Sentenza n.72 del 1973
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SENTENZA N. 72

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO  Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 17, lettere a e b, della legge 2 aprile 1958, n. 339, contenente norme per la tutela del rapporto di lavoro domestico, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 marzo 1970 dal pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Arrigoni Bruna e Mann Borgese Elisabeth, iscritta al n. 308 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 dell'11 novembre 1970;

2) ordinanza emessa il 3 novembre 1971 dal tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Forconi Gina e Pecchia Giuseppe e Gabriella, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 21 giugno 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 17 aprile 1973 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza non definitiva del 28 marzo 1970, emessa nel giudizio civile vertente fra Arrigoni Bruna e Mann Borgese Elisabeth, il pretore di Firenze ha ritenuto che anche il vitto e l'alloggio formano parte integrante della retribuzione del lavoratore domestico. Con ordinanza di pari data ha quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nelle lettere a e b dell'art. 17 della legge 2 aprile 1958, n. 339, le quali commisurano l'indennità di anzianità alla sola retribuzione in danaro.

Osserva il pretore che la norma impugnata deroga al principio generale, valido per tutti i lavoratori dipendenti, di cui all'art. 2121, ultimo comma, del codice civile, secondo il quale l'equivalente del vitto e dell'alloggio corrisposto al lavoratore fa parte della retribuzione. La norma sarebbe pertanto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificata disparità di trattamento riservata ad una particolare categoria di lavoratori subordinati.

La norma contrasterebbe inoltre sia con l'art. 35, comma primo, Cost. poiché una disposizione che decurta l'indennità di anzianità non tutela certamente il lavoro; sia con l'art. 36, comma primo, Cost. che proclama il diritto del lavoratore "ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro".

Secondo l'ordinanza viziato d'incostituzionalità dovrebbe ritenersi anche l'art. 14 della legge n. 339 del 1958 nella parte in cui demanda la determinazione delle tariffe convenzionali relative al vitto e all'alloggio ad apposite commissioni provinciali e disciplina la esecutorietà di tali tariffe mediante decreto prefettizio, contro il quale é dato poi ricorso al Ministro del lavoro. Questa procedura, che rimette all'autorità amministrativa la determinazione di una parte della retribuzione spettante al lavoratore domestico, sarebbe in contrasto con gli artt. 24 é 36 Cost. giacché essa sottrae al giudice il potere- dovere di valutare la congruità della retribuzione, di accertarne l'eventuale insufficienza ed ordinarne la conseguente rivalutazione per renderla adeguata al citato precetto costituzionale.

2. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, lett. b, della legge n. 339 del 1958, in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, é stata sollevata anche dal tribunale di Firenze con ordinanza del 3 novembre 1971 emessa nel procedimento civile vertente tra Forconi Gina e Pecchia Giuseppe e Gabriella a seguito della sentenza non definitiva, di pari data, con la quale lo stesso tribunale aveva ritenuto che l'alloggio di cui l'attrice aveva fruito nel corso del rapporto di lavoro domestico é da qualificarsi come elemento integrante della retribuzione.

Ad avviso del tribunale la norma denunciata produrrebbe, in danno dei lavoratori domestici, una discriminazione non fondata su alcuna effettiva esigenza differenziatrice. Il valore dell'alloggio fa parte integrante della retribuzione e dovrebbe conseguentemente essere computato nel calcolo dell'indennità di anzianità che costituisce una forma di retribuzione.

La discriminazione operata dalla norma, in quanto non giustificata, potrebbe produrre una inammissibile lesione del diritto fondamentale di eguaglianza e di parità retributiva per pari lavoro ed eguale anzianità, che é assicurato dalla Costituzione a tutti i lavoratori a parità di condizioni ed indipendentemente dal settore merceologico di appartenenza.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte le parti private non si sono costituite. É, invece, intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito di deduzioni in cancelleria in data 24 novembre 1970 e 10 giugno 1972.

Nei propri scritti l'Avvocatura pone innanzitutto in rilievo la particolare natura del lavoro domestico destinato a soddisfare esigenze di ordine materiale di quelle convivenze a tipo familiare nelle quali assumono valore la solidarietà affettiva e la mutua assistenza fra le parti.

