sentenza n.86 del 1973
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SENTENZA N. 86

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO  Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 del d.1. 23 dicembre 1964, n. 1351 (Attuazione del regime dei prelievi nei settori del latte e dei prodotti lattiero-caseari, delle carni bovine e del riso), convertito nella legge 19 febbraio 1965, n. 28, promosso con ordinanza emessa il 14 dicembre 1970 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la società Biscotti Colussi Perugia ed il Ministero del commercio con l'estero, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 3 giugno 1971.

Visti gli atti di Costituzione della società Biscotti Colussi e del Ministero del Commercio con l'estero;

udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 1973 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Enrico Allorio, per la società Biscotti Colussi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Ministero del commercio con l'estero.

Ritenuto in fatto

Con quattro decreti emessi in data 5 agosto 1969, il Ministero del commercio con l'estero disponeva "l'incameramento delle cauzioni" prestate, sotto forma di fideiussioni bancarie, dal "Credito italiano" in favore della società in accomandita semplice "Biscotti Colussi Perugia" per il rilascio di quattro certificati di importazione di merci, a garanzia della realizzazione delle operazioni.

Tali provvedimenti, adottati per effetto della mancata utilizzazione delle importazioni richieste, venivano emanati in applicazione dell'art. 11 del d.l. 23 dicembre 1964, n. 1351, convertito nella legge 19 febbraio 1965, n. 28, concernenti l'attuazione del regime dei prelievi nei settori del latte e dei prodotti lattiero-caseari, delle carni bovine e del riso.

Con atto di citazione notificato il 3 settembre 1969, la società Biscotti Colussi Perugia conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Roma il Ministero del commercio con l'estero e il Credito italiano, deducendo, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 23 e 53 della Costituzione, della norma che subordina il rilascio di certificati di importazione alla costituzione di un deposito cauzionale ovvero alla prestazione di una fideiussione bancaria, suscettibili di svincolo o di incameramento.

Secondo la società attrice, tale cauzione costituirebbe una prestazione patrimoniale che, come tale, dovrebbe essere imposta con legge, mentre gli estremi della prestazione a carico degli importatori non sarebbero disciplinati dal citato art. 11 ma da un successivo atto amministrativo e precisamente dal decreto 19 giugno 1965 del Ministero del commercio con l'estero.

Inoltre, la prestazione imposta agli importatori non troverebbe corrispondenza in alcun indice di capacità contributiva, specie nel caso di mancato compimento dell'operazione, in violazione dell'art. 53 della Costituzione.

Il tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 14 settembre 1970, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del d.l. 23 dicembre 1964, n. 1351, soltanto con riferimento all'articolo 23 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, mentre non può ipotizzarsi la violazione dell'art. 53 della Costituzione, attesa la natura non tributaria della prestazione, la perdita del deposito cauzionale, anche nella forma di attuazione coattiva della fideiussione, comportando un versamento in danaro ordinato a un privato senza una diretta controprestazione dell'Amministrazione e senza una specifica finalità, generale o particolare, da soddisfare, costituirebbe una prestazione patrimoniale autoritativamente imposta, suscettibile di rientrare nella sfera di applicazione dell'art. 23 Cost., il quale esige che il potere di imposizione conferito all'autorità amministrativa trovi il suo fondamento in una norma di legge che specifichi i limiti e i criteri di esercizio di tale potere.

Ciò posto, il tribunale ritiene che la norma impugnata non rispetti il principio costituzionale della riserva di legge per le prestazioni patrimoniali perché, pur prevedendo la perdita della cauzione o la escussione coattiva della fideiussione, non ne menziona né la misura, né i criteri e le modalità di applicazione, rimettendo in modo esclusivo all'autorità amministrativa la determinazione e la disciplina.

L'ordinanza di rinvio, notificata e comunicata a norma di legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 3 giugno 1971.

Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti sia la società Biscotti Colussi Perugia che il Ministero del commercio Con l'estero.

