Sentenza n.9 del 1973
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SENTENZA N. 9

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Giuseppe  CHIARELLI, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco  PAOLO BONIFAZIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Prof. Palo  ROSSI

Prof. Giulio GIONFRIDA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 29 novembre 1971, n. 1097 (norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 aprile 1972 dal pretore di Este nel procedimento penale a carico di Lorenzin Mario, iscritta al n. 194 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972;

2) ordinanza emessa il 15 maggio 1972 dal pretore di Monselice nel procedimento penale a carico di Fiocco Leonzio, iscritta al n. 218 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 12 luglio 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Lorenzin Mario e di Fiocco Leonzio, nonché del Ministero della pubblica istruzione e del Consorzio per la valorizzazione dei Colli Euganei, parti civili nel procedimento penale a carico di Fiocco Leonzio;

udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1973 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

uditi gli Avvocati Antonio Scieri, Girolamo Bellavista e Aldo Sandulli, per Lorenzin e Fiocco, gli avvocati Giorgio Berti, Leopoldo Mazzarolli e Guido Viola, per il Consorzio per la valorizzazione dei Colli Euganei, ed il vice avvocato generale dello Stato Raffaello Bronzini, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministero della pubblica istruzione.

Ritenuto in fatto

Il pretore di Este, con ordinanza del 26 aprile 1972 emessa nel procedimento penale a carico di Lorenzin Mario, imputato di contravvenzione agli artt. 2 e 4 della legge 29 novembre 1971, n. 1097 (concernente la tutela delle bellezze naturali ed ambientali dei Colli Euganei), per avere continuato la propria attività estrattiva nella Cava di Baone, nonostante il divieto disposto dal citato art. 2 della legge n. 1097, ha sollevato, sotto vari profili, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e del complesso di tutta la legge predetta.

Nell'ordinanza il pretore rileva anzitutto che, avendo l'articolo 2 della legge in esame vietato, a decorrere dal 31 marzo 1972, la continuazione di ogni attività delle cave di materiale di riporto e di materiale trachitico, liparitico e calcareo e pietrisco basaltico trachitico, lifacitico e calcareo, avrebbe violato l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, perché avrebbe privato i proprietari del loro diritto sulle cave, dando luogo ad una vera e propria espropriazione senza prevedere alcun indennizzo.

Risulterebbero anche violati gli artt. 3 e 41 della Costituzione, poiché l'imprenditore, a suo tempo autorizzato a coltivare la cava, si vedrebbe colpito da una legge particolare nel legittimo affidamento sulla continuazione ditale attività economica.

Altra violazione dell'art. 3 dovrebbe rilevarsi nel divieto imposto nell'ambito dei soli Colli Euganei, che sarebbe discriminatorio sia nei confronti di altre località dove l'esercizio delle cave produrrebbe eguali effetti negativi sul paesaggio sia nell'ambito dei Colli stessi, a danno dei proprietari delle cave vietate, rispetto a quelli delle cave per cui é invece autorizzata la coltivazione dell'attività estrattiva.

Inoltre, pur dovendosi ammettere che nelle Regioni a Statuto ordinario, come é appunto il Veneto, la tutela del paesaggio appartiene allo Stato, e, pur dando atto che la ragione ispiratrice della legge in esame é appunto la tutela delle bellezze naturali minacciate dalla prosecuzione indiscriminata dello sfruttamento delle cave esistenti nella zona, resterebbe pur sempre il fatto che la legge avrebbe disposto in materia di "cave e torbiere" che, a norma dell'art. 117 della Costituzione, sarebbe viceversa di competenza esclusiva della Regione.

Ed anche se volesse osservarsi che, al momento dell'entrata in vigore della legge, i poteri legislativi in materia non erano stati ancora trasferiti alla Regione, ciò avrebbe, se mai, autorizzato l'emanazione da parte dello Stato di norme aventi efficacia solo transitoria, e non già definitiva, come quelle in esame, la quale natura non sarebbe certo smentita dal terzo comma dell'art. 3, che fa salva "per tutta la materia afferente alle cave, la competenza della Regione ad emanare norme legislative" e, così disponendo, si porrebbe, oltre tutto, in contrasto con il restante contenuto normativo della legge medesima.