La legge n. 339 del 1958 non poteva non tener conto della natura e delle caratteristiche speciali di questa prestazione lavorativa anche in relazione al luogo ove essa viene svolta e cioè l'abitazione del datore di lavoro.

Ciò premesso l'Avvocatura contesta che possa ravvisarsi contrasto tra l'art. 17 e l'art. 3 Cost. rilevando che la discriminazione tra la generalità dei lavoratori ed i lavoratori domestici sembra adeguatamente giustificata proprio dalla specialità del rapporto di lavoro.

Del pari infondato sarebbe il denunciato contrasto con gli artt. 35 e 36 della Costituzione. Il criterio per il computo dell'indennità di anzianità é stato dal legislatore dettato con riguardo alla natura e modalità della prestazione lavorativa domestica nonché alla particolare circostanza che tale prestazione é svolta nell'ambito di una comunità familiare. Nel rapporto di lavoro domestico la parte preponderante e decisiva dell'aspetto economico é la retribuzione in denaro, rispetto alla quale le prestazioni in natura si prospettano come elementi accessori ed eventuali e meramente strumentali ai fini dell'esecuzione del rapporto di lavoro.

Neppure fondata, ad avviso dell'Avvocatura, sarebbe la censura d'incostituzionalità formulata nei riguardi dell'art. 14 della legge n. 339.

La determinazione delle tariffe convenzionali per il vitto e per l'alloggio é stata affidata dal legislatore a speciali commissioni provinciali (nelle quali sono presenti i rappresentanti delle categorie interessate) in considerazione del fatto che il costo della vita é soggetto a continue variazioni nel tempo e nelle diverse località del territorio nazionale.

La procedura amministrativa dettata dalla norma consente la tutela del lavoratore. Il Ministro per il lavoro non decide arbitrariamente perché deve sentire l'avviso della Commissione centrale per la disciplina del lavoro domestico, commissione che é costituita da rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro.

La tutela del lavoratore é garantita anche sul piano giurisdizionale. Ove non voglia accettare la determinazione della commissione provinciale o, in sede di ricorso, la decisione del Ministro, il lavoratore può sempre adire il giudice ordinario al fine di ottenere la retribuzione ritenuta equa.

Considerato in diritto

1. - Con le due ordinanze indicate in epigrafe del pretore e del tribunale di Firenze viene sollevata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, dell'art. 17, lettere a e b, della legge 2 aprile 1958, n. 339 "per la tutela del rapporto di lavoro domestico" nella parte in cui la norma commisura l'indennità di anzianità, dovuta nel caso di licenziamento o dimissioni, alla sola retribuzione in denaro e non tiene, invece, Conto del vitto e dell'alloggio che pure rappresenterebbero parte integrante della retribuzione.

Il pretore di Firenze ha inoltre denunciato l'incostituzionalità, in riferimento agli artt. 36 e 24 della Costituzione, dell'art. 14 della citata legge nella parte in cui la norma detta la disciplina per la determinazione delle tariffe convenzionali relative al vitto e all'alloggio, rilevando che l'avere attribuito all'autorità amministrativa la determinazione di una parte della retribuzione spettante al lavoratore domestico comporterebbe la sottrazione al giudice del potere-dovere di valutare l'adeguatezza e sufficienza della retribuzione e la violazione, nel contempo, del diritto del lavoratore di agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni.

I due giudizi, congiuntamente discussi all'udienza, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Fondata é la denuncia di incostituzionalità, in riferimento all'art. 3 Cost., formulata dalle ordinanze di rimessione nei riguardi dell'art. 17, lettere a e b, della legge impugnata.

Nel rapporto di lavoro domestico il corrispettivo in denaro non é sempre l'unica componente della prestazione alla quale il datore di lavoro é tenuto nei confronti del lavoratore.

A volta, infatti, le parti concordano nel volere che il vitto e l'alloggio siano assicurati al lavoratore a compenso del lavoro prestato e con carattere di continuità. Quando ciò accade, ovviamente, non può essere disconosciuta la natura retributiva del vitto e dell'alloggio; essi rappresentano parte del corrispettivo convenuto e dovuto per il lavoro prestato e del loro equivalente in denaro deve, pertanto, tenersi necessariamente conto ai fini della determinazione della misura complessiva della retribuzione.

