Sentenza n.26 del 1973
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SENTENZA N. 26

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Giuseppe  CHIARELLI, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 189, primo comma, n. 5, e ultimo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 16 giugno 1970 dal tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Sabet Elyas ed il fallimento della società Gagliardo Giovanni ed altri, iscritta al n. 344 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970.

Visti gli atti di costituzione del fallimento Gagliardo e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1973 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

uditi l'avv. Mario Comba, per il fallimento Gagliardo, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con istanza in data 21 gennaio 1968, Sabet Elyas chiedeva al giudice delegato presso il tribunale di Torino di essere ammesso al passivo privilegiato del fallimento della società di fatto Gagliardo Giovanni, Riotta Franco e Novara Giuseppe per un credito di lire 8.500.000, coperto da sequestro conservativo penale su beni di proprietà del Riotta.

Il giudice, con provvedimento del 27 maggio 1968, ammetteva il credito insinuato al passivo chirografario.

Il Sabet Elyas, con ricorso dell'8 giugno 1968, proponeva opposizione contro il provvedimento del giudice delegato perché il credito venisse ammesso al passivo del fallimento in via privilegiata, attesa la sua natura di credito dipendente da reato, a garanzia del quale era stato concesso ed esibito, prima della sentenza dichiarativa di fallimento, sequestro conservativo penale, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 189, primo comma, n. 5, e ultimo comma, del codice penale.

Il fallimento, costituitosi nel giudizio di opposizione in persona del rag. Michele Adorno, chiedeva che il ricorso del Sabet venisse respinto e che, pertanto, fosse mantenuta ferma l'ammissione del credito al passivo fallimentare come credito chirografario. Lo stesso curatore sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 191 del codice penale, 617 del codice di procedura penale e degli artt. 2768 e 2778 del codice civile, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Il tribunale di Torino, sezione IV civile, con ordinanza 16 giugno 1970, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, primo comma, n. 5, e ultimo comma, del codice penale, in quanto richiamato dagli artt. 2768 e 2778, n. 7 (n. 8, per art. 66 legge 30 aprile 1969, n. 153), del codice civile, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.

Nel giudizio davanti alla Corte si é costituito il rag. Michele Adorno, nella sua qualità di curatore del fallimento. É intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha presentato le sue deduzioni.

Il tribunale, dopo aver rilevato essere pacifico in dottrina e in giurisprudenza che il sequestro conservativo penale svolge funzioni analoghe al sequestro conservativo civile, per cui i due istituti sono da considerarsi identici in relazione allo scopo, all'oggetto e alla procedura di esecuzione, nonché in relazione ai presupposti - fumus boni iuris e periculum in mora", ha ritenuto "difficilmente compatibile il privilegio che inerisce al sequestro conservativo penale di cui all'art. 189 del codice penale con l'art. 3 della Costituzione", sviluppando il proprio convincimento su considerazioni che possono così riassumersi:

a) il sorgere del privilegio, in quanto condizionato alla concessione del sequestro conservativo penale, risulta sottoposto ad una valutazione discrezionale del giudice, su domanda del p.m.;

b) ai sensi del codice civile il privilegio é sempre attribuito in relazione alla natura del credito, mentre, nella specie, é collegato a circostanze, quale il pericolo del ritardo, del tutto estranee a tale causa, per cui, in fatto, si determina disparità di trattamento, a parità di danno derivante da reato, nei confronti sia del creditore al quale non sia stato concesso il sequestro conservativo penale, sia del creditore cui, stante la dichiarazione di fallimento dell'imputato, non sia stato disposto il sequestro, anche se il fatto reato é anteriore alla dichiarazione di fallimento, sia, infine, del danneggiato da reato che si avvalga della sua facoltà di procedere in sede civile, richiedendo ed ottenendo il sequestro conservativo civile: soggetti tutti esclusi dall'ordine dei privilegi di cui all'art. 2778 del codice civile.