Infine, la legge nel suo complesso sarebbe in contrasto con gli artt. 1, 4 e 35 Cost. perché, omettendo di provvedere alla creazione di nuovi posti di lavoro per i lavoratori privati della loro occupazione per effetto della entrata in vigore delle disposizioni restrittive in esame, avrebbe violato i principi fondamentali di tutela del lavoro, nonché il diritto al lavoro riconosciuto a tutti i cittadini espressamente dall'art. 4 della Costituzione.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 165 del 28 giugno 1972.

Davanti alla Corte si é costituito il Lorenzin, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Girolamo Bellavista, prof. Aldo Sandulli e Antonio Scieri che, con deduzioni tempestivamente depositate, hanno fatto proprie le censure di illegittimità formulate nell'ordinanza di rinvio.

Si é inoltre costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni difensive.

L'Avvocatura osserva preliminarmente che la questione concernente la pretesa violazione dell'art. 117 Cost. sarebbe improponibile perché si risolverebbe in un conflitto di attribuzioni che, come tale, avrebbe potuto essere sollevato nella specie soltanto dalla Regione. L'art. 117 e l'art. 133 Cost. porrebbero, comunque, una riserva di legge regionale destinata a divenire operante solo previo trasferimento alla Regione di poteri legislativi in discorso, ciò che nella specie non sarebbe ancora avvenuto al momento della emanazione della legge impugnata.

In ogni caso, secondo l'Avvocatura, la competenza legislativa della Regione troverebbe un limite negli interessi nazionali, la cui tutela spetterebbe allo Stato, che avrebbe anche il compito di provvedere al coordinamento con essi di quelli particolari.

Secondo l'Avvocatura, poi, la questione sollevata in relazione all'art. 42, terzo comma, Cost. sarebbe irrilevante giacché dall'eventuale accoglimento della censura potrebbe derivare soltanto l'illegittimità della mancata previsione di un indennizzo a favore dei proprietari delle cave, ma non già l'illegittimità del divieto di prosecuzione dell'attività estrattiva, fondato su un potere di espropriazione che non potrebbe venire in discussione nella specie, mentre il reato ascritto all'imputato consisterebbe appunto nella violazione del detto divieto.

La questione sarebbe d'altra parte infondata nel merito, poiché la limitazione imposta sarebbe espressione di una disciplina concernente una categoria generale di beni il cui godimento verrebbe assoggettato ad un determinato regime in relazione alla tutela di un interesse pubblico come quello della conservazione delle bellezze naturali, ed in casi del genere la giurisprudenza della Corte avrebbe escluso l'illegittimità della mancata previsione dell'indennizzo. Né la limitazione territoriale dell'oggetto della legge impugnata potrebbe condurre a diverse conclusioni, nulla togliendo tale circostanza alla generalità della previsione legislativa, che si concreta nella sua applicazione a tutte le situazioni del genere considerato. E ciò senza dire che, trattandosi, nella specie, di beni da qualificarsi come bellezze naturali, essi avrebbero in sé una intrinseca rilevanza pubblica cui sarebbe coessenziale una originaria limitazione della facoltà di godimento, soltanto evidenziata dalla legge impugnata, la quale pertanto non integrerebbe la compressione di un precedente diritto soggettivo pieno. Onde, nella specie, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, si verserebbe in materia del tutto estranea alla espropriazione per pubblico interesse.

Il richiamo all'art. 41 Cost. sarebbe poi manifestamente erroneo, non tenendo conto che la garanzia della iniziativa economica privata é apprestata da tale norma indipendentemente dall'eventuale affidamento del privato e solo contro quelle limitazioni che non siano giustificate da considerazioni di tutela della utilità sociale. In quest'ultima nozione non potrebbe non rientrare la tutela delle bellezze naturali, cui, come é pacifico, é informata l'impugnata disciplina, la quale, d'altra parte, avrebbe predisposto mezzi logicamente idonei allo scopo, e sfuggirebbe pertanto a censure anche sotto questo profilo.

Egualmente infondata sarebbe la doglianza mossa in relazione all'art. 3 Cost. poiché la diversità delle situazioni ambientali giustificherebbe razionalmente l'adozione della normativa in relazione alla zona dei Colli Euganei, anche in vista della urgenza ed indifferibilità dell'intervento, mentre anche razionale apparirebbe la differenziazione di disciplina a seconda dei tipi di cava, in relazione alla diversa incidenza delle une e delle altre sulla conservazione del bene tutelato.

