Sentenza n.46 del 1973
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SENTENZA N. 46

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Giuseppe  CHIARELLI

Dott. Giuseppe  VERZÌ, Presidente

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

         ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 123, secondo comma, del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (testo unico di leggi sulle acque e sugli impianti elettrici), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 19 dicembre 1970 ed il 7 gennaio 1971 dal tribunale di Latina nei procedimenti civili vertenti tra Maggiore Amleto, Sartor Anna Maria e l'Ente nazionale per l'energia elettrica, iscritte ai nn. 36 e 37 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971;

2) ordinanza emessa il 17 novembre 1970 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra l'ENEL e la società Imo Galanti e C., iscritta al n. 81 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971;

3) ordinanze emesse il 25 giugno 1971 dal pretore di Frigento ed il 22 aprile 1971 dal tribunale di Lagonegro nei procedimenti civili vertenti rispettivamente tra Caputo Paolia, De Rita Assunta Maria, Pandolfo Antonietta e Carmine, e l'ENEL, iscritte ai nn. 283, 284 e 285 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1971;

4) ordinanza emessa il 10 luglio 1971 dal tribunale di Brindisi nel procedimento civile vertente tra Cafiero Antonio e l'ENEL, iscritta al n. 26 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 22 marzo 1972;

5) ordinanza emessa il 12 febbraio 1971 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Cappelli Carlo e l'ENEL, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 22 marzo 1972;

6) ordinanza emessa il 17 novembre 1971 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra l'ENEL e la società F.lli Venturi, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972.

Visti gli atti di costituzione dell'ENEL, di Cappelli Carlo e della società F.lli Venturi;

udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1973 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi gli avvocati Aldo Sandulli, Ernesto Conte ed Enrico Piacitelli, per l'ENEL, l'avv. Antonio Sorrentino, per il Cappelli, e l'avv. Ruggero Berardi, per la società F.lli Venturi.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanze, di identica motivazione, emesse il 19 dicembre 1970 ed il 7 gennaio 1971, nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Maggiore Amleto, Sartor Anna Maria e l'ENEL, il tribunale di Latina ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 123, comma secondo, del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (t.u. di leggi sulle acque e sugli impianti elettrici), il quale stabilisce che, per la determinazione dell'indennità di servitù di elettrodotto, il valore dell'immobile gravato dalla servitù deve essere calcolato con il sovrappiù di un quinto.

Secondo il giudice a quo, la norma indicata - attribuendo all'indennizzo una funzione più che satisfattoria ed andando "oltre il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la P.A. può garantire all'interesse privato - collide, invero, con i principi della "funzione sociale della proprietà" e del "giusto indennizzo" (appunto canonizzati nell'art. 42 della Costituzione) e viola, inoltre, il "principio di uguaglianza".

Con riguardo a quest'ultimo principio, si prospetta che i proprietari dei fondi attraversati da servitù di elettrodotto, nel procedimento di determinazione dell'indennità loro dovuta (in dipendenza, appunto, dell'imposta servitù), risultano ingiustificatamente privilegiati:

a) rispetto ai proprietari interessati da servitù di acquedotto (per i quali la corresponsione del menzionato sovrappiù di un quinto - inizialmente prevista dall'art. 603 del vecchio codice civile 1865, "secondo una lunga tradizione risalente a Carlo V Imperatore" - é stata, invece, come é noto, soppressa dal legislatore del 1942);

b) rispetto, inoltre, ai proprietari che subiscano, per la costruzione di una linea elettrica, il totale esproprio del suolo occorrente alla realizzazione dell'opera (l'indennità spettante ai quali va determinata in base al disposto degli artt. 39 e 40 della legge generale sugli espropri 25 giugno 1865, n. 2359, che non contempla corresponsione di alcun sovrappiù);

c) rispetto, infine, ai proprietari che subiscano occupazione d'urgenza, del proprio suolo, protratta oltre il biennio e non seguita dal decreto di asservimento od esproprio (la correlativa pretesa dei quali - caratterizzata da un contenuto risarcitorio - non può, evidentemente, superare il livello del danno subito, rappresentato dalla diminuzione di valore del fondo senza nessuna ulteriore maggiorazione).