La società importatrice, a sostegno delle censure prospettate nella ordinanza di rinvio, rileva che la norma impugnata lascia all'arbitrio totale dell'Amministrazione la disciplina della prestazione patrimoniale imposta per ottenere il rilascio dei certificati di importazione, perché non contiene alcuna indicazione circa l'entità della prestazione e il procedimento costitutivo dell'obbligazione. Questi elementi risulterebbero precisati esclusivamente nel decreto 19 giugno 1965 del Ministero del Commercio con l'estero, in cui sarebbero stati arbitrariamente fissati, in violazione dell'art. 23 della Costituzione, sia l'ammontare delle cauzioni richieste per le singole operazioni economiche, sia le modalità che disciplinano lo svincolo o l'incameramento totale o parziale delle cauzioni.

Il Ministero del commercio con l'estero, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, contesta i dubbi di legittimità costituzionale della norma impugnata e chiede che la questione sia dichiarata non fondata. Osserva l'Avvocatura che la questione va riguardata da un duplice punto di vista, formale e sostanziale: il primo riguarda la identificazione della reale fonte produttiva della disposizione impugnata, che va ravvisata nei regolamenti nn. 13, 14 e 16 del 1964, adottati dal Consiglio dei ministri e dalla Comunità economica europea e nei regolamenti nn. 136, 139 e 102 del 1964, adottati dalla Commissione della Comunità. Tali regolamenti, di per sé interamente vincolanti e direttamente applicabili ai sensi dell'art. 189 del Trattato istitutivo della C.E.E., fissano criteri estremamente precisi per la determinazione della cauzione e per la procedura relativa alla acquisizione da parte dello Stato del deposito cauzionale nel caso di mancata effettuazione della importazione. Ne deriva, secondo la difesa dello Stato, che la norma impugnata non ha affatto attribuito all'Autorità amministrativa un potere impositivo assolutamente discrezionale, ma si é limitata a recepire la normativa comunitaria per integrarla in modo da consentirne la concreta applicazione, con la designazione dell'organo dello Stato competente a stabilire l'ammontare del deposito cauzionale e a regolarne in concreto le vicende.

Sotto il profilo sostanziale, l'Avvocatura osserva che il sistema della cauzione e del suo eventuale incameramento costituisce uno strumento insostituibile per la fisiologia del commercio internazionale; la cauzione, infatti, ha la natura giuridica di penalità, dipendente dalla inosservanza di una obbligazione, liberamente e validamente assunta nei confronti dello Stato, di effettuare una determinata operazione commerciale che si inserisce nel quadro del complesso equilibrio dell'economia nazionale. La mancata utilizzazione di uno o più certificati di importazione altererebbe l'esatta rispondenza tra operazioni previste e operazioni effettuate, con la impossibilità di un controllo sulla entità degli scambi e della entrata in funzione dei meccanismi comunitari di salvaguardia del mercato.

Considerato in diritto

Viene proposta alla Corte questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del d.l. 23 dicembre 1964, n. 1351, convertito con la legge 19 febbraio 1965, n. 28. Tale decreto, dopo aver disposto nei precedenti articoli che, per ottenere il certificato richiesto per l'importazione di alcune merci dagli Stati membri della C.E.E. o da Paesi terzi, occorre la preventiva costituzione di una cauzione, o la prestazione di una fideiussione bancaria, stabilisce, nell'articolo impugnato, che la misura di detta cauzione, come le modalità per lo svincolo o per il suo incameramento - nel caso che l'importazione autorizzata poi non avvenga - saranno determinate con decreto del Ministro per il commercio estero, da emanarsi di concerto con quelli del tesoro, finanze, agricoltura ed industria e commercio.

Secondo il giudice a quo, la costituzione obbligatoria di detta cauzione, specie in riferimento al caso del suo possibile incameramento, costituirebbe una "prestazione patrimoniale" la quale, per l'art. 23 della Costituzione, non può "essere imposta se non in base alla legge"; così che la norma dell'art. 11 denunziato, che ne rimette la determinazione - che si assume svincolata da ogni limite o criterio prefissato - a un decreto ministeriale, sarebbe viziata di incostituzionalità.

Anche a voler ritenere che la cauzione di che trattasi rientri tra le prestazioni imposte di cui all'art. 23 Cost., la questione proposta non appare fondata, perché non é esatto che le norme che quella cauzione dispongono non provvedano in merito, ma rimettano all'autorità amministrativa la determinazione del suo ammontare e delle regole della sua disciplina.