Il curatore del fallimento osserva, nella comparsa di costituzione, che il privilegio costituito ex art. 189 c.p. presenta anomalie tali da fare ritenere costituzionalmente illegittime le norme che lo hanno istituito, in quanto in contrasto con il principio di eguaglianza stabilito dall'art. 3 della Costituzione, e ciò sotto aspetti diversi:

a) il principio generale di eguaglianza nel procedimento fallimentare é stabilito dal primo comma dell'art. 2740 c.c., che stabilisce la par condicio creditorum;

b) al principio derogano le ammesse cause legittime di prelazione, rappresentate dai privilegi, il pegno e l'ipoteca; cause che costituiscono presupposti idonéi i per determinare un diverso trattamento tra i diversi creditori;

c) il sequestro conservativo penale non giustifica una diversità di trattamento dei crediti derivanti da reato, in primo luogo perché il privilegio, in questo caso, non attiene alla natura del credito, e non sorge contestualmente ad esso ma si costituisce col fatto ed in conseguenza di un provvedimento discrezionale del giudice; in secondo luogo perché pone una ingiustificata discriminazione nei confronti di quei creditori che, danneggiati da reato, si trovano in una identica situazione di diritto sostanziale verso il condannato, ma non sono sorretti da privilegio, non avendo potuto conseguire il sequestro conservativo; in terzo luogo perché determina una ingiustificata discriminazione anche nei riguardi dei creditori che abbiano ottenuto il sequestro conservativo civile, non essendo questo coperto da privilegio.

Nelle sue deduzioni l'Avvocatura generale dello Stato conclude perché la questione dedotta sia dichiarata infondata, osservando che:

1) il sequestro conservatorio penale ha una duplice finalità: impedire la dispersione del bene al fine di assicurare il soddisfacimento dei crediti cautelati; garantire, secondo un ordine determinato, la prelazione, in fase di realizzazione esecutiva, rispetto ad una serie di altri crediti;

2) se pur non possa disconoscersi che il privilegio a favore dei crediti derivanti da reato presenta caratteristiche anomale rispetto alla disciplina comune, tuttavia, discendendo esse da una diversa considerazione e da una diversa posizione giuridica - particolare natura dei crediti da tutelare -, non concreta, di per se, in alcun modo, ragioni di violazione del principio di eguaglianza;

3) nessuna rilevanza, nella questione, assume la circostanza che il sorgente privilegio ex art. 189 c.p. sia rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, in quanto ogni erronea applicazione della discrezionalità rappresenta una eventualità del momento applicativo della norma e non un motivo di illegittimità.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza del tribunale di Torino denuncia la illegittimità costituzionale del primo comma, n. 5, e dell'ultimo comma dell'art. 189 del codice penale, in quanto richiamato dagli artt. 2768 e 2778, n. 7 (8), del codice civile, ritenendo che sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione la possibilità che, attraverso il sequestro conservativo penale sui beni mobili dell'imputato, venga reso privilegiato il credito relativo.

Il quesito circa la legittimità costituzionale dell'art. 189 del codice penale é prospettato nell'ordinanza, sotto quattro diversi aspetti:

1) il sorgere del privilegio, in quanto condizionato dalla concessione del sequestro conservativo penale, é rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, su domanda del p.m. (art. 617 codice di procedura penale per cui "appare difficilmente compatibile" con l'art. 3 della Costituzione la subordinazione del sorgere di un diritto di preferenza, quale é una causa di prelazione, ad un provvedimento meramente discrezionale;

2) essere pacifico in dottrina e in giurisprudenza che il sequestro conservativo penale svolge funzioni analoghe al sequestro conservativo civile, essendo i due istituti sostanzialmente identici, per avere in comune lo scopo, l'oggetto e la procedura di esecuzione e nel poggiare su identici presupposti, il fumus boni iuris - riassunto, nel sequestro conservativo penale, nell'accertamento dell'esistenza del procedimento penale - e il periculum in mora;

3) il danneggiato da reato che si avvalga della facoltà di procedere in sede civile, richiedendo ed ottenendo il sequestro conservativo civile, non acquista nessun diritto preferenziale;

4) a parità di danno derivato da reato, il creditore, cui non sia stato concesso il sequestro conservativo penale, per non averne presa il p.m. l'iniziativa o per non aver accolta la sua sollecitazione, si vede escluso dall'ordine dei privilegi stabilito dall'art. 2778 del codice civile, così come si vede escluso il creditore per il sopravvenuto fallimento dell'imputato prima della concessione del sequestro conservativo penale, anche se il fatto - reato é anteriore alla dichiarazione di fallimento.

