Sentenza n.128 del 1973
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SENTENZA N. 128

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, lettere a e b, della legge 18 marzo 1968, n. 238; 1 e 5 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488; 9, 11 e 13 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1972 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Previti Umberto ed altri e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 237 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 30 agosto 1972.

Visti gli atti di Costituzione di Previti Umberto ed altri e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 maggio 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Renato Scognamiglio, per Previti Umberto ed altri, l'avv. Arturo Pittoni, per l'INPS, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel procedimento civile vertente tra Umberto Previti, Francesco Spaccamela, Giulio Borghetti, Luigi Ripamenti, Enzo De Sanctis, Enrico Perfetti, Ercole Perfetti, Giuseppe Spataro e Giovanni Battista Russo, e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, il tribunale di Roma, con ordinanza del 10 aprile 1972, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, lettere a e b, della legge 18 marzo 1968, n. 238 (nuovi termini per l'emanazione dei provvedimenti di cui all'art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903 e norme integrative della medesima), 1 e 5 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria) e 9, 11 e 13 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), per la parte in cui tali norme escludono dal beneficio della cosiddetta pensione "retributiva" i lavoratori pensionati anteriormente al 1 maggio 1968.

Davanti al tribunale, gli attori, i quali tutti erano stati ammessi al godimento della pensione di vecchiaia in data anteriore al 1 maggio 1968, avevano chiesto la condanna dell'INPS a riliquidare le loro pensioni dal 1 maggio 1968, dal 1 gennaio 1969 e dal 1 gennaio 1976 in misura pari rispettivamente al 65 per cento, al 74 per cento ed all'80 per cento della retribuzione da ciascuno di essi percepita nell'ultimo periodo di attività lavorativa, e preliminarmente avevano eccepito che fossero in contrasto con gli artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione, le norme di cui alla denuncia del tribunale (ma non anche l'art. 9 della legge n. 153 del 1969), nonché l'art. 39 lett. i della legge 21 luglio 1965, n. 903; e l'INPS aveva dichiarato di rimettersi alle determinazioni del tribunale in ordine alla proposta eccezione.

Per il tribunale la questione era "indubbiamente rilevante", giacché il giudizio non poteva essere definito indipendentemente dalla risoluzione di essa, ed appariva non manifestamente infondata.

A suo avviso, dalla legge n. 903 del 1965, dalla legge n. 238 del 1968, dal d.P.R. n. 488 del 1968 e dalla legge n. 153 del 1969 emergeva "l'esistenza di una disciplina legislativa differenziata per la liquidazione pensionistica basata esclusivamente sulla data del pensionamento": ed infatti "la pensione conseguita a parità di retribuzione e di anzianità di servizio, presenta delle notevoli disparità tra i pensionati in data successiva al 30 aprile 1968 e quelli liquidati in precedenza".

Sarebbe perciò violato il principio di uguaglianza.

Inoltre, le norme recentemente introdotte, che fissano un ragguaglio della entità della pensione alla retribuzione media annua pensionabile dell'ultimo periodo di attività, esprimerebbero una valutazione di congruità del risultato di tale ragguaglio alle esigenze di vita dei pensionati; e conseguentemente, coloro che sono stati liquidati in data anteriore al 1 maggio 1968 si troverebbero a godere di un trattamento pensionistico non corrispondente a tale valutazione di congruità.

Pertanto, le nuove norme, per la parte in cui escludono quei pensionati dal loro campo di operatività, sembrerebbero non rispettare i principi costituzionali della adeguatezza e sufficienza della pensione di vecchiaia in specie (art. 38, comma secondo) e della retribuzione in genere (art. 36), e quindi anche il principio più generale di tutela del lavoro "in tutte le sue forme ed applicazioni" di cui all'art. 35.

2. - Davanti a questa Corte, dopo che l'ordinanza era stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 226 del 30 agosto 1972), si costituivano le parti private e precisamente il Previti e gli altri attori a mezzo del prof. avv. Renato Scognamiglio e l'INPS difeso dagli avvocati Arturo Pittoni e Luigi Maresca. Spiegava intervento, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri.

a) Il Previti e gli altri pensionati chiedevano che la Corte volesse dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme denunziate.