Infine neppure meriterebbe ingresso la censura formulata in relazione agli artt. 1, 4, 35 Cost. poiché, mentre l'obbligo di tutela del paesaggio non sarebbe condizionato dalla creazione di posti di lavoro a coloro che dall'esercizio di questa tutela vengano danneggiati in via di fatto, la tutela del lavoro apprestata dalla Costituzione non potrebbe intendersi come garanzia del lavoratore a mantenere un determinato posto o ad ottenerne un altro in via sostitutiva.

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi improponibili o comunque manifestamente infondate le sollevate questioni.

Con ordinanza emessa in data 15 maggio 1972 in analogo procedimento penale a carico di Fiocco Leonzio, il pretore di Monselice ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della detta legge n. 1097 del 1971 in relazione all'art. 42, terzo comma, Cost. per motivi sostanzialmente corrispondenti a quelli contenuti nell'ordinanza sopra menzionata del pretore di Este. Il pretore di Monselice svolge anche argomenti analoghi a quelli esposti nell'ordinanza del pretore di Este a sostegno della pretesa violazione dell'art. 41 Cost., correlandoli peraltro con la questione sollevata espressamente in relazione alla mancata previsione dell'indennizzo, e specificamente puntualizzata e limitata nel dispositivo all'assunta violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Il pretore aggiunge altresì che, se é vero che la giurisprudenza della Corte, ha negato la obbligatorietà dell'indennizzo nel caso in cui la limitazione della proprietà privata abbia carattere generale, nella specie tali concetti non sarebbero applicabili perché la legge impugnata avrebbe carattere singolare, riflettendo soltanto il territorio dei Colli Euganei.

Infine il giudice a quo, motivando sulla rilevanza della questione, afferma che "la mancata previsione dell'indennizzo potrebbe far venir meno l'obbligo della cessazione dell'attività estrattiva di cui all'art. 2 della legge impugnata e la conseguente sanzione penale prevista dal successivo art. 4".

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 180 del 12 luglio 1972.

Il Fiocco Leonzio si é costituito avanti alla Corte costituzionale, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Girolamo Bellavista, prof. Aldo Sandulli ed Antonio Scieri, che, con le loro deduzioni tempestivamente depositate, insistono nel lamentare il contrasto delle norme impugnate con gli artt. 41 e 42, terzo comma, della Costituzione.

Si é anche costituito il Presidente del Consorzio per la valorizzazione dei Colli Euganei, prof. Candido Tecchio, già costituito parte civile nel giudizio principale, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Berti, Leopoldo Mazzarolli e Guido Viola, i quali hanno depositato nei termini deduzioni difensive con cui, preliminarmente, eccepiscono l'irrilevanza della questione, per ragioni analoghe a quelle già svolte al riguardo dall'Avvocatura dello Stato nelle difese concernenti il giudizio proveniente dal pretore di Este.

Quanto al merito, la difesa osserva, con argomenti in parte analoghi a quelli già svolti dall'Avvocatura, che le cave sarebbero "beni privati di interesse pubblico", come tali destinati ad essere strumento di realizzazione di un interesse pubblico, onde il diritto del proprietario sarebbe sottoposto originariamente alle limitazioni previste dalla legge mineraria, cui, per scopi di tutela paesaggistica e quindi sempre di portata generale, si aggiungerebbero le limitazioni ora previste dalla legge impugnata. Le quali d'altra parte apparirebbero non come una disciplina singolare, ma come una specificazione della disciplina delle bellezze naturali contenute nella legge 29 giugno 1939, n. 1497, che prevede vincoli la cui concreta applicazione presuppone necessariamente singoli provvedimenti applicativi di natura amministrativa relativi a zone ben determinate, dai quali la legge impugnata si differenzierebbe solo per la sua veste formale di atto legislativo.

Tutto ciò troverebbe conferma in particolare nell'art 11 della detta legge n. 1497, che consente interventi limitativi del Sopraintendente nei confronti di attività estrattive in vista della tutela delle bellezze paesistiche.