La questione non é fondata.

2. - Come emerge dall'esposizione in fatto, essa non investe la legittimità costituzionale del permanere del privilegio sancito dall'ultimo comma dell'art. 189 del codice penale, anche dopo la sentenza dichiarativa di fallimento dell'imputato, ma l'aspetto generale del privilegio che accompagna, ad ogni effetto, i crediti dipendenti da reato sottoposti a sequestro conservativo penale.

In ordine al caso di specie, vale rilevare che la dottrina e la giurisprudenza sono orientate nel senso di riconoscere che il privilegio che assiste il credito garantito dal sequestro conservativo penale non viene meno per effetto della dichiarazione di fallimento dell'imputato, semprechè il sequestro sia stato disposto ed eseguito, nei modi e nelle forme stabiliti dalla legge, prima della sentenza di apertura del fallimento e sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna.

La estensibilità del privilegio conseguente al sequestro conservativo penale a questa o quella situazione giuridica del debitore, é questione che esula dalla competenza di questa Corte, in quanto l'interpretazione e i limiti di applicazione delle norme che lo contemplano, rientrano nella funzione istituzionale del giudice ordinario.

3. - Nessuna rilevanza assume, sul piano costituzionale, la circostanza che il sequestro conservativo penale, per la scelta operata dal legislatore, trovi nel p.m. il suo organo di propulsione nei giudizi collegiali e nel giudice penale il suo organo decisionale.

Il sequestro conservativo civile e il sequestro conservativo penale, pur presentando elementi comuni, differiscono tra loro per aspetti distintivi particolari, tali da rendere giustificabile una disciplina giuridica differenziata negli effetti.

Un aspetto distintivo particolare é rappresentato dalla circostanza che il credito discende dal fatto- reato e che la presa di cognizione della sussistenza di tale credito trova la sua consacrazione in un rapporto processuale di natura pubblicistica che s'impernia nell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. In considerazione di tali aspetti particolari, il legislatore ha ritenuto di riconoscere ai crediti derivanti da reato garanzie speciali rimettendo all'insindacabile giudizio di opportunità del p.m. il domandare al giudice il sequestro conservativo penale sui beni mobili dell'imputato, determinando, nel contempo, quali crediti trovino in essi garanzia (art. 191 del codice penale).

Con il sequestro conservativo penale, così come, del resto, con l'ipoteca legale, prevista dal primo comma dell'art. 189 del codice penale, il legislatore ha voluto garantire, in modo speciale e autonomo, il pagamento delle obbligazioni civili contratte dall'imputato, per effetto del procedimento penale e della condanna, sia verso lo Stato, sia, per un principio equitativo e in via derivata, verso il danneggiato dal reato (n. 5) e altri soggetti (nn. 4 e 6.

Anche se la soluzione adottata non é esente da critiche, rientra comunque nell'ambito della discrezionalità del legislatore e le finalità perseguite non appaiono in contrasto con il principio di eguaglianza statuito dall'art. 3 della Costituzione trattandosi di finalità apprezzabili che rendono ragionevole la disciplina adottata, per i differenti aspetti della situazione giuridica regolata.

4. - Si osserva, nell'ordinanza, e sul concetto si insiste in modo particolare, che il provvedimento del giudice, al quale si ricollegano speciali effetti giuridici, é il risultato di una valutazione meramente discrezionale, non compatibile, anche questa, con l'art. 3 della Costituzione, in quanto dà vita ad una disciplina differenziata nei riguardi di coloro i quali, pur essendo stati danneggiati da un reato, e quindi in situazione iniziale uguale ad altri, non godono del diritto di preferenza per la mancata precostituzione del titolo.

Giova osservare, però, che tale discrezionalità attiene unicamente alla libera valutazione di elementi acquisiti e, pertanto, pur sempre determinata da una norma e condizionata dalla individuazione dei presupposti che ne stanno a base. Nel caso, la discrezionalità del giudice opera nel quadro della valutazione degli elementi che legittimano la concessione del sequestro conservativo penale, ossia la sussistenza di una fondata ragione di temere che manchino e si disperdano le garanzie del credito (art. 189 codice penale, terzo comma).

