Sentenza n.122 del 1973
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SENTENZA N. 122

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 32 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016 (testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), come modificato dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 ottobre 1971 dal pretore di Treviglio nel procedimento penale a carico di Anselmo Giacomo ed altri, iscritta al n. 488 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 del 9 febbraio 1972;

2) ordinanza emessa il 24 novembre 1971 dal pretore di Treviglio nel procedimento penale a carico di Radaelli Angelo ed altri, iscritta al n. 44 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 22 marzo 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel procedimento penale a carico di Giacomo Anselmo, Eros Crosetto, Enrico Castellani, Cesare Galliani e Giovanni Pellegrini, imputati dei reati previsti e puniti dall'art. 32 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, nel testo risultante dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, perché avevano esercitato la caccia con uso di arma da sparo in una zona distante 10 metri dalla strada carrozzabile e perché nella stessa zona avevano portato armi cariche non in posizione di sicurezza, il pretore di Treviglio sollevava, con ordinanza del 15 ottobre 1971, ed in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del citato art. 32 nella parte in cui la norma per le ipotesi di esercizio della caccia con uso di armi da sparo nelle zone distanti meno di 50 metri da strade carrozzabili (comma primo) e di porto d'armi cariche non in posizione di sicurezza nelle dette zone (comma quarto) commina a carico dei contravventori la multa da lire 20.000 a lire 100.000 e prevede la revoca della licenza da uno a tre anni (ultimo comma).

Osservava il pretore che nelle dette ipotesi, nonché nelle altre previste dalla stessa norma, il pericolo di danno alle persone é indubbiamente maggiore nel caso di esercizio della caccia con spari in date zone, anziché in quella di semplice porto d'armi cariche non in posizione di sicurezza nelle stesse zone, e che nonostante l'esistenza di queste due situazioni criminose, é prevista la medesima pena edittale senza alcuna articolazione e graduazione in via astratta e generale.

Ciò, a parere del giudice a quo, violerebbe l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo che per fatti diseguali é previsto il medesimo trattamento sanzionatorio e che cittadini versanti in tali diverse situazioni siano in astratto passibili della medesima pena.

Codesta disparità per altro non potrebbe essere sanata dall'esercizio del potere del giudice di graduare la pena adeguandola alla gravità delle singole fattispecie, perché le leggi, in sede di valutazione della legittimità costituzionale, vanno considerate nella loro astrattezza e generalità, e poi, essendo prevista per ciascuna delle ipotesi criminose considerate dal citato art. 32 la medesima gamma di concrete possibilità di sanzioni, l'applicazione che il giudice possa farne non rileva ai fini della indicata disparità.

L'ordinanza veniva ritualmente comunicata, notificata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n.37 del 9 febbraio 1972).

Davanti a questa Corte non si costituivano le parti private. Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato.

2. - L'Avvocatura dello Stato precisava che la denunzia concerneva non tutte le disposizioni del citato art. 32 ma solo i commi primo e quarto in relazione all'ultimo. E metteva in evidenza che per tutte le ipotesi criminose previste dal detto articolo é comminata la medesima pena in quanto il legislatore ha ritenuto di dover parificare nel trattamento punitivo tutte le ipotesi ivi menzionate le quali, tranne quella di cui al penultimo comma, si riferiscono ad attività o situazioni obiettivamente pericolose per l'incolumità individuale.

Rilevava che, giusta quanto deciso anche di recente da questa Corte (sentenza n. 9 del 1972), il prospettato dubbio sulla congruenza tra reati e pena dà vita ad un problema la cui soluzione spetta al potere legislativo e il cui esame non rientra nel consentito sindacato di costituzionalità.

Comunque, é certamente opinabile, secondo l'Avvocatura, che nell'ipotesi di esercizio della caccia a breve distanza dalla strada il pericolo sia maggiore che non in quella di mero porto di armi cariche in posizione di non sicurezza. Infatti, nella prima ipotesi l'esplosione del colpo é preceduta da vari stati soggettivi per cui il cacciatore é messo in grado di adottare tutte le misure idonee ad evitare pericoli per le persone.

In conclusione, non é violato il principio di eguaglianza: la parificazione quoad poenam delle due diverse situazioni obiettive infatti non può non apparire sorretta da adeguata giustificazione.

3. - Lo stesso pretore di Treviglio, nel procedimento penale a carico di Angelo Radaelli, Battista Tomasoni e Mario Del Carro, imputati, tra l'altro, del reato previsto e punito dal ripetuto art. 32 del r.d. n. 1016 del 1939, "perché portavano a bordo dell'autovettura targata BG, 218946 una carabina carica" sollevava, con ordinanza del 24 novembre 1971 e sempre in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'anzidetta norma per ciò che "per tutte le ipotesi contemplate viene comminata la medesima pena".

Osservava il pretore che la norma prevede fattispecie di diversa gravità atteso che il pericolo per l'incolumità delle persone é indubbiamente maggiore nelle ipotesi di spari e di esercizio di caccia con uso di armi da sparo e invece decresce nelle altre; e che ciononostante la pena é la medesima ed in via astratta e generale é esclusa ogni articolazione e graduazione.