Infatti, contrariamente a quanto l'ordinanza assume, la materia di che trattasi risulta regolata, quasi per intero, da disposizioni normative emanate da fonti primarie le quali quasi nessun margine hanno lasciato a quelle complementari rimesse all'Amministrazione, alla cui discrezionalità hanno, in ogni caso, stabilito dei limiti precisi.

La contraria opinione espressa nell'ordinanza trova la sua spiegazione nel fatto che il giudice a quo ha limitato l'indagine e i connessi riferimenti ai soli dati forniti dal decreto legge n. 1351 e dai due decreti ministeriali 26 marzo e 19 giugno 1965, senza estendere l'esame alla normativa contenuta nei regolamenti comunitari, largamente richiamati nelle premesse e nel testo di tali provvedimenti, i quali avevano lo scopo dichiarato di integrare quella normativa e renderne così possibile l'attuazione nel nostro Paese.

Come é noto, tali regolamenti, in base all'art. 189 del trattato istitutivo della C.E.E., firmato a Roma il 25 marzo 1957 (ratificato e reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203), sono dichiarati "obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno dei Paesi membri".

Ciò però non toglie che, per spiegare questa efficacia - sulla cui legittimità costituzionale qui non si controverte - nel nostro come negli altri Paesi aderenti, quei regolamenti debbono sovente essere seguiti da disposizioni interne, aventi funzione di norme di dettaglio e di applicazione alle strutture di ciascun Stato. Il che, nel caso che forma oggetto della controversia, era espressamente richiesto da uno dei regolamenti comunitari emanati per regolare la materia dei prelievi tendenti alla unificazione dei mercati. Si legge infatti all'art. 28 del regolamento n. 13 del Consiglio dei ministri della Comunità, emanato in data 5 febbraio 1964, che "gli Stati membri prendono tutte le misure necessarie per adattare le proprie disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, in modo che le disposizioni del presente regolamento possano avere effettiva applicazione a decorrere dal 1 luglio 1964".

In conformità di tale disposizione, lo Stato italiano emanava prima il decreto legge e relativa legge di conversione e poi i due decreti ministeriali, in ognuno ripetendo la clausola di decorrenza "con effetto dalla data di applicazione di ciascuno dei regolamenti comunitari" e cioè da quella (anteriore) del 1 luglio 1964.

Ricordato tutto ciò, ed avendo presente il più ampio quadro normativo costituito dai regolamenti comunitari 13, 110, 111 e 136, tutti dell'anno 1964, e dalle disposizioni emanate dallo Stato italiano per la ulteriore loro attuazione e integrazione, resta soltanto da operare un controllo per stabilire se la norma impugnata consenta che il decreto ministeriale possa determinare l'ammontare della cauzione e la relativa regolamentazione con una latitudine di poteri non prevista dall'art. 23 della Costituzione.

A tale scopo é sufficiente rilevare che l'autorità governativa ha trovato nel regolamento comunitario 136 del 1964 - esplicitamente richiamato dal decreto legge n. 1351 del 23 dicembre 1964 - precisi limiti al suo potere, sia per quanto riguarda la misura della cauzione (cfr. art. 5, n. 2), sia per quanto riguarda la disciplina concernente l'obbligo della cauzione, la perdita, totale o parziale, di essa per inadempimento, i casi di esonero di responsabilità per forza maggiore ecc.: sicché agevole é concludere che l'affermazione terminale dell'ordinanza di rimessione, secondo la quale la misura, i criteri, le modalità della cauzione sarebbero state rimesse "in modo esclusivo all'autorità amministrativa", appare destituita di fondamento, essendo vero, al contrario, che quella autorità rinviene in norme primarie, come innanzi si é detto, non solo la fonte di legittimazione a provvedere in materia, ma anche precisi limiti al suo potere. E vale la pena di aggiungere che é compito del giudice verificare se tali limiti siano stati rispettati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del decreto legge 23 dicembre 1964, n. 1351, convertito con la legge 19 febbraio 1965, n. 28, avente per oggetto attuazione del regime dei prelievi nel settore del latte ed altri prodotti; questione proposta con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 23 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1973.