Con l'atto di Costituzione, richiamata la normativa vigente in materia, osservavano che il trattamento di pensione risulta sensibilmente differenziato sulla sola ed inadeguata base della data del pensionamento, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione; e che inoltre sono poste in violazione degli artt. 38, 36 e 35 della stessa Carta le norme relative al trattamento pensionistico dei liquidati anteriormente al 1 maggio 1968, in quanto codesto trattamento é inferiore a quello che risulta dalla recente legislazione la quale fissa un ragguaglio della misura della pensione alla retribuzione media annua e per ciò esprime una valutazione di adeguatezza o congruità del nuovo trattamento alle esigenze di vita dei pensionati.

b) L'INPS, con le deduzioni, chiedeva alla Corte di provvedere come di giustizia sulla questione.

Per altro, sosteneva la tesi secondo cui le denunce di illegittimità costituzionale non fossero fondate.

In particolare, riteneva che con le nuove norme in materia pensionistica, il legislatore non avesse violato l'art. 3 della Costituzione, ed anzi nel suo operato si fosse costantemente ispirato al relativo principio ed osservava che con una indiscriminata ed assurda introduzione del sistema retributivo, a ripartizione, si sarebbe determinato un sommovimento dell'intero ordinamento previdenziale, che avrebbe potuto essere tanto più grave quanto più ingiustificato. Ed infatti per un gran numero di pensionati con decorrenza anteriore al 1 maggio 1968, la pensione riliquidata su base retributiva sarebbe stata non superiore se non addirittura inferiore a quella contributiva di cui erano in godimento, maggiorata ai sensi del d.P.R. n. 488 del 1968 e della legge n. 153 del 1969.

Escludeva del pari che potessero dirsi violate le disposizioni di cui agli artt. 35, 36 e 38 della Costituzione. Il preteso contrasto con l'art. 35 sarebbe concettualmente inammissibile e materialmente impossibile, perché il primo comma di esso avrebbe carattere chiaramente programmatico e, comunque, non potrebbe certo riguardare i trattamenti pensionistici dal momento che sancisce la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e cioè la tutela della prestazione lavorativa durante il suo espletamento.

L'art. 36, comma primo, poi avrebbe, in parte, contenuto programmatico e comunque non riguarderebbe i trattamenti pensionistici; e quand'anche dovesse partecipare del carattere retributivo, potrebbe dirsi violato solo da norme che disponessero la perdita totale o la riduzione della pensione ad una misura insufficiente alle esigenze di vita (e ciò non ricorrerebbe nella specie).

Infine, il secondo comma dell'art. 38 riguarda la previsione dei mezzi, ma non incide sul quantum delle prestazioni. Ed il precetto costituzionale sarebbe soddisfatto dalla normativa esistente: esso non garantisce in ogni situazione di bisogno derivante dagli eventi da esso stesso indicati, il diritto a prestazioni previdenziali (e per ciò non può dirsi costituzionalmente illegittima una norma che, ricorrendo date condizioni, non riconosce il diritto alla prestazione), e tanto meno garantisce un determinato ammontare delle prestazioni.

c) Il Presidente del Consiglio dei ministri, con l'atto di intervento e deduzioni, concludeva per l'infondatezza della questione.

Messo in evidenza che la revisione degli ordinamenti pensionistici aveva comportato uno sforzo finanziario imponente che non poteva non essere affrontato con gradualità (siccome é avvenuto), l'Avvocatura dello Stato rilevava che la lamentata diversità di trattamento andava posta in relazione ad una situazione che si verifica quale normale conseguenza della successione di leggi nel tempo, e che non ricorreva una ingiustificata differenziazione di situazioni identiche, atteso che queste, sul piano dei diritti, erano sorte sotto l'impero di leggi diverse e erano collegate quindi a diversi sistemi ed a diversi meccanismi contributivi.

D'altro canto, a proposito dell'asserita violazione dell'art. 38, non si può dire - aggiungeva l'Avvocatura - che per i pensionati liquidati anteriormente al 1 maggio 1968 non sia stata effettuata dal legislatore una valutazione di congruità della misura delle pensioni: c'é, anzi, da rilevare che all'esito di siffatta valutazione, sono stati disposti degli aumenti (il primo fisso ed il secondo percentuale). Comunque sarebbe stato assicurato un minimo, atto al soddisfacimento delle esigenze di vita del lavoratore, e la valutazione di congruità in tal senso fatta rientra nella discrezionalità del legislatore.

