Sentenza n.56 del 1973
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SENTENZA N. 56

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni   BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 30, 31, 32 e 33 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 ottobre 1970 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Mori Mina, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971;

2) ordinanza emessa il 25 febbraio 1972 dal tribunale di Pistoia nel procedimento penale a carico di Albertini Impeno e Guazzaloca Chiara, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 247 del 20 settembre 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 1973 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento penale (per evasione dell'imposta di consumo) contro Mina Mori, promosso a seguito di accertamenti della guardia di finanza, il pretore di Livorno - tenuto conto che questa, ai fini di fare risultare la trasgressione, aveva proceduto a verifica generale, ispezioni di contrassegni e perquisizioni presso la sede dell'azienda - con ordinanza del 30 ottobre 1970, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale degli artt. 30, 31, 32 e 33 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, che, consentendo le anzidette operazioni, violerebbero l'art. 24 della Costituzione.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non si é costituita la parte privata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato il 10 aprile 1971 ed ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

L'Avvocatura afferma che l'ordinanza si limita alla mera asserzione del contrasto degli artt. 30, 31 e 32 col su indicato precetto costituzionale, senza che vi si rinvenga neppure una parvenza di motivazione. Quanto, poi, all'art. 33 deduce che, nel facoltizzare la perquisizione domiciliare per le ipotesi quivi previste, prescinde dal presupposto della flagranza di reato e da quello dell'evasione dell'imputato, richiesti dall'art. 224 cod. proc. pen., ma non esonera dall'osservanza delle garanzie di difesa, esplicitamente richiamate in quest'ultima disposizione.

Osserva, infine, che neppure potrebbe ritenersi vulnerato il precetto costituzionale sulla inviolabilità del domicilio, dato che l'art. 14, ultimo comma, Cost. rimette alle leggi speciali la disciplina degli accertamenti e delle ispezioni a fini economici e fiscali.

2. - Nel corso di altro procedimento penale contro Imperio Albertini e Chiara Guazzaloca, imputati del medesimo reato, analoga questione di legittimità costituzionale delle stesse norme della legge n. 4 del 1929, in riferimento al medesimo art. 24 Cost., veniva sollevata dal tribunale di Pistoia, con ordinanza del 25 febbraio 1972, che fa espresso richiamo a quella del pretore di Livorno.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze sollevano la stessa questione, sicché i procedimenti vanno riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - Per i giudici a quibus (il pretore di Livorno e il tribunale di Pistoia) l'equiparazione della polizia tributaria alla polizia giudiziaria (art. 30, 31 e 32 della legge 7 gennaio 1929, n. 4) e, più particolarmente, il potere loro attribuito di effettuare perquisizioni domiciliari (art. 33 della stessa legge) "senza che - essi affermano - sia prevista una qualsiasi garanzia per i diritti della difesa" sarebbe in contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

3. - La questione non ha fondamento.

Gli artt. 30, 31 e 32 della legge contengono norme di carattere organizzativo e di competenza funzionale, la cui matrice risiede nell'art. 221, ultimo comma, cod. proc. pen. e che, di per sé, non conferiscono agli ufficiali ed agenti di polizia tributaria (e ai loro coadiutori) poteri diversi da quelli che il codice di rito prevede per la polizia giudiziaria.

Invero, l'art. 30 statuisce che l'accertamento delle violazioni alle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie spetta agli ufficiali ed agenti della polizia tributaria e agli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria. L'art. 31 indica le categorie degli ufficiali e degli agenti di polizia tributaria, ai quali equipara, nei limiti della materia stabilita dalla legislazione speciale e del servizio cui sono destinati, i funzionari e gli agenti dell'amministrazione finanziaria. L'art. 32 regola i rapporti, per l'accertamento dei reati finanziari, tra la polizia tributaria e la polizia giudiziaria, nonché le attribuzioni, sia concorrenti che sostitutive, della polizia giudiziaria.

Non v'é relazione alcuna tra gli articoli ora riassunti e l'art. 24, secondo comma, Cost., che non ne é, né può esserne, vulnerato; e, d'altronde, in entrambe le ordinanze manca qualsiasi motivazione in proposito.

