 25 della legge n. 246 del 1963, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, non può essere interpretato come implicita dichiarazione di legittimità costituzionale della norma ora denunciata.

Passando al merito della questione, la difesa rileva che la tassazione ai sensi del terzo comma dell'art. 25 consegue all'esercizio di entrambe le facoltà previste dai precedenti commi. L'imposta straordinaria, pur non avendo in sé carattere retroattivo, forma tuttavia un unico ed inscindibile sistema con l'imposizione dei pregressi atti di realizzo, di tal che, venuta meno quest'ultima, il presupposto della prima ha perso ogni idoneità ad esprimere quella capacità contributiva che la titolarità di aree era venuta acquistando.

Da ciò la violazione dell'art. 53 Cost. giacché l'applicazione del terzo comma, dissociata dalla tassazione ex comma secondo, si risolverebbe in un prelievo non più giustificabile in termini di capacità contributiva.

Fondato, ad avviso della difesa, é anche il motivo di incostituzionalità in riferimento all'art. 136 della Costituzione. Ed invero l'applicazione dell'imposta straordinaria di cui al terzo comma presuppone e postula l'efficacia ed operatività del comma secondo, di una disposizione cioè che, a seguito della sua acclarata incostituzionalità, ha cessato di avere efficacia.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze indicate in epigrafe sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale; i relativi giudizi, congiuntamente discussi alla pubblica udienza, vanno pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Secondo il giudice a quo l'imposizione straordinaria sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili prevista dall'art. 25, comma terzo, della legge 5 marzo 1963, n. 246, a carico delle società di capitali e dei soggetti aventi un patrimonio di aree superiore a 100 milioni si fondava, nell'originaria formulazione dell'articolo impugnato, sul necessario presupposto del congiunto esercizio da parte del Comune impositore di entrambe le facoltà previste dai primi due commi dello stesso articolo (retrodatazione del termine di riferimento e applicazione retroattiva del tributo alle passate alienazioni); dalla dichiarata incostituzionalità del comma secondo (sent. n. 44 del 1966) deriverebbe l'incostituzionalità riflessa del comma terzo ora impugnato per contrasto con l'art. 53, comma primo, della Costituzione, giacché si sarebbe venuta a determinare una diversità di trattamento, ai fini della capacità contributiva, tra il soggetto che abbia realizzato o utilizzato l'incremento di valore dell'area prima dell'entrata in vigore della legge e il soggetto che abbia, invece, conservato la sola titolarità dell'area.

Assume inoltre il giudice a quo che, stante il nesso di conseguenzialità tra i primi due ed il terzo comma dell'art. 25, l'applicazione di quest'ultimo implicherebbe una sia pur limitata efficacia del comma secondo dichiarato incostituzionale, sicché si prospetterebbe l'ulteriore dubbio di costituzionalità in relazione all'art. 136, comma primo, Cost. ai sensi del quale la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia nella totalità dei suoi effetti e delle sue implicazioni.

3. - I motivi di incostituzionalità sopra enunciati non sono fondati.

Con la ricordata sentenza n. 44 del 1966 la Corte, nel decidere la questione di legittimità costituzionale dell'intero art. 25 della legge n. 246 del 1963, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., ebbe a dichiarare l'incostituzionalità del solo comma secondo rilevando che la facoltà dallo stesso prevista di sottoporre ad imposizione anche coloro che avessero alienato aree fabbricabili tra la data di riferimento e quella di entrata in vigore della legge dava luogo ad un'applicazione dell'imposta a rapporti esauriti senza che l'efficacia retroattiva della norma fosse sorretta da alcuna razionale presunzione che gli effetti economici dell'alienazione e del valore realizzato fossero rimasti nella sfera patrimoniale del soggetto. Nella stessa sentenza venne, per contro, espressamente dichiarata non fondata l'eccezione di incostituzionalità del terzo comma dell'art. 25, osservandosi che nella ipotesi da esso prevista l'aumento di valore che l'imposta colpisce é esistente nella sfera patrimoniale dell'intestatario dell'area fabbricabile al momento della deliberazione istitutiva dell'imposta straordinaria, ragion per cui il rapporto che deve sussistere tra imposizione e capacità contributiva non deve in questo caso considerarsi spezzato.

Dopo aver ricordato la sostanziale diversità dei motivi posti a base della differente pronuncia, occorre ora vedere se, venuto meno il comma secondo dichiarato incostituzionale sia o non suscettibile di autonoma applicazione l'imposizione straordinaria prevista dal comma terzo del ripetuto art. 25.

Osserva in proposito la Corte che non sussiste l'asserita connessione ed interdipendenza tra le due forme di imposizione.

Dal testo originario dell'art. 25 risulta che a taluni Comuni era data facoltà (comma primo) di retrodatare fino a dieci anni la data di riferimento; era altresì riconosciuta la facoltà (comma secondo) di applicare l'imposta sull'incremento di valore a carico di coloro che avessero alienato aree fabbricabili tra la predetta data e quella di entrata in vigore della legge; era, infine, fatto obbligo (comma terzo) di assoggettare a imposta straordinaria i soggetti indicati dall'art. 3 intestatari di aree fabbricabili alla data di istituzione del tributo.

Ora é di tutta evidenza la completa autonomia delle due imposizioni e la netta distinzione dei rispettivi presupposti. Nella prima si ha un'applicazione retroattiva del tributo all'incremento di valore realizzato con l'alienazione dell'area; nella seconda, invece, viene sottoposto a tassazione il plusvalore verificatosi a favore di quei soggetti che hanno conservato la proprietà delle aree nel periodo intercorrente tra la data di riferimento fissata ai sensi del primo comma o tra quella di posteriore acquisto e la data della deliberazione istitutiva dell'imposta.

L'accertata autonomia delle due imposizioni consente perciò di affermare che la dichiarazione d'incostituzionalità del comma secondo relativo alla tassazione retroattiva delle alienazioni di aree edificabili non costituisce impedimento all'applicazione dell'imposta in via straordinaria prevista dal terzo comma per quei Comuni che si siano avvalsi della facoltà ad essi concessa dal primo comma di retrodatare la data di riferimento.

Queste argomentazioni valgono ovviamente anche ad escludere la sussistenza del denunciato contrasto con l'articolo 136 Cost.; la norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la indicata sentenza ha cessato di avere efficacia, mentre valida ed operante permane l'imposizione in via straordinaria di cui al terzo comma dell'art. 25 essendo essa disgiunta e non presupponendo in alcun modo l'operatività della norma travolta con la precedente pronuncia di incostituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, comma terzo, della legge 5 marzo 1963, n. 246, sulla "Istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili", sollevata, con le ordinanze indicate in epigrafe, dalla Corte di appello di Genova, in riferimento agli artt. 53, comma primo, e 136, comma primo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1973.