Sentenza n. 1 del 1973
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SENTENZA N. 1

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe CHIARELLI Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11. capoverso, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 27 novembre 1970 dalla Corte di assise di Palermo nel procedimento penale a carico di La Mattina Angelo, iscritta al n. 391 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42 del 17 febbraio 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1972 la relazione del Presidente Giuseppe Chiarelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

La Suprema Corte di Giustizia della Nuova Zelanda nel 1957 condannava il cittadino italiano Angelo La Mattina alla pena di morte, poi commutata nella reclusione a vita, per il reato di omicidio a scopo di rapina, commesso il 3 settembre di quell'anno nella Città di Wellington a danno di un connazionale. Nel marzo 1968 il La Mattina era dimesso dal carcere per buona condotta ed espulso dalla Nuova Zelanda. In seguito a segnalazione dell'Interpol, al suo arrivo in Italia veniva fermato dagli ufficiali di polizia giudiziaria, ai sensi dell'articolo 238 c.p.p., e quindi associato alle carceri di Palermo.

Il Ministro di grazia e giustizia, in data 26 maggio 1968, chiedeva il rinnovamento del giudizio, ai sensi dell'art. 11 cpv. del codice penale. Terminata l'istruttoria, il La Mattina era rinviato a giudizio innanzi alla Corte di assise di Palermo per rispondere dei reati di cui agli artt. 575, 576 n. 1, e 628 del codice penale.

La Corte di assise, con ordinanza 27 novembre 1970, rimetteva a questa Corte la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla difesa, del predetto art. 11 cpv. del codice penale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con atto 16 febbraio 1971, in cui si chiede che la questione sia dichiarata infondata.

In udienza l'Avvocato dello Stato ha insistito nella richiesta.

Considerato in diritto

- L'ordinanza della Corte di assise di Palermo afferma nelle sue premesse, in conformità a precedente pronuncia di questa Corte (sent. n. 48 del 1967), che la rinnovazione del giudizio nei confronti di un cittadino o straniero che abbia commesso un reato nel territorio dello Stato e sia stato precedentemente giudicato all'estero, non contrasta con alcun precetto costituzionale, sia per il principio della territorialità della legge penale, sia perché il principio ne bis in idem non impedisce l'esercizio del potere giurisdizionale per un fatto delittuoso commesso in Italia e già giudicato all'estero. Contrasterebbe invece con l'art. 3 della Costituzione il capoverso dell'art. 11 del codice penale, che prescrive la rinnovazione del giudizio per reati commessi all'estero, a richiesta discrezionale del Ministro di grazia e giustizia. Si chiede quindi la dichiarazione di illegittimità costituzionale di detto capoverso, da cui discenderebbe, conclude l'ordinanza, la rinnovazione obbligatoria del giudizio soltanto per chi abbia commesso un reato in Italia.

- Osserva la Corte che la proposta questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 cpv. del codice penale é inammissibile per difetto di rilevanza rispetto al giudizio a quo.

I reati che la Corte d'assise di Palermo é chiamata a giudicare (rapina e omicidio a scopo di rapina; artt. 575, 576 n. 1, e 628 c.p.) rientrano fra i delitti per i quali l'art. 9 c.p. stabilisce che il cittadino che li commette all'estero é punito secondo la legge italiana, sempre che si trovi nel territorio dello Stato. Tale norma si collega all'art. 3 cpv. dello stesso codice, il quale, com'é noto, dispone che la legge penale italiana obbliga tutti coloro che si trovano all'estero, limitatamente ai casi indicati dalla stessa legge.

I citati artt. 3 e 9 del codice penale non sono stati denunciati dall'ordinanza di rinvio, e non é messa in dubbio la legittimità della norma che, nel determinare la sfera di applicazione della legge penale, dispone l'applicabilità di questa anche a fatti commessi all'estero, nei casi stabiliti dalla legge medesima in base alla valutazione, compiuta dal legislatore, dell'interesse a tutelare penalmente determinati beni alla stregua dell'ordinamento italiano. Né il principio ne bis in idem preclude l'esercizio del potere giurisdizionale per fatti commessi all'estero, suscettibili, al pari dei fatti commessi dallo straniero nel territorio, di valutazioni diverse nei diversi ordinamenti (v. la citata sent. n. 48 del 1967).

Da ciò discende che l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 11 cpv. c.p. non produrrebbe, come afferma l'ordinanza, la non procedibilità per i reati commessi all'estero e dichiarati punibili secondo la legge italiana, ma, viceversa, determinerebbe per essi la piena e incondizionata procedibilità.

Nella specie, quella dichiarazione non farebbe venir meno la punibilità del reato, ai sensi dell'art. 9 c.p., e la necessità della celebrazione del nuovo giudizio secondo le norme sostanziali e procedurali dell'ordinamento italiano: di qui, la irrilevanza della questione rispetto al giudizio penale in corso.

- Ad analoga conclusione si perviene ove, prescindendo dalla impostazione data nell'ordinanza alla prospettata questione e dal dispositivo di essa, si voglia interpretare l'ordinanza stessa nel senso che abbia limitato l'impugnativa a quella parte dell'art. 11 cpv. c.p. che subordina la rinnovazione del giudizio alla richiesta del Ministro di grazia e giustizia.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale di questa parte della disposizione, col far venir meno la condizione di procedibilità costituita dalla detta richiesta, avrebbe per effetto la rinnovazione obbligatoria del giudizio; vale a dire, non produrrebbe un effetto diverso da quello che, nella specie, si é verificato per la intervenuta richiesta.

Né varrebbe osservare in contrario che quella parte dell'art. 11 cpv. c.p., in pratica, non sarebbe mai impugnabile per illegittimità costituzionale, in quanto, ove manchi la richiesta, verrebbe a mancare il processo in cui poter sollevare la questione. A parte la considerazione che, secondo il vigente ordinamento del giudizio costituzionale, la concreta impossibilità dell'impugnativa non legittima il giudice a quo a prescindere dal giudizio sulla rilevanza, rispetto alla norma di cui trattasi non manca la possibilità della sua impugnativa, che potrebbe, eventualmente, essere esercitata dal giudice istruttore a cui il pubblico ministero abbia chiesto, in seguito a rapporto dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria, la dichiarazione di non doversi procedere per mancanza della richiesta del ministro.

Per le esposte ragioni, la questione proposta con l'ordinanza della Corte d'assise di Palermo non può dar luogo ad una decisione avente influenza sul giudizio a quo, e ne va pertanto dichiarata la inammissibilità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 capoverso del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dall'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 1973.

Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZÌ – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO – Ercole ROCCHETTI – Enzo CAPALOZZA – Vincenzo Michele TRIMARCHI – Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA.         

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

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Depositata in cancelleria l'1 febbraio 1973.