2. - Anche la Cortedi appello di Roma, nel procedimento civile di secondo grado vertente tra l'ENEL e la soc. Galanti e C., con ordinanza 17 novembre 1970 - premessa, sul punto della rilevanza, l'applicabilità dell'art. 123, secondo comma, r.d. 1933 menzionato anche all'ipotesi (quale quella di specie) di servitù di elettrodotto imposta con il mezzo della espropriazione di pubblica utilità - ha denunziato l'illegittimità costituzionale della norma medesima: ipotizzando, però, violazione del solo art. 42, comma terzo, della Costituzione.

3. - In termini sostanzialmente analoghi a quelli risultati dalle indicate ordinanze del tribunale di Latina, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 123, secondo comma, r.d. 1933 citato é stata, invece, poi, sollevata dal pretore di Frigento, con ordinanze (di identico contenuto) emesse il 25 giugno 1971 nei procedimenti civili promossi da Caputo Paolino e da De Rita Assunta contro l'ENEL; dal tribunale di Lagonegro, con ordinanza resa il 22 aprile 1971, nel procedimento civile tra Pandolfo Antonietta ed ENEL; dal tribunale di Brindisi, con ordinanza 10 luglio 1971, nel procedimento promosso da Cafiero Antonio contro l'ENEL; e dal tribunale di Roma, nel procedimento tra Cappelli, la soc. Interconnessioni Elettriche e l'ENEL con ordinanza 12 febbraio 1971 (nel quale ultimo provvedimento - in premessa alla questione di costituzionalità dell'art. 123 in parola - é, per altro, in particolare, esaminato e positivamente risolto il problema dell'applicabilità della norma stessa ad ipotesi di servitù inamovibili, oltre ché amovibili).

4. - Sempre con riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, l'art. 123 accennato é stato, infine, impugnato con ordinanza 17 novembre 1971, emessa - nel procedimento civile di secondo grado vertente tra l'ENEL e la soc. F.lli Venturi - dalla Corte di appello di Genova (la quale ultima, nell'indicazione della relativa legge, ha, però, erroneamente trascritto, come numero d'ordine, 1175 invece che 1775).

5. - Tutte le menzionate ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.

6. - Innanzi a questa Corte, nel giudizio promosso con ordinanza del tribunale di Roma 12 febbraio 1971, si é costituita la parte privata Cappelli. La quale ha contestato la fondatezza della sollevata questione di legittimità dell'art. 123 r.d. 1933 citato: sia sotto il profilo dell'ipotizzata violazione dell'art. 42 della Costituzione (che ha negato sussistere, in base all'assorbente argomento che non risulta costituzionalizzato alcun limite massimo di indennizzo ed in dipendenza del subordinato rilievo circa la funzione da attribuirsi all'indicato sovrappiù del quinto, non di "arricchimento ingiustificato del proprietario", bensì di "forfetario risarcimento dei prevedibili danni futuri"); sia sotto l'ulteriore diverso profilo della denunziata vulnerazione dell'art. 3 della Costituzione (nella specie - secondo essa parte - non ravvisabile, atteso che "non vi é alcuna identità di situazioni fra la servitù di elettrodotto, che proietta i suoi effetti anche al di là della zona occupata, e quella di acquedotto coattivo, per cui possa dirsi arbitraria ed ingiustificata una diversità di trattamento").

7. - Anche nel giudizio promosso con ordinanza della Corte di appello di Genova 17 novembre 1971 vi é stata costituzione della parte privata, soc. F.lli Venturi, la quale ha, in via principale, dedotto l'inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale per l'erronea indicazione, da parte del giudice a quo, del numero d'ordine della legge impugnata; ed, in subordine, ha contestato, comunque, la fondatezza della questione stessa, sul rilievo che i principi costituzionali reggenti la materia dell'espropriazione non utilmente risultano richiamati in relazione alla diversa fattispecie della imposizione di servitù.

8. - A sua volta, l'ENEL, costituitosi nei giudizi promossi con le su indicate ordinanze 17 novembre 1970, 19 dicembre 1970, 7 gennaio 1971 é 12 febbraio 1971, haconcluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del menzionato art. 123, nella parte in questione, insistendo nelle argomentazioni poste a sostegno delle ordinanze di rinvio.

9. - Non é intervenuta, in nessuno degli indicati giudizi, la Presidenza del Consiglio dei ministri.

10. - Nella discussione orale i difensori delle parti hanno insistito nelle rispettive tesi, le quali erano state anche ampiamente illustrate con memorie depositate per il Cappelli e per l'ENEL.