4. - Diverso é il problema che attiene all'art. 33 della legge n. 4 del 1929, che autorizza gli ufficiali della polizia tributaria, senza provvedimento dell'autorità giudiziaria, a procedere a perquisizioni domiciliari, "qualora abbiano notizia o fondato sospetto di violazioni delle leggi finanziarie costituenti reato".

5. - É estraneo all'indagine il collegamento dell'art. 33 della legge (il quale, nel suo secondo comma, detta che la facoltà di eseguire perquisizioni domiciliari attiene "esclusivamente alle violazioni di leggi concernenti i tributi doganali, la privativa dei sali e tabacchi, le imposte di fabbricazione sugli spiriti, zuccheri e polveri piriche o agli altri casi in cui sia espressamente stabilito dalle leggi speciali") con l'autonoma regolamentazione contenuta nell'art. 54 del r.d.l. 14 settembre 1931, n. 1175 (t.u. della finanza locale). Ché, anzi, le ordinanze di rimessione non ne fanno il benché minimo cenno (i capi di imputazione si conoscono solo dai fascicoli delle cause di merito), presupponendo per implicito l'applicabilità alle res iudicandae del censurato art. 33.

6. - Non é dato risolvere la questione senza tenere presenti alcune indispensabili premesse:

A) V'é differenza tra la inviolabilità della libertà personale, quale é tutelata dall'art. 13 Cost., e la inviolabilità del domicilio, quale lo é dall'art. 14 della Costituzione. La perquisizione personale e la ispezione personale (al pari della detenzione e di qualsiasi altra forma di restrizione della libertà personale) non sono ammesse "se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge" (art. 13, secondo comma) e i provvedimenti provvisori restrittivi della libertà personale ad opera dell'autorità di pubblica sicurezza sono sottoposti alle condizioni, tassative ed estremamente rigorose, dell'eccezionalità, della necessità e dell'urgenza (art. 13, terzo comma), mentre, per l'inviolabilità del domicilio, l'equiparazione all'inviolabilità della libertà personale e l'estensione delle stesse garanzie prescritte per la tutela di quest'ultima (art. 14, secondo comma) subiscono una deroga espressa, a fini economici e fiscali, oltrechè per motivi di sanità e di incolumità pubblica (art. 14, terzo comma).

B) L'art. 224 cod. proc. pen. consente alla polizia giudiziaria di procedere di propria iniziativa a perquisizione personale e domiciliare nella flagranza del reato o quando vi sia stata evasione. Orbene, l'art. 33, primo comma, della legge n. 4 del 1929, che si apre con la dizione "Oltre a quanto stabilito dal codice di procedura penale per gli ufficiali di polizia giudiziaria ecc." non innova il sistema, perché non fa che estendere questo potere - epperò soltanto per le perquisizioni domiciliari con esclusione delle perquisizioni personali - ad altre situazioni, in aggiunta a quelle previste dalla legge processuale comune, ritenute de jure contingibili, urgenti e meritevoli di pronto intervento per il raggiungimento di scopi di essenziale interesse pubblico, costituzionalmente protetto. Questa Corte, occupandosi dell'art. 8 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, che dà facoltà agli ispettori del lavoro di visitare laboratori, opifici, cantieri e locali annessi e connessi con l'esercizio dell'azienda, ha asserito che tale norma, rientrando nell'ambito del terzo comma dell'art. 14 Cost., é pienamente legittima (sentenza n. 10 del 1971).

C) É da tener fermo che, se il sospettato diventa imputato (e anche prima per gli atti diversi da quelli in esame: sentenza n. 86 del 1968 di questa Corte), vanno rispettate le norme sull'istruzione penale.

D) Va da sé che già nella fase di accertamento é ammessa la presenza del difensore che sia avvertito e chiamato dal sospettato od inquisito. Ed é appena il caso di osservare che, per quanto riguarda la perquisizione domiciliare, la garanzia difensiva si esprime, appunto, nella facoltà del difensore di assistervi, senza il diritto alla comunicazione dell'atto che sta per compiersi (art. 304 ter, terzo comma, cod. proc. pen.; sentenza n. 63 del 1972 di questa Corte).

In conclusione, non sussiste il contrasto tra l'art. 33 della legge e l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 30, 31 e 32 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), sollevata con le ordinanze in epigrafe in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33 della stessa legge, sollevata con le medesime ordinanze in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE -  Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA

Arduino  SALUSTRI – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 9 maggio 1973.