Dalla premessa che, in tutti i casi in cui siano convenzionalmente dovuti, il vitto e l'alloggio concorrono a formare la retribuzione del lavoratore discende evidente la conseguenza che non può prescindersi dalla loro concreta valutazione quando occorra calcolare l'indennità di anzianità da corrispondere per le ipotesi di licenziamento o di dimissioni del lavoratore. Una puntuale regola in tal senso é stabilita nell'art. 2121, ultimo comma, del codice civile, relativo al computo delle indennità di preavviso e di anzianità, il quale espressamente include nel calcolo della retribuzione "l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro". La limitazione prevista dall'art. 17 della legge impugnata che commisura, invece, l'indennità di anzianità dei lavoratori domestici alla sola retribuzione in denaro comporta, quindi, una disparità di trattamento rispetto agli altri lavoratori subordinati che non appare fondata su alcuna razionale giustificazione.

La norma denunciata, d'altronde, non si armonizza e, anzi, é in palese contrasto col contenuto di altre disposizioni dello stesso testo legislativo: non riesce, infatti, a comprendersi perché quella valutazione esclusa nel computo dell'indennità di anzianità sia stata, per contro, riconosciuta in tema di trattamento economico per le ferie (durante le quali spetta al lavoratore "un compenso sostitutivo" del vitto e dell'alloggio - art. 10); per il congedo matrimoniale (nel quale "é corrisposta la normale retribuzione in denaro ed il corrispettivo di quella in natura" - art. 15) e per il caso di licenziamento senza preavviso (in cui é dovuto, oltre alla retribuzione in denaro, anche "un compenso economico sostitutivo" del vitto e dell'alloggio - art. 16, terzo comma).

Per le considerazioni anzi svolte va, quindi, ritenuta l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost. della norma impugnata nella parte in cui essa, nelle lettere a e b limita il calcolo dell'indennità di anzianità alla sola retribuzione in denaro e non valuta l'equivalente del vitto e dello alloggio che siano convenzionalmente dovuti al prestatore di lavoro.

In siffatta pronuncia restano, ovviamente, assorbiti gli altri motivi di incostituzionalità prospettati in riferimento agli articoli 35 e 36 della Costituzione.

3. - Non fondata, invece, é la questione di legittimità costituzionale sollevata dal pretore di Firenze nei confronti dell'art. 14 della legge in esame.

Tale articolo stabilisce i compiti delle Commissioni provinciali per il lavoro domestico fra i quali vi é quello di determinare le tariffe convenzionali del vitto e dell'alloggio. Le deliberazioni delle Commissioni sono rese esecutive con decreto prefettizio contro il quale é ammesso ricorso al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale che decide sentita la Commissione centrale per la disciplina del lavoro domestico.

Nel procedimento di formazione delle tariffe risulta assicurata la partecipazione dei lavoratori domestici. I loro rappresentanti, designati dalle associazioni sindacali di categoria, sono presenti, in qualità di componenti ed in numero uguale a quello assegnato ai rappresentanti dei datori di lavoro, sia nella Commissione centrale (art. 11) che nelle Commissioni provinciali (art. 12). Viene così protetta nella fase amministrativa la posizione dei lavoratori ai quali non é inoltre preclusa, in base ai principi generali, la tutela giurisdizionale prevista dall'ordinamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, lettere a e b, della legge 2 aprile 1958, n. 339 per la tutela del rapporto di lavoro domestico" nella parte in cui l'indennità di anzianità, da corrispondere in caso di licenziamento o di dimissioni del personale impiegatizio e dei prestatori d'opera manuali, viene commisurata alla sola retribuzione in denaro e non anche all'equivalente del vitto e dell'alloggio quando queste prestazioni siano convenzionalmente dovute;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della sopra citata legge 2 aprile 1958, n. 339, sollevata in riferimento agli artt. 36 e 24 della Costituzione, con l'ordinanza 28 marzo 1970, indicata in epigrafe, del pretore di Firenze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 maggio 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 6 giugno 1973.