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi l'irrilevanza o comunque l'infondatezza delle questioni sollevate.

Si sono infine costituiti anche il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministero della pubblica istruzione in persona dei titolari pro tempore, rappresentati e difesi come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura insiste nell'eccepire la irrilevanza della questione, ribadendo l'affermazione secondo cui la decisione potrebbe, se mai, influire soltanto sulla eventuale pretesa risarcitoria del Fiocco ma non sull'obbligo della cessazione dell'attività estrattiva, e nel merito ripropone le ragioni già svolte nel giudizio proveniente dal pretore di Este per sostenere l'infondatezza della questione sollevata in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Sono state presentate memorie difensive per le parti Lorenzin e Fiocco e per il Consorzio per la valorizzazione dei Colli Euganei. 

Considerato in diritto

1. - Le due cause, provenienti, rispettivamente, dalle ordinanze dei pretori di Este e di Monselice e discusse congiuntamente all'udienza, hanno lo stesso oggetto e presentano identità di questioni: per cui vanno riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - Con l'ordinanza del pretore di Este viene sollevata questione di costituzionalità della legge n. 1097 del 1971 sulla tutela di bellezze naturali ed ambientali nel territorio dei Colli Euganei, legge che, nel suo complesso e nella sua specifica articolazione, vietando ivi dall'aprile 1972 l'attività estrattiva del minerale di cave di determinata natura e comminando per di più sanzioni penali contro i trasgressori, avrebbe violato le seguenti norme della Costituzione: a) l'art. 117 perché in materia di "cave" spetta alla Regione emanare norme legislative; b) gli artt. 41 e 42, terzo comma, perché il divieto, in contrasto con la libertà dell'iniziativa economica privata e col diritto di affidamento nella continuità del suo esercizio, si risolverebbe in una espropriazione del bene, non congiunta ad alcun indennizzo; c) gli artt. 1, 4, 35 perché, dando luogo a licenziamenti delle maestranze e, quindi, a disoccupazione senza provvidenze sostitutive, violerebbe il diritto al lavoro; d) l'art. 3, perché tratterebbesi di norma ristretta ad una parte sola del territorio della Repubblica e perché, senza una razionale differenziazione, la stessa legge, agli artt. 2 e 3 consente per altre determinate cave della stessa zona, la continuazione delle attività estrattive.

Con l'ordinanza del pretore di Monselice viene sollevata, in riferimento all'art. 42, comma terzo, della Costituzione e con particolare riguardo agli artt. 2 e 4 della legge in esame, la stessa questione di costituzionalità sollevata dal pretore di Este.

3. - L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'improponibilità della questione nella parte in cui, secondo l'ordinanza del pretore di Este, viene prospettata la violazione dell'art. 117 Cost. che conferisce alla Regione il potere di emanare norme legislative in materia di cave. Ciò in quanto tale questione si risolverebbe qui sostanzialmente in un conflitto di attribuzioni che avrebbe potuto essere sollevato (e non lo é stato) soltanto dalla Regione, unica legittimata a far valere la propria sfera di competenza.

L'eccezione non é fondata.

Va tenuta distinta l'ipotesi del conflitto di attribuzioni che solo alla Regione spetta sollevare, a tutela della propria sfera di competenza che si pretenda sia stata invasa da un "atto dello Stato" (art. 39 della legge n. 87 del 1953), dalla ben diversa ipotesi in cui venga sollevata, in giudizio ed in via incidentale, questione di costituzionalità di una legge statale che si assuma violi una competenza legislativa regionale.

Questa seconda e diversa ipotesi, coincidente con la situazione in esame, é stata più volte considerata dalla giurisprudenza della Corte (sentenze nn. 105 del 1957; 44 del 1959; 22 del 1960; 67 del 1962; 94 del 1971) e decisa nel senso della sua piena autonomia e proponibilità.

4. - L'Avvocatura dello Stato eccepisce che la questione di legittimità sollevata sul punto avente particolare riferimento all'art. 42, comma terzo, Cost. non sarebbe rilevante nel giudizio penale a quo per asserita indipendenza dell'accertamento del reato dall'indennizzabilità del vincolo.

