Sentenza n.37 del 1973
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SENTENZA N. 37

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Dott. Giuseppe  VERZÌ ,Presidente

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 del r.d.l. 29 luglio 1927, n. 1509 (provvedimenti per l'ordinamento del credito agrario), convertito in legge 5 luglio 1928, n. 1760, promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1970 dal pretore di Orvieto nel procedimento civile tra l'Istituto federale di credito agrario per l'Italia centrale e Lemmi Angiolo, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 10 marzo 1971.

Visti l'atto di costituzione dell'Istituto federale di credito agrario per l'Italia centrale e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21febbraio 1973 il Giudice relatore Nicola Reale;

uditi l'avv. Rosario Nicolò, per l'Istituto di credito agrario, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Soprano, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

L'Istituto federale di credito agrario per l'Italia centrale, per il tramite della Cassa di risparmio di Orvieto, sua mandataria generale, negli anni dal 1966 al 1969 concedeva al sig. Lemmi Angiolo prestiti cambiari agrari di esercizio ordinario per complessive lire 24.000.000. A garanzia di tali crediti, che le parti dichiaravano diretti a finanziare l'acquisto di bestiame e a fronteggiare le spese di conduzione aziendale dei fondi rustici di proprietà del mutuatario, oltre al privilegio legale, venivano costituiti anche privilegi speciali convenzionali su scorte vive e morte, iscritti nei registri della Conservatoria delle ipoteche di Orvieto.

Alle scadenze prestabilite talune cambiali non venivano pagate, sicché l'Istituto predetto, dopo avere invano richiesto l'adempimento, con ricorso al pretore di Orvieto, a norma dell'art. 11 della legge 5 luglio 1928, n. 1760 (con la quale fu convertito in legge il r.d. 29 luglio 1927, n. 1509), chiedeva di essere autorizzato a procedere, in danno del debitore, al sequestro ed alla vendita, secondo l'art. 1515 del codice civile (già art. 68 cod. comm.), dei beni oggetto dei privilegi legali e convenzionali.

Sennonché il pretore, con ordinanza 15 dicembre 1970, sollevava dubbi sulla legittimità dell'art. 11 della citata legge n. 1760 del 1928, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 44, primo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione, in quanto detta norma escluderebbe la procedura di convalida del sequestro ed il giudizio di merito; non imporrebbe l'obbligo della preventiva notifica del precetto; non prevederebbe termini dilatori fra quest'ultimo atto e la fase di aggressione dei beni del debitore; non disciplinerebbe le opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi, né la sospensione dell'esecuzione; sopprimerebbe infine tutte le garanzie, previste dagli artt. 501 e segg. e 529 e segg. c.p.c., per la vendita forzata dei beni sottoposti a pignoramento.

La norma stessa sembrerebbe violare anche gli artt. 44, primo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che la legge aiuta la piccola e media proprietà e che la Repubblica favorisce l'accesso del risparmio popolare... alla proprietà diretta coltivatrice.

Davanti a questa Corte si é costituito l'Istituto federale di credito agrario, il quale, con l'atto di deduzioni ed una successiva memoria, ha sostenuto l'infondatezza dei motivi circa l'illegittimità costituzionale del ricordato art. 11 della legge sui crediti speciali agrari, addotti nell'ordinanza di rimessione.

In rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuta in giudizio l'Avvocatura generale dello Stato, la quale, a conforto della legittimità costituzionale della norma impugnata, ha affermato l'inattendibilità dei motivi tutti espressi nell'ordinanza di rimessione sotto gli aspetti, sia giuridici, sia economico-sociali, nei quali la materia del credito agrario deve essere inquadrata.

Considerato in diritto

1. - La legge 5 luglio 1928, n. 1760 (in cui fu convertito con modificazioni il r.d.l. 29 luglio 1927, n. 1509), sull'ordinamento del credito agrario, in riferimento a mutui di esercizio (art. 2) e di miglioramento (art. 3) concessi da istituti a ciò autorizzati, ed assistiti dal privilegio legale speciale e da quello convenzionale, a norma rispettivamente degli artt. 8 e 9, dispone nell'art. 11 che in caso di inadempimento del debitore agli obblighi di restituzione, il pretore, su istanza dell'istituto mutuante, può, assunte sommarie informazioni, ordinare il sequestro e la vendita degli oggetti sottoposti a privilegio.

