Sentenza n.5 del 1973
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SENTENZA N. 5

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA,

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 243, secondo comma, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 gennaio 1970 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Di Biagio Fausto, iscritta al n. 295 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267 del 21 ottobre 1970;

2) ordinanza emessa il 19 febbraio 1971 dal tribunale di Parma nel procedimento penale a carico di Soncini Ines ed altri, iscritta al n. 230 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21luglio 1971.

Visti gli atti di costituzione di Soncini Ines ed altri e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1972 il giudice relatore Nicola Reale;

uditi l'avv. Giovanni Gaeta, per Soncini ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri. 

Ritenuto in fatto

Con ordinanza pronunziata il 26 gennaio 1970, nel corso del procedimento penale a carico di Di Biagio Fausto, imputato del reato di omessa denunzia annuale dei redditi ai fini dell'applicazione dell'imposta complementare, la Corte d'appello di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 243, secondo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, che ha approvato il testo unico delle imposte dirette.

La stessa Corte, premesso che nell'art. 63 della legge di delegazione 5 gennaio 1956, n. 1, non é previsto alcun criterio che, oltre al semplice coordinamento normativo, autorizzi anche modificazioni circa le sanzioni previste nelle precedenti disposizioni, ha osservato che l'art. 243 del vigente testo unico violerebbe i limiti della delegazione predetta nella parte in cui, per il caso che il tributo evaso risulti superiore alle lire seicentomila, stabilisce che l'ammenda non può essere inferiore all'ammontare del tributo stesso. Si sarebbe introdotta cioè una ipotesi di aggravamento della pena non risultante già dall'art. 34 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norma recepita nel testo unico in esame), il quale comminava l'ammenda soltanto da un minimo di lire 30.000 ad un massimo di lire 300.000.

Costituitasi in giudizio davanti a questa Corte, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto la non fondatezza della questione, deducendo che la Corte d'appello di Roma, nel giudicare sulla eccezione di incostituzionalità dell'art. 243 del testo unico sopracitatto, avrebbe tenuto conto del solo testo dell'art. 34 della legge n. 1 del 1956, ma non avrebbe considerato che il criterio di determinazione dell'ammenda in ragione del tributo evaso era, per talune ipotesi, già stabilito nel successivo art. 36, primo comma, della stessa legge.

Nella redazione del testo unico del 1958, quindi, non sarebbe stata apportata alcuna innovazione, né vi sarebbe perciò eccesso dai limiti della delega.

Identica questione é stata sollevata anche dal tribunale di Parma, con ordinanza del 19 febbraio 1971, nel corso del procedimento penale promosso per analoghi reati a carico di Soncini Ines, Venturelli Gisella e Pizzi Beatrice.

Costituitosi in giudizio con atto 9 luglio 1971, il difensore delle imputate ha dedotto che a dimostrare l'eccesso di delega sarebbe sufficiente il confrontare l'art. 243 impugnato con l'art. 34 della legge di delegazione e rilevare che i criteri per l'esercizio della delegazione legislativa non avrebbero consentito l'aggravamento delle sanzioni penali per il reato di omissione di denuncia dei redditi soggetti ad imposte dirette. 

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze della Corte d'appello di Roma e del tribunale di Parma hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 243, secondo comma, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, per eccesso di delega, in violazione dell'art. 76 della Costituzione e dei criteri direttivi stabiliti nel l'art. 63 della legge 5 gennaio 1956, n. 1.

Nella prima di dette ordinanze, cui la seconda aderisce esplicitamente nella succinta argomentazione e nelle conclusioni, si é ritenuto che la censura avrebbe base nel confronto testuale della norma impugnata con l'art. 34 della legge del 1956. E si é asserito che, per il reato di omessa dichiarazione dei redditi ai fini della applicazione delle imposte dirette, l'art. 243 del testo unico (emanato dal Governo col citato decreto del 29 gennaio 1958, n. 645), che concerne le sanzioni per i casi di omessa o tardiva dichiarazione unica dei redditi, ai sensi del precedente art. 17, e prevede, nel comma secondo, un inasprimento della pena dell'ammenda nell'ipotesi che l'ammontare complessivo dell'imposta dovuta risulti superiore a lire seicentomila, non avrebbe rispondenza nella preesistente normativa né base nei poteri di coordinamento conferiti con la legge di delegazione.

Quest'ultima legge, si osserva nelle ordinanze, per la predetta violazione dell'obbligo di dichiarazione dei redditi, comminava, nell'art. 34, l'ammenda da lire trentamila a lire trecentomila, da raddoppiarsi in caso di recidiva e da triplicarsi in caso di recidiva reiterata, ma non l'aggravamento della sanzione pecuniaria in proporzione della misura del tributo.

2. - La questione non é fondata. Come esattamente osserva la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, essa é basata sull'erroneo presupposto che il secondo comma in questione contenga disposizione innovativa della preesistente disciplina penale delle violazioni in materia di imposte dirette.

Sennonché i giudici del merito non hanno considerato come la norma che essi denunziano per eccesso dalla delegazione legislativa, di cui all'art. 63 della legge del 5 gennaio 1956. n. 1, trovi rispondenza sostanziale nell'art. 36 di quest'ultima legge, riproducendo, con modificazioni formali irrilevanti sul piano esegetico, la configurazione della fattispecie di aggravamento della pena pecuniaria in riferimento all'ammontare del tributo evaso o di cui si é tentata l'evasione: e ciò in quanto prescrive, in conformità appunto del testo dell'art. 36, che, se l'ammontare delle imposte dovute supera le lire seicentomila, la pena pecuniaria non può essere applicata in misura inferiore al detto ammontare.

E come non può dubitarsi  che, nel rispetto dell'art. 76 Cost., in sede di redazione di un testo unico possa procedersi ad adattamenti formali necessari per la struttura unitaria del testo (sent. 54/1957) e, quindi, anche conglobando in unico articolo norme contenute in articoli diversi di preesistenti fonti legislative, così nella specie deve concludersi che costituisce esplicazione legittima della potestà di coordinamento, attribuita al Governo con la citata legge di delegazione 5 gennaio 1956, n. 1, la fusione di preesistenti norme nell'organico contesto dell'art. 243 del vigente testo unico. 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 243, secondo comma, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette (approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645), sollevata, con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 76 della Costituzione. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 1973.

Giuseppe  CHIARELLI – Giuseppe  VERZÌ – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI –  Nicola REALE - Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA.

           Arduino Salustri – Cancelliere

              

           Depositata in cancelleria l'1 febbraio 1973.