Considerato in diritto

1. - Le diverse cause, in quanto hanno per oggetto le medesime questioni di costituzionalità, possono essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - In primo luogo, va respinta l'eccezione, sollevata dalla società Fratelli Venturi, di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale promossa con l'ordinanza della Corte di appello di Genova 17 novembre 1971, per avere questa erroneamente indicato il numero di pubblicazione (1175 invece di 1775) del r.d. 11 dicembre 1933 (t.u. di leggi sulle acque e sugli impianti elettrici), contenente la denunciata norma dell'art. 123, comma secondo. L'errore del giudice a quo nella indicazione del numero di pubblicazione, e anche della stessa data, dell'atto normativo rispetto al quale viene sollevata la questione di legittimità costituzionale non incide sull'ammissibilità della questione medesima qualora gli atti della causa e l'ordinanza di rinvio consentano, senza che possa sorgere dubbio, la identificazione dell'oggetto del giudizio: il che appunto ricorre nella specie.

3. - L'art. 123 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (t.u. delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici), il quale detta la disciplina concernente la indennità dovuta al proprietario del fondo assoggettato a servitù di elettrodotto, dopo avere, nel primo comma, statuito che la indennità deve essere determinata "tenendo conto della diminuzione di valore che per la servitù subiscono il suolo e il fabbricato in tutto od in parte", dispone, nel secondo comma, "che il valore dell'immobile gravato dalla servitù é computato nello stato in cui esso trovasi all'atto della occupazione e senza detrazione per qualsiasi carico che lo colpisca e col soprappiù del quinto".

La questione di legittimità costituzionale che questa Corte é chiamata a risolvere concerne questa parte relativa al soprappiù del quinto. Le ordinanze sopra indicate, prendendo le mosse dal rilievo che la norma si ricollega geneticamente al disposto dell'art. 603 del codice civile del 1865, relativa alla servitù coattiva di acquedotto, il quale appunto stabiliva un "soprappiù del quinto" oltre il valore di stima dei terreni da occuparsi, e dalla considerazione che questa maggiorazione, pur se corrispondente a una lunga tradizione, consacrata anche nel codice Albertino, é stata soppressa, in quanto anacronistica e irrazionale, nella disciplina dell'acquedotto dettata dall'art. 1038 del codice civile vigente, prospettano il dubbio che il citato comma secondo dell'art. 123 del testo unico n. 1775 del 1933, mantenendo la predetta maggiorazione per la servitù di elettrodotto e attribuendo così al proprietario del fondo asservito una indennità superiore al ristoro del pregiudizio economico da lui effettivamente subito, contrasti con gli artt. 42 e 3 della Costituzione.

Con riguardo alla violazione del principio di eguaglianza, la ingiustificata disparità di trattamento é prospettata sotto triplice profilo: rispetto ai proprietari di fondi gravati dalle altre servitù coattive previste dal codice civile, e in particolare dalla servitù di acquedotto (art. 1038 cod. civ.); rispetto ai proprietari nei cui confronti, per la costruzione di conduttura elettrica dichiarata di pubblica utilità, si proceda, anziché ad imposizione di servitù, ad espropriazione della parte del fondo occorrente per la realizzazione dell'opera e per l'esercizio della linea, con indennizzo ex artt. 39 e 40 legge 25 giugno 1865, n. 2359; rispetto, infine, ai proprietari di fondi che, in dipendenza della costruzione della conduttura mediante occupazione di urgenza, protratta oltre il biennio e non seguita dalle formalità per l'asservimento o la espropriazione, abbiano diritto al risarcimento del danno effettivo, senza alcuna maggiorazione.

4. - La questione é, sotto il profilo del contrasto con l'art. 3 della Costituzione, indubbiamente fondata.

L'art. 123 del r.d. 11 dicembre 1933. n. 1775, riproduce, salvo alcune varianti delle quali si dirà poi, l'art. 6 della legge 7 giugno 1894, n. 232, il quale corrispondeva, quasi testualmente, al disposto dell'art. 603 del codice civile del 1865 sulla servitù di acquedotto coattivo. Deve escludersi che il legislatore del 1894, prescrivendo che alla indennità, da ragguagliarsi alla diminuzione del valore del suolo, dovesse aggiungersi il soprappiù del quinto, fosse stato mosso dall'apprezzamento di ragioni peculiari alla servitù di elettrodotto, risultando invece chiaramente espresso nei lavori preparativi (vedi, tra l'altro, la relazione al progetto di legge presentata dal Ministro Boselli alla Camera nella seduta del 12 marzo 1894) che si riteneva miglior consiglio quello di allontanarsi il meno possibile dalle "disposizioni di legge che su le materie analoghe" si contenevano nel codice civile, e in particolare di seguire il sistema tracciato in tema di servitù di acquedotto.