La vendita va effettuata, senza formalità giudiziarie, secondo l'art. 1515 cod. civ. vigente, che ha sostituito l'art. 68 dell'abrogato codice di commercio. E cioè (come risulta anche dal disposto dell'integrativo art. 83 delle disposizioni di attuazione) all'incanto, mediante persona a tali operazioni autorizzata o, in mancanza di essa, a mezzo di ufficiale giudiziario, previa tempestiva notizia al debitore del giorno, del luogo e dell'ora. La notizia preventiva é sostituita da quella successiva, purché pronta, in caso di vendita senza incanto, attuabile quando le cose abbiano un prezzo corrente stabilito per atti della pubblica autorità o risultante da listini di borsa o da mercuriali.

2. - Il pretore di Orvieto ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge, quale norma fondamentale della disciplina sopra ricordata.

Secondo il pretore essa, lungi dal favorire il credito agrario e quindi lo sviluppo dell'agricoltura, si risolverebbe in pregiudizio, giacché, sostituendosi agli ordinari mezzi satisfattori e sottraendo improvvisamente al debitore la disponibilità delle scorte, precluderebbe a quest'ultimo ogni possibilità di fronteggiare e superare situazioni, talora temporanee, di disagio economico. Contrasterebbe, anzitutto, con l'art. 3, primo comma, Cost. per la grave e ingiustificata disparità di trattamento riservata agli enti che esercitano il credito agrario, rispetto a quello di cui godono tutti gli altri soggetti titolari di analoghi diritti di credito. Contrasterebbe, poi, con lo stesso art. 3, primo comma, e con l'art. 24, primo e secondo comma, Cost. in quanto, anche in violazione dei principi di uguaglianza, limiterebbe gravemente il diritto di difesa del debitore, comportando:

a) l'esclusione della procedura di convalida del sequestro e del giudizio di merito;

b) l'eliminazione dell'obbligo della preventiva notificazione del precetto;

c) l'inesistenza di termini dilatori fra questo atto e la fase di aggressione dei beni del debitore;

d) l'omessa menzione dei rimedi previsti dal c.p.c. in via di opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi;

e) l'omessa previsione di una eventuale sospensione della esecuzione;

f) la soppressione, infine, di tutte le garanzie in favore del debitore previste dagli artt. 501 e segg., 529 e segg c.p.c. per la vendita forzata dei beni pignorati.

Un terzo gruppo di censure é basato sugli artt. 44, primo comma, e 47, secondo comma, Cost. statuenti rispettivamente che la legge "aiuta la piccola e media proprietà" e che la Repubblica favorisce l'accesso del risparmio popolare "alla proprietà diretta coltivatrice".

E ciò in quanto la norma impugnata non rappresenterebbe per l'agricoltore un incentivo a contrarre mutui.

Le questioni non sono fondate.

3. - Va anzitutto precisato, contro la censura sub a) del secondo gruppo, che, per concorde opinione della dottrina e della giurisprudenza, l'atto, impropriamente definito dal legislatore come sequestro, non é misura cautelare che renda necessario un giudizio di convalida ma ha, invece, natura di atto di esecuzione equiparabile al pignoramento che, ai sensi dell'art. 491 c.p.c., segna normalmente l'inizio dell'espropriazione. L'ordine di vendita contemporaneamente impartito dal pretore viene, a sua volta, equiparato al provvedimento con cui il giudice (ai sensi dell'art. 530 c.p.c.) dispone la vendita dei beni pignorati, nell'ordinario procedimento di esecuzione mobiliare.

Ciò posto, é innegabile che il procedimento esecutivo impugnato ha corso più rapido e diverge, sotto vari aspetti, da quello ordinario.