La Corte osserva che detta questione risulta presentata dalla prima ordinanza come uno dei vari profili convergenti a far ritenere l'incostituzionalità del contestato sistema generale della legge, la quale, se riconosciuta fondata detta questione, verrebbe ad essere travolta in toto nelle premesse e nelle conseguenze, tra cui quella della sanzione penale.

L'eccezione di non rilevanza viene, quindi, a mancare di base.

Lo stesso dicasi per quanto riguarda l'ordinanza del pretore di Monselice, con la quale, pur se formalmente é richiamata la violazione del solo art. 42, comma terzo, Cost., tuttavia il problema, anche agli effetti della rilevanza, é in motivazione ricondotto ed esteso, a tutti gli effetti, alla caducazione dell'intera legge.

5. - Superate queste eccezioni e passando all'esame delle singole impugnative, la Corte considera per prima quella sollevata in relazione all'art. 117 Cost. che elenca la materia delle cave tra le materie riservate alla competenza normativa regionale.

Al riguardo va posto, anzitutto, in rilievo che, al momento dell'emanazione della legge impugnata, il passaggio delle funzioni statali alle Regioni a statuto ordinario in relazione alle cave non era ancora intervenuto, essendosi ciò verificato solo per effetto del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 2.

In secondo luogo, va considerato, anche in funzione dell'esame che sarà svolto sulle ulteriori censure, che la legge del 1971 ha per oggetto materia che trascende quella propriamente attinente alle cave e cioè ha per oggetto la tutela delle bellezze naturali ed ambientali dei Colli Euganei. Ciò é significato in epigrafe e nell'art. 1, mentre nell'art. 5 si fa riferimento, per tutto quanto ivi non previsto, alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali ed al relativo Regolamento. É soltanto contenuto nell'art. 3 della legge impugnata un richiamo alla materia riguardante le cave, ma ciò con esclusivo "riguardo" a quelle, tra di esse, di cui sia eccezionalmente consentito, nei limiti di un quinquennio e previa autorizzazione del Soprintendente ai monumenti, il proseguimento provvisorio dell'attività estrattiva di un particolare tipo di materiale.

La dichiarata tutela di bellezze naturali formanti paesaggio é dall'art. 9 inclusa tra i "principi fondamentali" della Costituzione, unitamente alla tutela del patrimonio storico ed artistico, quale appartenente all'intera comunità nazionale.

Pertanto, né nell'elenco dell'art. 117 Cost. né nella legge delega 16 maggio 1970, n. 281, sul trasferimento delle funzioni statali alle Regioni a statuto ordinario, la materia in esame risulta compresa. Ed é anche da rilevare che l'art. 7 del accennato d.P.R. del 1972 sul trasferimento delle funzioni in materia di cave ha espressamente fatto salve le attribuzioni degli organi statali in relazione ad attività che, pur collegate con quelle trasferite, riguardano materie non comprese nell'art. 117 della Costituzione.

Può, infine, essere ricordato che la Corte, con sentenza n. 141 del 1972 ha ciò ribadito ritenendo che "la tutela delle bellezze naturali d'insieme" non rientri nella materia urbanistica e nel suo trasferimento di cui al d.P.R. n. 8 del 1972.

Il dedotto contrasto con l'art. 117 Cost. va, di conseguenza, escluso.

6. - Si prospetta la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., sia per effetto di compressione dell'iniziativa economica privata, sia per effetto di atti espropriativi, di cui non é previsto il relativo indennizzo.

Le questioni non sono fondate.

Per quanto concerne l'art. 41, va considerato che esso prevede (secondo comma) che l'iniziativa economica privata trovi un suo limite nell'utilità sociale. E con la sentenza n. 55 del 1968 questa Corte ha posto in rilievo la identità dei fini che, negli artt. dal 41 al 44, la Costituzione ha indicato, ora come fini sociali, ora di utilità sociale, ovvero di interesse generale.

Tale indubbiamente, per le suaccennate preminenti ragioni, il fine di tutela delle bellezze naturali.

La dedotta violazione dell'art. 41 Cost. non é, quindi, fondatamente prospettata.

Per quanto concerne l'art. 42 Cost., va ricordato che questa Corte ha già esaminato, con la sentenza n. 56 del 1968, la questione della indennizzabilità del valore dei beni immobili sottratti alla disponibilità dei privati, perché facenti parte di un complesso a dimensione territoriale, unitariamente considerato e sottoposto a vincolo paesistico.