L'art. 38, e così pure gli artt. 35 e 36, per ciò, non sarebbero stati violati dalle norme in questione che fanno sì che la pensione di vecchiaia anche con i detti aumenti assolva la sua funzione alimentare, assicurando agli assistiti una prestazione (ritenuta discrezionalmente dal legislatore) sufficiente a fronteggiare le loro primarie esigenze di vita.

3. - Depositavano memorie, insistendo nelle rispettive richieste, il Previti e gli altri pensionati, e l'INPS.

a) I primi, a svolgimento delle loro ragioni, anzitutto mettevano in evidenza, considerandola come pacifica in atti, la disparità di trattamento che con le norme denunciate sarebbe stata creata tra i pensionati liquidati anteriormente al 1 maggio 1968 e quelli liquidati successivamente a tale data, ed al riguardo precisavano che il nuovo sistema, soltanto, consente di liquidare un assegno pensionistico tendenzialmente idoneo a soddisfare le esigenze di vita dei lavoratori anziani e dei familiari rimasti a loro carico, in ossequio agli artt. 38, comma secondo, e 36, comma primo, della Costituzione, e che l'attuazione di una correlazione tra tali articoli non si é avuta con l'attribuzione di aumenti fissi o in percentuale all'ammontare delle pensioni, liquidate tuttavia con il criterio inadeguato, ed ormai abbandonato dalla legge, che ha riguardo all'entità dei contributi versati.

Sarebbero quindi in contrasto con le norme costituzionali invocate "le disposizioni legislative che mantengono il sistema della pensione contributiva nei confronti di coloro che, per la più antica decorrenza del diritto, e del possesso dei relativi requisiti, vantano un titolo uguale, se non superiore al nuovo trattamento.

In particolare, secondo la difesa dei pensionati, sarebbe anzitutto violato il principio in forza del quale si tende alla realizzazione della parità sostanziale di trattamento e che opera anche ed eventualmente come fattore di sviluppo dell'ordinamento giuridico, specie sul terreno sociale.

Nella specie, "la diversità di trattamento si coglie sul punto determinante, e già rilevato, che ai pensionati in epoca anteriore al 1 maggio 1968 rimane applicato il sistema della pensione cosiddetta contributiva, diametralmente opposto a quello, instaurato dalla nuova legge, della pensione retributiva".

In contrario non vale, perché resistito dall'evidenza e ad ogni modo riferibile a casi marginali, del tutto anomali, il rilievo dell'INPS secondo cui per un gran numero di pensionati la pensione riliquidata su base retributiva non sarebbe superiore o addirittura potrebbe essere inferiore a quella contributiva, maggiorata in base alle recenti disposizioni.

E non c'é (e d'altra parte né l'INPS né l'Avvocatura dello Stato indicano) alcun elemento che valga a dare una base razionale alla notata differenza di trattamento.

L'unico elemento di differenziazione é offerto dalla data del pensionamento, anteriore o successivo al 1 maggio 1968, ma non vale a fare apparire differenti le due situazioni dei pensionati.

Né si può dire che la disparità di trattamento sia un effetto inevitabile della successione nel tempo di leggi diverse. Il legislatore, infatti, si é orientato nel senso di escludere dall'applicazione della legge i diritti maturati fino ad una certa data; e ciò non é giusto né può essere consentito. E invece la nuova disciplina si sarebbe dovuta applicare a tutti i pensionati, e per l'avvenire e non già per un'epoca o in un'epoca antecedente alla sua entrata in vigore.

E neppure l'elemento cronologico può costituire una base adeguata, sull'assunto di effettive o supposte difficoltà di carattere pratico o anche finanziario, potendo l'INPS nel tempo occorrente procedere alla riliquidazione delle pensioni ed implicando, l'estensione dei nuovi criteri a detta riliquidazione delle pensioni contributive, uno sforzo di dimensioni relativamente ben ridotte.

D'altra parte nella sua attuazione il principio d'uguaglianza non può dipendere da ostacoli di carattere pratico ed economico che altrimenti imporrebbero limiti alla sua effettività.

Senza dire, infine, che se ciò fosse consentito, l'azione dello Stato e dell'INPS, per fini sociali e a vantaggio di tutti i cittadini, si svolgerebbe proprio a scapito di una categoria di essi (i pensionati più anziani) più di ogni altra meritevole e bisognosa di protezione.

La difesa dei pensionati sosteneva ancora che le norme denunciate fossero in contrasto con gli artt. 38, comma secondo, 36, comma primo, e 35 della Costituzione.