Le ragioni che, rispetto a quest'ultima, avevano ispirato, nelle antiche origini, il soprappiù della indennità, sia che questo rappresentasse il compenso per la imposta fondiaria, che restava a carico del proprietario, sia che, come altri opinava, fosse sorto in funzione della coattività del sacrificio imposto al diritto del proprietario, analogamente a quella maggiorazione del valore venale che alcune legislazioni straniere del secolo scorso attribuivano al proprietario espropriato per ragioni di pubblica utilità, sono state ormai ritenute inconsistenti dal legislatore del codice civile vigente, nel quale il predetto soprappiù e stato soppresso. Né alcuna di esse può costituire valida giustificazione per mantenerlo rispetto alla indennità relativa alla servitù di elettrodotto, posto che anche tale indennità va determinata senza detrazione "per qualsiasi carico" che colpisca l'immobile, il che deve intendersi al lordo, e non al netto della stessa imposta fondiaria.

In tanto potrebbe, comunque, trovarsene una ragione giustificatrice, in quanto la indennità, costituente la base della maggiorazione del quinto, non comprendesse, secondo i criteri dettati dal citato art. 123 della legge del 1933, tutto il pregiudizio economico derivante dalla imposizione della servitù di elettrodotto.

E appunto su questa direttiva si muove l'opinione di chi, in base alla locuzione del comma secondo del predetto articolo, che "il valore dell'immobile gravato dalla servitù é computato nello stato in cui esso trovasi all'atto della occupazione", ritiene che la diminuzione di valore debba essere determinata con riferimento all'immobile così come trovavasi all'atto della occupazione, con riguardo cioè alla destinazione specifica che aveva in quel momento, prescindendo dalla possibilità di diverso sfruttamento, ancorché essa non dipendesse da circostanze meramente eventuali ed ipotetiche, ma avesse carattere di attualità.

Sennonché, é anzitutto da rilevare che chi sostiene la predetta interpretazione della locuzione sopra riportata ricollega la ratio della disposizione restrittiva alla facoltà, prevista dall'art. 122, quarto e quinto comma, del testo unico, di chiedere la rimozione dell'elettrodotto quando s'intenda apportare innovazioni al fondo servente; cosicché, l'asserita limitazione, nella determinazione della base della indennità, se trova il suo contrappeso nella amovibilità della servitù, non potrebbe porsi a giustificazione del soprappiù del quinto. Si potrebbe, se mai, discutere se questo soprappiù, prescindendosi dalle ragioni che indussero il legislatore a prescriverlo, possa ora rimanere giustificato limitatamente alle servitù inamovibili, come in definitiva finisce col sostenere, sia pure subordinatamente, la difesa del Cappelli.

Ma qualsiasi argomentazione al riguardo é comunque viziata in radice perché parte da un presupposto erroneo.

É, infatti, dottrina dominante e giurisprudenza consolidata che la norma di principio posta dal comma primo dell'art. 123 impone che nella determinazione della indennità si tenga conto di tutto il pregiudizio economico che per effetto della servitù di elettrodotto subisca il fondo servente, e ciò in base ai normali criteri che sono validi per le altre servitù coattive e che corrispondono anche a quello dettato in via generale, nel caso di espropriazione parziale per pubblica utilità, dall'art. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359.

In particolare, possono ormai dirsi fermi i punti seguenti:

a) che la diminuzione di valore conseguente alla imposizione della servitù di elettrodotto va determinata con riferimento all'intero fondo servente, e non già alla sola striscia di terreno materialmente asservita: il che é confermato dal fatto che l'art. 123 non prevede più, distintamente dalla indennità di cui al primo comma, i danni derivanti dalla separazione in più parti o intersecazione del fondo, che, tanto l'art. 603 cod. civ. 1865, quanto l'art. 6 della citata legge sull'elettrodotto del 1894, menzionavano come dovuti in aggiunta alla indennità;

b) che nessuna limitazione al principio dell'integrale indennizzo del pregiudizio effettivo deriva dal doversi considerare l'immobile nello stato in cui trovasi all'atto della occupazione, perché con ciò deve intendersi escluso soltanto che possa tenersi conto della possibilità di future destinazioni dipendenti dal concorso di circostanze meramente ipotetiche, mentre é certo che, al di là della contingente destinazione in quel momento (ad es. agricola), deve aversi riguardo anche a quelle destinazioni, la cui possibilità, in base ad elementi obiettivi ed idonei, si presenti con carattere di concreta attualità in modo da potersi considerare una qualità dell'immobile (ad es. edificatoria).

