Sentenza n.28 del 1973
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SENTENZA N. 28

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA, Giudici,

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 523, primo e secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 19 novembre 1970 dal tribunale di Camerino nel procedimento penale a carico di Borgiani Quinto, iscritta al n. 28 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971.

Udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 1973 il Giudice relatore Nicola Reale.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 19 novembre 1970, nel corso del processo penale a carico di Borgiani Quinto, imputato di ratto per fine di libidine commesso ai danni di una donna maggiore di età e coniugata, il tribunale di Camerino ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 523 del codice penale.

Il tribunale ha ritenuto dubbia la costituzionalità di detta norma in quanto delimita la fattispecie criminosa in riferimento alla minore età soltanto per il caso che vittima ne sia persona di sesso maschile e non una donna. Donde la conseguenza che, quando lo stesso fatto venga commesso ai danni di un uomo maggiore di età, risulterebbe applicabile la diversa disciplina del sequestro di persona (art. 605 c.p.), la quale prevede una più grave sanzione e non consente la concessione della circostanza attenuante speciale della spontanea desistenza dell'autore dalla realizzazione, prima della condanna, del fine di libidine qualificante l'azione criminosa.

Secondo il tribunale, quindi, la delineata discriminazione delle fattispecie di ratto e di sequestro di persona, basata sulla diversità di sesso del soggetto passivo, non risponderebbe a razionalità ed uguaglianza.

Considerato in diritto

Con l'ordinanza pronunziata nel corso di un giudizio penale a carico di un uomo imputato del delitto di ratto a fine di libidine in danno di donna maggiore di età e coniugata (art. 523, primo comma, c.p., che prevede la reclusione da tre a cinque anni, con l'aumento di pena di cui al secondo comma dello stesso articolo), il tribunale di Camerino ha sollevato, in riferimento al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), la questione di legittimità della norma nella parte in cui non prevede, sottoponendola ad identico trattamento penalistico, l'analoga sottrazione o ritenzione violenta o fraudolenta a fini di libidine, di un uomo di età maggiore.

In quest'ultima fattispecie, per la sola diversità di sesso del soggetto passivo, dovrebbe configurarsi il reato di sequestro di persona, punito ai sensi dell'art. 605 c.p. con la reclusione da sei mesi a otto anni, con l'ulteriore conseguenza, aggiunge il tribunale, che alla fattispecie stessa non sarebbe neppure applicabile l'attenuante speciale di cui all'art. 525 del codice penale.

La questione é manifestamente irrilevante.

Come già questa Corte ha avuto modo di osservare in occasione di questione analogamente prospettata dal pretore di Ottaviano in relazione ad una pretesa disparità di trattamento tra fattispecie disciplinata dall'art. 522, primo comma, e quella prevista dall'art. 605 c.p., anche l'odierna questione non concerne la norma richiamata nell'imputazione oggetto del giudizio (ossia quella di cui all'art. 523, primo e secondo comma), ma altra norma (art. 605) riguardante fatto non identico a quello della cui cognizione é investito il tribunale; norma della quale é indubbia la inapplicabilità ai fini della decisione. E poiché l'asserita disuguaglianza di trattamento risulterebbe pregiudizievole rispetto a soggetto diverso dall'imputato nel processo a quo, la soluzione della questione non riveste il carattere di necessaria pregiudizialità incidentale richiesto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e pertanto la questione stessa va dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 523, primo e secondo comma, del codice penale, sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, dal tribunale di Camerino, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1973.

 Giuseppe  VERZÌ – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI -  Giulio  GIONFRIDA –Edoardo VOLTERRA.

Arduino  Salustri – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 marzo 1973.