Posto che il secondo comma dell'art. 38 in sé e raffrontato al primo comma dello stesso articolo, fissa una direttiva giuridicamente vincolante per il legislatore ordinario, per cui ai lavoratori debbono essere forniti mezzi adeguati alle esigenze di vita, e che l'adeguatezza si riferisce strettamente e solo in concreto può misurarsi, al livello retributivo dagli stessi lavoratori raggiunto nell'ultima fase di vita attiva (di modo che si istituisce un'intima, quanto significativa, correlazione tra l'art. 38 e l'art. 36 della Costituzione); e che tali ragioni e rilievi sono condivisi dalla dottrina dominante e convalidati dalle decisioni di questa Corte; deve riconoscersi, secondo la difesa dei pensionati, che é la stessa legge a valutare la pensione, commisurata all'ultima retribuzione media, come quella soltanto adeguata alle esigenze di vita dei lavoratori e che quindi é costituzionalmente illegittima la conservazione della pensione contributiva ai pensionati anteriori al 1 maggio 1968.

Non vale sostenere (come fa l'Avvocatura dello Stato) che per escludere l'illegittimità costituzionale basti che sia assicurato un minimo, atto al soddisfacimento delle esigenze di vita del lavoratore e che la relativa valutazione di congruità rientri per intero nella discrezionalità del legislatore, perché ai lavoratori la Costituzione garantisce mezzi adeguati alle esigenze di vita e che, nella specie, la valutazione di congruità é stata fatta con riferimento alla pensione retributiva e non può essere rinnegata nei confronti di quella contributiva.

Né reggono le affermazioni dell'INPS che solo in caso di perdita totale della pensione o di riduzione di essa ad una misura insufficiente alle esigenze di vita, si avrebbe violazione del precetto costituzionale (art. 38, comma secondo e 36, comma Primo) e che l'art. 38 non incide sul quantum delle prestazioni. Se si ammette che la pensione abbia carattere in parte retributivo, infatti, non può dirsi che la previsione di un qualsiasi livello di pensione sia legittima; e d'altra parte, non possono non essere tenuti distinti, ad evitare equivoci, due punti, che il diritto alle prestazioni previdenziali rimane subordinato alle condizioni e requisiti di legge, e che lo stesso diritto deve essere attuato in modo da garantire ai lavoratori mezzi adeguati di vita.

La difesa dei pensionati, infine, concludeva nel senso che "le disposizioni di legge in questione, per il trattamento che riservano ad una categoria soltanto dei pensionati, trasgrediscono ai principi di cui agli artt. 38 e 36 citati"; e che "tale trasgressione, in base alla innegabile connessione dei relativi principi, si risolve in quella conseguenziale del principio di eguaglianza".

b) Con la memoria l'INPS sottolineava che dalle norme denunciate risulta non una disparità di trattamento, bensì e soltanto una diversità di trattamento quale normale e logica conseguenza della successione di leggi nel tempo.

Escluso che il principio di eguaglianza possa dirsi violato in presenza di trattamenti diversi in dipendenza della successione di leggi nel tempo, negava che nella fattispecie in esame si potesse parlare di ingiustificata disparità di trattamento per situazioni identiche, essendosi i diritti di coloro che hanno ottenuto la pensione con decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 e di coloro che invece l'hanno ottenuta con decorrenza posteriore al 30 aprile 1968, "maturati sotto l'impero di leggi diverse, regolanti la materia in base a sistemi pensionistici diversi" (il "contributivo a ripartizione" e il "retributivo a ripartizione").

Le norme in questione, ad avviso della difesa dell'INPS, non sembrano essere in contrasto neppure con gli artt. 35, 36 e 38 della Costituzione, oltre che per quanto già osservato con le deduzioni, perché:

- anzitutto, le pensioni per invalidità e vecchiaia rispondono al criterio a che venga garantito un minimo destinato a fronteggiare le primarie necessità degli assistiti, ed i minimi di pensione sono uguali per tutti i pensionati;

- in secondo luogo, perché una valutazione di congruità delle pensioni é stata effettuata dal legislatore anche in riferimento a quelle liquidate con decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 e si sono per ciò avuti gli aumenti di cui al d.P.R. n. 488 del 1968, alla legge n. 153 del 1969 ed al d.l. n. 267 del 1972 convertito con modificazioni nella legge n. 485 del 1972 (2.400 + 10% + 10% come minimo); perché in alcuni casi é stata ammessa la riliquidazione secondo il nuovo sistema; e perché quindi questa uniformità di disciplina é stata determinata dall'esigenza di evitare, in concreto, che tra le due categorie di pensionati più volte citate, vi potesse essere effettiva disparità di trattamento;

- ed in terzo luogo e conclusivamente, perché questa valutazione di congruità, operata dal legislatore, sfugge ad ogni sindacato in sede di legittimità costituzionale.