Tale risultando la interpretazione della norma, la disposizione relativa al soprappiù del quinto dà luogo ad ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni sostanzialmente identiche. Né hanno consistenza le argomentazioni in contrario svolte nel giudizio innanzi questa Corte, le quali pongono in risalto la maggiore ampiezza o intensità degli effetti pregiudizievoli della servitù di elettrodotto, rispetto a quelli di altre servitù coattive, e, con particolare riguardo alle linee ad alta tensione da costruirsi dall'ENEL, s'appuntano sulle prescrizioni relative alla inamovibilità (art. 9 d.l. 1965 n. 342), e su quelle per cui le linee non devono "soprapassare" gli edifici (art. 65 r.d. 1940 n. 1968) e deve essere assicurata la mancanza di pericolo per la incolumità pubblica, giacché anche gli effetti di tali prescrizioni, nella misura in cui impediscono o limitano le facoltà del proprietario dell'immobile di utilizzare le aree asservite e quelle adiacenti, incidono sul valore del bene e vanno pertanto tenuti in conto nella determinazione della indennità ai sensi del comma primo dell'art. 123 del testo unico.

Lo stesso é a dire rispetto agli effetti pregiudizievoli che derivano dalle facoltà conferite all'utente della servitù di elettrodotto dall'art. 121 del testo unico predetto e, in particolare, da quella relativa all'accesso del personale addetto alla sorveglianza e manutenzione degli impianti, come pure rispetto ai disturbi che possono cagionare le vibrazioni o il ronzio dei cavi attraversati dalla corrente.

Quanto a questi disturbi, é indiscutibile la loro incidenza sul godimento del bene e la rilevanza, sotto il profilo economico e giuridico, almeno nel caso che sia superato il limite della normale tollerabilità: il che risponde a principi che trovano anche espressione, in materia di rapporti di vicinato, nella tutela, di carattere reale, accordata dall'art. 844 cod. civ. per le immissioni.

Quanto al pregiudizio relativo al transito di cui al su citato art. 121 lett. d, il rilievo della difesa del Cappelli che la legge non ne assicura il ristoro integrale, ben potendo il danno superare quel quarto del valore dell'area necessaria che é previsto dal terzo comma dell'art. 123, si basa su un presupposto erroneo. Il comma ora citato non va inteso nel senso che il pregiudizio per il diritto di passaggio e per le occupazioni di suolo ivi previste, debba escludersi nel computo della reale diminuzione di valore del fondo ai sensi del primo comma e indennizzarsi in base alla cosiddetta stima convenzionale, bensì - come ritenuto da prevalente dottrina in materia di estimo - nel senso che, qualora il quantum determinato secondo il primo comma risulti inferiore a quello convenzionale del terzo comma, l'indennizzo debba essere ragguagliato a quest'ultimo.

Posto pertanto che il minus valore da indennizzare ai sensi del primo comma dell'art. 123 comprende tutti i titoli di danno conseguenti alla imposizione della servitù, l'aggiunta del quinto disposta dal secondo comma comporta una ingiustificata disparità di trattamento, rispetto, non solo alle altre servitù coattive disciplinate dal codice civile, ma anche alla normativa applicabile nel caso, non diverso sotto l'aspetto qui considerato, in cui, per la costruzione della linea elettrica, si proceda, anziché alla imposizione di servitù, alla espropriazione del suolo occorrente alla realizzazione dell'opera.

Ciò basta per ritenere sussistente il contrasto della disposizione de qua con l'art. 3 della Costituzione, senza che occorra scendere all'esame dell'ulteriore dedotto profilo di contrasto con lo stesso principio di uguaglianza, nella ipotesi in cui, in dipendenza di costruzione di elettrodotto con illegittima occupazione oltre il biennio non seguita da decreto di asservimento o di espropriazione, sia dovuto il risarcimento del danno effettivo.

Resta assorbita la questione di legittimità costituzionale della norma in riferimento all'art. 42 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 123, comma secondo, del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici, nella parte in cui statuisce l'aggiunta del "soprappiù del quinto" alla indennità per servitù di elettrodotto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1973.

        Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo  ROSSI  - Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA.- Edoardo VOLTERRA

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 aprile 1973.