L'esclusione dell'indennità é stata giustificata per la considerazione che trattasi di una categoria di beni "originariamente di interesse pubblico perché naturalmente paesistici" e condizionati a limitazioni di godimento secondo particolare regime "al quale rimane del tutto estranea la materia dell'espropriazione".

Agli stessi principi si é uniformata la successiva sentenza n. 79 del 1971, dai quali la Corte non intende discostarsi nel caso in esame, per identità di motivi.

Va altresì ricordato che trattasi di principi già insiti nella citata legge n. 1497 del 1939 (che, tra l'altro, nell'art. 11 contiene anche la previsione dei riflessi dell'apertura di cave sul paesaggio) la quale legge dispone che "non é dovuto alcun indennizzo per i vincoli imposti alla proprietà per la tutela delle bellezze panoramiche, considerate come quadri naturali"(art. 16 in relazione all'art. 1, n. 4) ciò "a causa del loro notevole interesse pubblico".

Non occorre aggiungere altro sul punto, poiché la questione sollevata con le ordinanze concerne esclusivamente la mancata previsione di un indennizzo secondo l'art. 42 ultimo comma: é tuttavia chiaro che l'inesistenza a questo proposito di un obbligo dello Stato non é incompatibile con misure legislative intese al ristoro della inutilizzabilità di impianti estrattivi, predisposti in previsione di attività continuativa, o per la perdita di materiale disponibile "in loco".

7. - Altra questione di generale incostituzionalità della legge impugnata viene basata sul rilievo che il licenziamento degli addetti alle opere di escavazione, in conseguenza del divieto d'esercizio per lo innanzi praticato, contrasterebbe, anche perché non accompagnata da provvidenze sostitutive, con la tutela dell'attività lavorativa e dei relativi diritti, garantiti dagli artt. 1, 4 e 35 della Costituzione.

La questione non é fondata.

Secondo la giurisprudenza della Corte (sentenze nn. 45 del 1965; 194 del 1970; 174 del 1971), il diritto al lavoro costituzionalmente riconosciuto come fondamentale diritto dei cittadini non comprende un interesse, pure costituzionalmente protetto, alla intangibilità di ogni situazione che sia presupposto di conservazione del posto di lavoro.

8. - Infine, in relazione all'art. 3 Cost., viene posta questione di disparità di trattamento, considerata. comparativamente tanto con riguardo a tutto il restante territorio nazionale, quanto con riguardo all'interno della stessa zona di territorio dei Colli Euganei.

La Corte osserva che i limiti di localizzazione della legge in esame non costituiscono trattamento singolare e differenziato da quello di situazioni che, altrove, siano ritenute, di volta in volta, sottoponibili ad eguale tutela. Trattasi, anche qui, di attuazione collegata, in concreto, ai principi informatori contenuti nella legge del 1939 che ha carattere di generalità e, come si é detto al n. 6, tutela espressamente tutte le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali.

Per quanto concerne le pretese disparità che sarebbero contenute entro il sistema stesso della legge impugnata, la Corte osserva che la discriminazione operata dal legislatore tra cave sottoposte ad immediata cessazione di esercizio e cave di tipo diverso per le quali l'esercizio é consentito nei limiti di un quinquennio, non risulta irrazionale. Ciò per la cautela data dall'intervento autorizzativo, e motivato, caso per caso, dal Sovrintendente in relazione alla seconda categoria di beni e tenuto in proposito anche conto che dagli Atti parlamentari risulta essersi considerata la loro ubicazione più appartata e meno incidente sull'armonia del paesaggio. Il che basta per escludere il sindacato di questa Corte circa la valutazione tecnico-discrezionale operata dal legislatore. 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 29 novembre 1971, n. 1097, contenente norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei: questione sollevata nei confronti dell'intera legge nel suo complesso ed in particolare degli artt. 1, 2 e 3, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 35, 41 e 42, terzo comma, della Costituzione, con le ordinanze di cui in epigrafe. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1973.

Giuseppe  CHIARELLI – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Paolo  ROSSI – Giulio  GIONFRIDA.

        Arduino Salustri – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1973.