4. - All'udienza del 30 maggio 1973 l'avv. Renato Scognamiglio per il Previti e gli altri pensionati, illustrando le argomentazioni già svolte negli atti scritti concludeva chiedendo che la sollevata questione fosse dichiarata fondata. L'avv. Arturo Pittoni, per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri concludevano, invece, per l'infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - Il tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ritiene che siano in contrasto con gli artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione, gli artt. 6, lettere a e b, della legge 18 marzo 1968, n. 238 (nuovi termini per l'emanazione dei provvedimenti di cui all'art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e norme integrative della medesima), 1 e 5 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria) e 9, 11 e 13 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nella parte in cui le relative norme "escludono dal beneficio della cosiddetta pensione "retributiva" i lavoratori pensionati anteriormente al 1 maggio 1968".

2. - Secondo il giudice a quo dalle indicate norme emergerebbe "l'esistenza di una disciplina legislativa differenziata per la liquidazione pensionistica basata esclusivamente sulla data del pensionamento", ed in base a tale disciplina, a parità di retribuzione e di anzianità di servizio, sarebbero notevolmente differenti le pensioni di coloro che siano stati liquidati in data anteriore al 1 maggio 1968 e di coloro che le abbiano conseguite o le conseguano a decorrere da epoca successiva al 30 aprile di quell'anno.

Tale diversità di disciplina non sarebbe conforme al principio di eguaglianza, secondo cui deve essere garantita parità di trattamento a parità di situazioni.

Inoltre le norme recentemente introdotte, che fissano un ragguaglio della entità della pensione alla retribuzione media annua pensionabile dell'ultimo periodo di attività, esprimerebbero una valutazione di congruità del risultato di tale ragguaglio alle esigenze di vita dei pensionati, e conseguentemente coloro che sono stati liquidati in data anteriore al 1 maggio 1968 si troverebbero a godere di un trattamento pensionistico non corrispondente a tale valutazione di congruità.

Le nuove norme, per la parte in cui escludono questi ultimi pensionati dal loro campo di operatività sembrerebbero pertanto non rispettare i principi costituzionali della adeguatezza e sufficienza della pensione di vecchiaia in specie (art. 38, comma secondo) e della retribuzione in genere (art. 36) e quindi anche il principio più generale di tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni di cui all'art. 35.

3. - La denuncia di illegittimità costituzionale di cui si tratta, pur essendo vari i profili sotto i quali é prospettata, si basa essenzialmente sulla circostanza che dall'applicazione delle nuove norme, e cioè di quelle dettate per gli iscritti all'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, che avrebbero acquistato il diritto alla pensione di vecchiaia a decorrere da una data posteriore al 30 aprile 1968, sono esclusi coloro che avevano conseguito tale pensione da epoca anteriore al 1 maggio di quell'anno.

Circa codesto punto, in via del tutto preliminare, però, non si può fare a meno di rilevare, anche se la constatazione é affatto ovvia, che per i pensionati da ultimo indicati non c'é solo l'implicita esclusione di disciplina di cui alla denuncia, ma vige la normativa risultante dalle leggi che in passato hanno regolato la materia, con le modifiche ed aggiunte introdotte con le leggi del 1968 nonché con quelle successive.

Ed allora, in sede di interpretazione dell'ordinanza di rimessione, i termini della questione vanno convenientemente precisati nel senso che questa Corte é chiamata ad accertare se é conforme a Costituzione (artt. 3, 35, 36 e 38), che i titolari di pensione di vecchiaia siano ammessi a godere di un trattamento differente a seconda che le relative prestazioni siano state o siano liquidate con decorrenza anteriore al 1 maggio 1968 ovvero successiva al 30 aprile dello stesso anno.

4. - Con l'ordinanza di rimessione vengono indicate le norme che, secondo il tribunale di Roma, danno vita all'anzidetta disciplina differenziata per le dette due categorie di iscritti all'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti.