L'erroneo esercizio della discrezionalità rappresenta, come é stato rilevato dall'Avvocatura dello Stato, una eventualità del momento applicativo della norma e non un motivo di illegittimità di questa.

5. - Non ha altresì rilevanza il fatto che il legislatore abbia disciplinato, in relazione agli effetti, in modo difforme dal sequestro conservativo civile, il sequestro conservativo penale nonostante gli elementi in comune presenti nei due istituti e posti in risalto nell'ordinanza del tribunale: a riguardo valgono le osservazioni svolte sub 4.

Il privilegio del credito sorge, per il danneggiato, in via derivata e in conseguenza della facoltà autonoma riconosciuta al p.m. di domandare al giudice il sequestro conservativo o al pretore di direttamente provvedervi; facoltà che trova la sua ragione di essere, in base alla scelta fatta dal legislatore, per i fini caratteristici del processo penale. Solo una volta concesso, il sequestro conservativo penale giova anche agli interessi della persona danneggiata. Comunque alla parte danneggiata dal reato non é riconosciuto il diritto di richiederlo: essa potrà, a garanzia diretta dei propri crediti, avvalersi solo del sequestro in via civile.

Il limite del privilegio, in riferimento alle altre situazioni creditorie, é fissato in modo tassativo dallo stesso art. 189 del codice penale, quinto comma, nel senso che i crediti in esso contemplati si "considerano privilegiati solo rispetto ad ogni altro credito non privilegiato di data anteriore e ai crediti sorti posteriormente".

La norma impugnata deve essere valutata nel suo complesso, al fine di stabilire se sia fondata sui presupposti logici che ne giustifichino l'adozione.

Il presupposto logico é quello di prendere in considerazione la particolare posizione processuale nella quale vengono a trovarsi le obbligazioni discendenti dal reato; in conseguenza di ciò il legislatore ha dato vita ad uno speciale sequestro conservativo, quello penale, che trova la sua applicazione quando sussistano fondate ragioni di temere che manchino e si disperdano le garanzie. L'individuazione dell'aspetto a se stante del credito discendente da reato e la configurazione di una diversa disciplina processuale penale dell'istituto del sequestro conservativo non pone in evidenza alcuna lesione del principio di eguaglianza sulla base della valutazione che ripetutamente ha dato di esso questa Corte.

D'altra parte, non hanno rilevanza, ai fini del giudizio di legittimità, le divergenze e le difficoltà pratiche riscontrabili nella norma in sede applicativa a meno che tali divergenze non siano riferibili ad aspetti di essa incompatibili con l'ordinamento costituzionale.

Non é infine fondato il dedotto contrasto con il principio di eguaglianza, che si determinerebbe, per la diversità di trattamento, tra il creditore danneggiato da reato per il quale, a seguito del sopravvenuto fallimento dell'imputato, non può essere riconosciuto il privilegio del credito nascente da reato, ancorché il credito stesso sia anteriore alla dichiarazione di fallimento essendo preclusa la possibilità in base all'orientamento giurisprudenziale di richiedere, nelle more fallimentari, il sequestro conservativo penale. Questo orientamento giurisprudenziale ha una sua impostazione logico - giuridica. In effetti, la dichiarazione di fallimento coglie e fissa le legittime ragioni creditorie nello stato in cui si trovano al momento della sentenza dichiarativa. Da questo momento tutte le attività del fallito, fin che dura lo stato di fallimento, costituiscono garanzia comune per tutti i creditori; ciò comporta, proprio per il principio di eguaglianza, che nessuno possa acquisire sugli altri creditori diritti diversi da quelli che derivano loro dalla natura o aspetto giuridico del credito. La legge non considera il credito derivante da reato in se e per se privilegiato, ma lo rende tale solo a seguito della esecuzione del sequestro conservativo penale ed ha, pertanto, in tale sequestro la sua causa esclusiva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dall'ordinanza in epigrafe, dell'art. 189, primo comma, n. 5, e ultimo comma, del codice penale, in quanto richiamato dagli artt. 2768 e 2778, n. 7 (n. 8, per art. 66 legge 30 aprile 1969, n. 153), del codice civile, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 febbraio 1973.

Giuseppe  CHIARELLI – Giuseppe  VERZÌ – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA –Edoardo VOLTERRA.

Arduino  Salustri – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'1 marzo 1973.