Rinnovava le ragioni di dubbio già espresse con la precedente ordinanza e concludeva rilevando che, in contrasto con il principio di eguaglianza, per fatti di diversa gravità é comminata in astratto la medesima pena.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata, comunicata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 22 marzo 1972).

Davanti a questa Corte non si costituiva alcuna delle parti. Spiegava invece intervento con la difesa dell'Avvocatura generale dello Stato il Presidente del Consiglio dei ministri il quale concludeva per la non fondatezza della questione, svolgendo sostanzialmente le stesse ragioni già addotte nello scritto difensivo di cui alla precedente causa.

4. - All'udienza del 13 giugno 1973 l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti si riportava a quanto esposto nell'atto d'intervento.

Considerato in diritto

1. - Con le due ordinanze indicate in epigrafe il pretore di Treviglio, a proposito dell'art. 32 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016 (approvazione del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), sostituito dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, ritiene che per le due ipotesi, astrattamente ricorrenti nei confronti degli imputati di cui al primo procedimento, e più ampiamente per tutte le ipotesi considerate nelle norme oggetto di denuncia, nonostante la diversità delle situazioni criminose, sia previsto il medesimo trattamento sanzionatorio, in violazione del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Ricorrono per ciò i presupposti perché i due procedimenti siano riuniti, e le relative cause decise con unica sentenza.

2. - Di fronte a tali norme, il giudice a quo ravvisa sussistente un contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in particolare nel fatto che sono previste le medesime sanzioni (e cioè la multa da lire 20.000 a lire 100.000 e la revoca della licenza di porto d'armi da uno a tre anni) nei confronti di soggetti che esercitino la caccia con uso di armi da sparo in zone distanti meno di cinquanta metri da strade carrozzabili e portino nelle stesse zone armi cariche non in posizione di sicurezza, e quindi per fattispecie criminose differenti e di diversa gravità (ordinanza del 15 ottobre 1971), e nel fatto che le stesse sanzioni sono previste, oltre che per le ipotesi ora richiamate, per tutte le altre prese in considerazione dal ripetuto art. 32 (in esse inclusa quella che si assumeva ricorresse nel procedimento di cui alla ordinanza del 24 novembre 1971 e cioè quella relativa al porto d'armi da sparo cariche a bordo di veicoli). Ma rivolge, come si é rilevato, la denuncia di illegittimità costituzionale sostanzialmente contro l'intero contenuto di detto art. 32.

3. - Interpretate le due ordinanze in senso utile, la Corte é chiamata a dire se é in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 32 del r.d. n. 1016 del 1939 limitatamente alle parti in cui esso prevede le medesime sanzioni per le ipotesi specificamente sopra ricordate, dovendosi escludere che la sollevata questione si riferisca anche alle altre ipotesi criminose di cui allo stesso articolo.

C'é anzitutto da constatare che da parte del pretore di Treviglio sono stati avanzati dubbi di costituzionalità, sotto un profilo, che, sia pure per altre norme, questa Corte ha già ritenuto, ed in modo costante, infondato. Ed al riguardo basta far riferimento alle sentenze (e, tra le altre, a quelle nn. 109 del 1968, 9, 93 e 157 del 1972) con cui é stato affermato e ribadito il principio secondo cui in materia penale (ed in particolare nella previsione di fatti come reati e delle relative pene) il legislatore gode di un ampio potere che é chiamato ad esercitare in base agli indirizzi di politica giuridico-sociale che ritenga opportuni, e che nell'ambito di codesta discrezionalità, possono essere legittimamente indicati i fatti-reati e le sanzioni per il caso di trasgressione dei precetti principali, sempre che la disciplina normativa che ne emerga non si appalesi chiaramente irrazionale.

La valutazione della pericolosità dei singoli reati (e nella specie, delle varie ipotesi criminose previste dall'art. 32) ed il compito di graduare per ciascuno di essi le pene, spettano quindi al legislatore.

Così come rientra nella discrezionalità di questo, l'equiparazione quoad poenam di ipotesi criminose di uguale natura, sebbene non ugualmente gravi.

Nella specie, ora all'esame della Corte, d'altra parte non può convenirsi con il giudice a quo che le ipotesi considerate dall'art. 32 siano sicuramente di diversa gravità, perché, come é stato osservato dall'Avvocatura dello Stato, é certamente opinabile che nel caso dell'esercizio della caccia a breve distanza dalla strada carrozzabile il pericolo per le persone sia maggiore che non nel caso di semplice porto d'armi cariche non in posizione di sicurezza, essendo i due comportamenti in astratto egualmente pericolosi per i terzi.

E tutto ciò, ad avviso della Corte, basta comunque perché debba escludersi ogni illegittimità costituzionale a proposito della parificazione quoad poenam delle due situazioni, ora indicate, nonché dell'altra, rilevante nel procedimento di cui alla seconda ordinanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016 (approvazione del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), sostituito dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Treviglio con le due ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1973.