Dopo che con la legge 21 luglio 1965, n. 903, il Governo era stato delegato ad emanare, tra le altre norme intese "a migliorare gradualmente, l'attuale rapporto tra salari, anzianità di lavoro e livelli di pensione e attuare il conseguente equilibrio contributivo, in modo da assicurare, al compimento di 40 anni di attività lavorativa e di contribuzione una pensione collegata all'80 per cento della retribuzione media dell'ultimo triennio" (art. 39, lett. i), e a tale delega non era stata però data esecuzione, sono intervenuti altri provvedimenti legislativi che hanno innovato il precedente sistema.

Con la legge n. 238 e con il d.P.R. n. 488 del 1968, per le pensioni di vecchiaia da liquidare con decorrenza posteriore al 30 aprile 1968, é stato previsto un rapporto in percentuale tra la pensione e la retribuzione graduato in modo tale da consentire, con il massimo di servizio pensionabile, l'aliquota del 65 per cento; ed infine (e prima che fosse emessa l'ordinanza de qua) si é avuta la legge n. 153 del 1969 che ha aumentato la misura massima della percentuale di commisurazione dal 65 per cento al 74 e all'80 per cento, rispettivamente per le pensioni liquidate dopo il 31 dicembre 1968 ed il 31 dicembre 1975.

Da tale disciplina sono rimasti esclusi i pensionati che avevano conseguito il trattamento pensionistico di vecchiaia da data anteriore al 1 maggio 1968.

Per costoro, ammessi al godimento della pensione contributiva giusta le precedenti leggi (che non venivano abrogate), le nuove norme hanno previsto, dal 1 maggio 1968, un aumento della pensione di lire 2.400 mensili (art. 6, lett. a della legge n. 238 e art. 1 del d.P.R. n. 488 del 1968) e dal 1 gennaio 1969 un ulteriore aumento del trattamento goduto nella misura del 10 per cento.

Tali essendo, all'atto in cui il giudice a quo ha sollevato la questione, le linee essenziali della disciplina legislativa della materia di cui si tratta (le quali per altro meritano d'essere ulteriormente precisate), ricorre certamente la già ammessa diversità di trattamento giuridico per le due indicate categorie di pensionati.

Ma da ciò non può dedursi che sia fondata la questione così come essa é prospettata a questa Corte.

5. - Senza dover risalire più oltre nel tempo e considerando l'evoluzione che la legislazione in materia ha subito dal 1968 ad oggi e la diretta incidenza che le relative norme sono destinate ad avere anche sui rapporti in corso o che verranno ad esistenza nei prossimi anni, é consentito individuare un disegno di politica legislativa, che ha trovato e trova attuazione.

Accanto alle norme legislative sopra ricordate, se ne sono avute altre con cui sono stati aumentati gli importi mensili dei trattamenti minimi di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; sono stati modificati i criteri per la determinazione della retribuzione annua pensionabile da tenere a base per il ca1colo della pensione retributiva; ed é stata introdotta la perequazione automatica delle pensioni (realizzata dal 1 gennaio del 1971, del 1972 e del 1973, con i relativi decreti ministeriali); ed infine sono intervenute le norme (d.l. 30 giugno 1972, n. 267 e legge 11 agosto 1972, n. 485) che per le pensioni aventi decorrenza da data anteriore al 1 maggio 1968, hanno previsto, dal 1 gennaio 1972, un ulteriore aumento percentuale, la cui misura é stata collegata alla data di decorrenza della pensione con un massimo del 50 per cento per le pensioni anteriori al 1952 e con minimo del 10 per cento per quelle liquidate nel periodo dal 1 gennaio 1967 al 30 aprile 1968.

Ora tutto ciò mette in evidenza che il legislatore viene a dare esecuzione alla volontà di riforma o di revisione sul piano qualitativo e quantitativo, del sistema previdenziale, con evidente gradualità. Questa si coglie nel passaggio dal criterio contributivo a quello retributivo (solo che si tenga al riguardo conto delle norme di attuazione poste, tra l'altro, con l'art. 14, comma primo, del d.P.R. n. 488 del 1968 circa l'opzione per la pensione contributiva da esercitarsi entro il 31 luglio 1976, secondo l'art. 54, comma primo, della legge n. 153 del 1969 ed il d.P.R. 31 dicembre 1971; e con gli artt. 11, penultimo comma, e 13, comma primo, della legge n. 153 del 1969) ed anche e soprattutto nell'ambito di ciascuno dei due sistemi.