Sennonché, per stabilire se importi o meno violazione sia dell'art. 3 Cost. nei riguardi di altri creditori e violazione dello stesso articolo nonché dell'art. 24 Cost. nei riguardi del debitore esecutato, non può trascurarsi che il procedimento, di cui alla normativa in questione, deve essere valutato non isolatamente, ma nel ben noto quadro, vasto e multiforme, degli interventi statali volti ad indirizzare verso finalità generali di interesse pubblico l'attività produttiva agraria. E ciò con particolare riguardo alla disciplina del credito agrario il cui ordinamento, risultante dalla citata legge del 1928 e da altre leggi e regolamenti in materia, é appunto inteso al conseguimento di fini di utilità sociale (sent. n. 77 del 1969), in quanto tende a sottrarre l'agricoltore ai possibili abusi del credito privato, assicurandogli finanziamenti a basso costo e ad altre condizioni non esose anche in periodi di crisi. Ma perché i finanziamenti possano giovare al maggior numero possibile di soggetti, occorre che le singole operazioni (specie quelle concernenti il credito agrario di esercizio) siano a termini brevi e comportino il rapido recupero dei capitali per nuovi impieghi.

É sufficiente al riguardo ricordare che, appunto in vista delle suddette esigenze, la legge stabilisce a quali enti (e fra essi sono numerosi quelli pubblici), e con esclusione di ogni altro soggetto, é riservato istituzionalmente o può essere concesso l'esercizio del credito agrario come previsto dalle leggi speciali; li sottopone a vigilanza, ne disciplina minutamente l'attività creditizia, in ordine sia ai tassi di interesse (oltre, in taluni casi, l'assunzione diretta da parte dello Stato dell'onere di una quota di questi) sia alla durata dei mutui, normalmente breve, specie per quelli di esercizio, con disposizioni di favore per il debitore circa l'epoca della scadenza e quella della eventuale vendita.

Inoltre, tutti i prestiti concernenti operazioni di credito agrario di esercizio e anche taluni riguardanti operazioni di credito di miglioramento si effettuano mediante sconto di cambiale agraria indicante (a norma dell'art. 7 della legge) lo scopo del prestito, il fondo per cui é concesso, il luogo di deposito dei prodotti da utilizzare o da trasformare o quello di custodia del bestiame, delle macchine e degli attrezzi da acquistare, e infine le garanzie, compreso il privilegio convenzionale da cui il prestito risulti assistito.

In coerenza, poi, con l'oggetto del prestito il privilegio legale speciale, di cui all'art. 8, può riguardare i frutti pendenti, quelli raccolti nell'anno della scadenza e le derrate provenienti dal fondo.

Il privilegio speciale convenzionale previsto dall'art. 9 può, a garanzia di taluni prestiti di esercizio e di quelli a scopo di miglioramento, gravare sulle cose suddette, nonché su quanto serva a coltivare e a dotare i fondi, limitatamente alla parte eccedente i crediti assistiti dal privilegio legale speciale. Ma per la sua validità ed efficacia é necessario che esso risulti da atto scritto indicante, fra l'altro, le cose su cui viene costituito, nonché le condizioni del mutuo, e che abbia acquistato data certa con la registrazione; va, inoltre, iscritto in uno speciale registro presso la Conservatoria dei registri immobiliari.

Orbene, considerata nel quadro generale della disciplina del credito agrario, la norma dell'art. 11 (come le altre ad essa collegate) non importa violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto é il risultato di una scelta legislativa basata non irrazionalmente su diversità di situazioni. Ciò nei riguardi degli istituti autorizzati al credito agrario, sottoposti a limitazioni e a controlli cui sfuggono altri soggetti che si inducano a fare prestiti ad agricoltori; istituti per di più tenuti a curare, nell'interesse generale, la normale circolazione dei capitali da essi amministrati evitandone un dannoso immobilizzo. La violazione dell'art. 3 non ricorre neppure nei riguardi del debitore esecutato, giacché il rigore del procedimento, in caso di sua insolvenza, va posto a fronte non solo delle superiori esigenze, già accennate, e della rigorosa documentazione cui, a norma di legge, é subordinato il suo debito, ma anche delle garanzie connesse alla speciale disciplina cui é sottoposto l'istituto mutuante.