La gradualità si presenta come modo di essere necessario e internamente coerente del fenomeno visto nel suo pratico atteggiarsi, e appare come caratteristica del pari necessaria e comunque compatibile del fenomeno stesso nella sua rilevanza costituzionale.

É del tutto evidente come la modifica del sistema pensionistico non avrebbe potuto essere compiuta né uno actu né in un solo momento, e che essa invece richiede e comporta, siccome nella specie é avvenuto, una pluralità di atti ed una successione di tempi.

D'altra parte, ed é questo il profilo che nell'attuale sede maggiormente interessa, l'art. 38, comma secondo, della Costituzione, in forza del quale "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattie, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria", si presenta quale disposizione speciale il cui esame assorbe quello dei profili sia dell'art. 35, che, come la Corte ha osservato in altre occasioni, con il suo primo comma si limita a stabilire il criterio generale ispiratore di tutte le disposizioni comprese nel titolo III della parte prima della Costituzione (sent. n. 10 del 1970), e sia dell'art. 36 che, come precisa lo stesso giudice a quo, esprime il criterio generale dell'adeguatezza e sufficienza della retribuzione in genere. E tale disposizione speciale, ispirata a criteri di solidarietà sociale, impone che in caso di eventi, i quali incidono sfavorevolmente sulla attività lavorativa, siano ai lavoratori interessati assicurate possibilità atte a garantire la soddisfazione delle loro esigenze di vita.

Al legislatore ordinario spetta ed é riservato il compito di determinare, con una razionale considerazione delle esigenze di vita dei lavoratori e delle effettive disponibilità finanziarie, l'ammontare delle prestazioni e di modificarne la misura allo scopo di rendere sempre attuale e costante il rapporto tra i termini che dovessero subire variazioni.

E lo stesso art. 38, comma secondo, indica altresì al legislatore la via da seguire perché i fini di solidarietà sociale per la cui tutela é stato dettato dal Costituente, siano in concreto sempre meglio e di più perseguiti.

Ed ecco, quindi, che la gradualità nell'attuazione del precetto in esame, appare, come si é detto, caratteristica necessaria e nel contempo compatibile con le esigenze e gli interessi costituzionalmente garantiti.

6. - Riguardate alla luce delle considerazioni che precedono le norme oggetto della denuncia, deve escludersi che le stesse siano in contrasto con gli artt. 38, comma secondo, e 3 della Costituzione.

Non può essere condivisa la tesi del tribunale di Roma, secondo cui le norme istitutive della pensione-retribuzione, esprimono una valutazione di congruità alle esigenze di vita della prestazione così determinata e che per ciò il trattamento pensionistico previsto per coloro che siano stati liquidati con decorrenza anteriore al 1 maggio 1968, non sia corrispondente a tale valutazione di congruità.

L'adeguatezza alle esigenze di vita dei lavoratori, dei mezzi ad essi spettanti non é né assoluta né esclusiva di prestazioni aventi un dato ammontare o determinate con un dato criterio, per cui, a proposito della pensione di vecchiaia, ammesso che sia adeguata quella collegata con la retribuzione, non cessa di essere tale anche la pensione contributiva.

Ed egualmente, mettendosi a raffronto, sempre a proposito della pensione per la vecchiaia, codesti due metodi di determinazione, non se ne può inferire l'esistenza di una ingiustificata disparità di disciplina: alle più volte indicate due categorie di pensionati, infatti, sono riservati trattamenti che, pur nella loro diversità, rispondono alla logica dell'intero sistema previdenziale e assicurativo e delle corrispondenti normative, e soprattutto risultano dal rispetto dell'esigenza di gradualità sopra messa in rilievo.

Con ciò, non si vuole affermare che le norme in atto vigenti in materia garantiscono appieno il conseguimento degli scopi voluti dall'art. 38, comma secondo; che anzi la Corte esprime l'auspicio che l'attuale sistema, con il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti e la più equilibrata destinazione degli stessi, venga ulteriormente potenziato per la realizzazione di una più ampia ed effettiva sicurezza sociale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, lettere a e b, della legge 18 marzo 1968, n. 238 (nuovi termini per l'emanazione dei provvedimenti di cui all'art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e norme integrative della medesima), 1 e 5 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria) e 9, 11 e 13 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), questione sollevata in riferimento agli artt. 3, 35, 36 e 38 della Costituzione dal tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1973.