Quanto poi alle singole censure formulate dal giudice a quo, sotto il profilo dell'art. 24 Cost. e superata, come si é visto, quella sub a), tutte risultano infondate. Va posto in evidenza che all'esecuzione l'istituto non é autorizzato a procedere in via di autotutela, ma che é richiesto l'intervento del giudice, tenuto ad assumere informazioni, per quanto sommarie, prima di disporla. Nulla vieta che nel corso di esse il debitore sia messo in grado di aver notizia dei propositi dell'istituto e di opporre le proprie ragioni anche in contraddittorio con esso. L'istituto, poi, normalmente agisce in base a cambiale, titolo esecutivo con le caratteristiche già enunciate, e, per quanto riguarda il privilegio convenzionale, non può non richiamarsi alle scritture di cui é stata rilevata la particolare disciplina.

Trattandosi inoltre di cose fungibili, spesso deperibili e, di regola, facilmente asportabili, non ha importanza decisiva la circostanza che la vendita venga contemporaneamente disposta dal giudice. La norma, d'altro canto, trova rispondenza nell'art. 482 c.p.c.

Cadono così le censure sub b) e sub c), mentre per quella sub d) basta ricordare essere comunemente ammessa nella giurisprudenza della Corte di cassazione la possibilità di opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c., quando il debitore contesti il diritto del creditore all'esecuzione o la regolarità formale del titolo esecutivo e dei singoli atti del procedimento: contestazione ammissibile anche a vendita avvenuta fino alla chiusura del procedimento esecutivo. Ciò a parte la possibilità che l'istituto procedente incorra in responsabilità aggravata, ove si verifichino le circostanze di cui all'art. 96 del codice di procedura civile.

Parimenti infondata é la censura sub e), in quanto la mancata previsione della sospensione dell'esecuzione non vale ad escludere, nel procedimento in esame, l'applicabilità degli artt. 623 e segg. del codice di procedura civile.

In ordine all'ultima censura sub I), una volta chiarito, come sopra ricordato, che il decreto, col quale il pretore autorizza la vendita dei beni oggetto di privilegio, ha finalità analoghe a quelle del provvedimento di cui all'art. 530 c.p.c., il fatto che la pronuncia di esso non sia preceduta dall'audizione delle parti nell'udienza appositamente fissata, non incide negativamente sull'interesse del debitore a che con la vendita forzata sia realizzato il maggior utile possibile, onde lo stesso debitore possa trarne vantaggio mediante estinzione totale del suo debito e l'attribuzione di un eventuale residuo. D'altro canto, come già accennato, l'esecuzione speciale riguarda beni che, da un lato, hanno generalmente un prezzo di mercato insuscettibile di determinazioni speculative pregiudizievoli per il debitore, e dall'altro esigono, anche nell'interesse del debitore esecutato, che si proceda alla loro alienazione nel più breve tempo possibile, perché non deperiscano o comunque non importino oneri di conservazione o di custodia.

4. - L'infondatezza infine della terza questione basata su pretesa violazione degli artt. 44, primo comma, ultima parte, e 47, secondo comma, della Costituzione emerge dai precedenti rilievi per i quali il procedimento esecutivo speciale rientra nella generale disciplina volta a favorire il credito agrario e non può considerarsi contrastante con i precetti costituzionali di cui agli articoli predetti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni sulla legittimità costituzionale dell'art. 11 del r.d.l. 29 luglio 1927, n. 1509 (provvedimenti per l'ordinamento del credito agrario), convertito nella legge 5 luglio 1928, n. 1760, sollevato, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 44, primo comma, ultima parte, e 47, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1973.

Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE -  Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI -  Giulio  GIONFRIDA.- Edoardo VOLTERRA

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 12 aprile 1973.