Sentenza n.214 del 1972

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 SENTENZA N. 214

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Costantino MORTATI, Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122 (disposizioni varie per la previdenza e assistenza sociale attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola"), promosso con ordinanza emessa il 6 aprile 1970 dal pretore di Roma nel procedimento d’esecuzione mobiliare vertente tra l'Esattoria comunale di Roma e Giulia Mario Mariano, iscritta al n. 283 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267 del 21 ottobre 1970.

Visti gli atti di costituzione dell'Esattoria comunale di Roma e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1972 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Giuseppe Mesiano, per l'Esattoria, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento esecutivo proposto dall’Esattoria comunale di Roma nei confronti di Giulia Mario Mariano per il recupero di un credito tributario, il pretore di Roma ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122, che dichiara non sequestrabili né pignorabili le somme corrisposte agli aventi diritto dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti a titolo di pensioni, assegni ed altre indennità, e che perciò restano totalmente esenti da ogni procedura esecutiva, anche per pagamento di tributi.

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata, sottraendo le pensioni dei giornalisti al principio, che nel nostro ordinamento avrebbe carattere generale, della pignorabilità, benché limitata, per crediti d'imposta, degli stipendi, pensioni ed indennità, avrebbe introdotto una disparità di trattamento priva di fondamento razionale, "avuto riguardo ai criteri della logica e dell'equità e ai principi giuridici enunciati dagli articoli 2 e 53 della Costituzione". Ed invero, l'intangibilità delle pensioni dei giornalisti non solo sarebbe del tutto arbitraria, rispetto al diverso trattamento riservato alle pensioni d’altre categorie di professionisti e degli stessi pubblici dipendenti, ma costituirebbe altresì un ingiustificato privilegio, in quanto sottrae una categoria di cittadini ai doveri nascenti dal sistema tributario vigente.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata comunicata e pubblicata.

Dinanzi alla Corte si é costituito l'Esattore del Comune di Roma il quale, con deduzioni depositate il 5 novembre 1970, ribadisce sostanzialmente gli argomenti contenuti nell’ordinanza di rinvio, deducendo altresì l'illegittimità costituzionale della norma impugnata, in relazione all'art. 53 della Costituzione, sotto il profilo che l’intangibilità delle pensioni dei giornalisti sottrae tale categoria di contribuenti all'osservanza coattiva del precetto costituzionale.

Si é costituita altresì, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 9 novembre 1970, sostenendo l’infondatezza della questione.

L'Avvocatura contesta che nel nostro ordinamento esista un principio generale relativo alla parziale pignorabilità e sequestrabilità delle pensioni, perché, accanto alle disposizioni che prevedono la loro pignorabilità nella misura del quinto, esiste il principio generale, sancito nell'art. 128 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, che stabilisce l’incedibilità, insequestrabilità e impignorabilità delle pensioni di previdenza sociale, e al quale il legislatore si é ispirato nel disciplinare il trattamento previdenziale dei giornalisti. Il fatto poi che, per i pubblici dipendenti e per alcune categorie di liberi professionisti, sia prevista una diversa disciplina, può essere agevolmente spiegato, secondo la difesa dello Stato, con il particolare status di lavoratore dipendente da riconoscersi ai giornalisti, profondamente diverso sia da quello dei pubblici impiegati che dei liberi professionisti.

All'udienza le parti costituite hanno concluso in conformità delle loro precedenti deduzioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Roma, con l'ordinanza in epigrafe, denunzia alla Corte l'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122, che dichiara totalmente insequestrabili ed impignorabili le somme corrisposte agli iscritti per pensioni, assegni ed altre indennità, dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti. Secondo il giudice a quo, la norma in tale articolo contenuta sarebbe illegittima nella parte in cui esonera quelle somme anche da procedure coattive per pagamento di tributi ed entro la misura di un quinto di cui all'art. 545 del codice di procedura civile. L’illegittimità deriverebbe dalla violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, per difformità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe, in quanto le somme erogate per le medesime causali da casse di previdenza di professionisti, quali avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, geometri, sono invece assoggettate alle stesse disposizioni vigenti per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, e perciò sequestrabili e pignorabili, per crediti nascenti da tributi ed entro la misura di un quinto (art. 2 d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180).

2. - La questione non é fondata.

Va innanzi tutto rilevato che, nel nostro ordinamento, non può ritenersi esistente, secondo sostiene il giudice a quo, un principio di carattere generale relativo alla sequestrabilità e pignorabilità degli stipendi e pensioni per determinati crediti, tra cui quelli relativi al pagamento dei tributi. Accanto alle norme citate, che ammettono l’assoggettabilità ad atti coattivi di pensioni da pagarsi da privati o da pubbliche Amministrazioni, esistono le norme che escludono le pensioni di qualsiasi importo, erogate dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, da ogni azione esecutiva, tranne che per crediti verso lo stesso Istituto erogante (art. 128 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, e art. 69 legge 30 aprile 1969, n. 153).

La tesi dell’eccezionalità della norma denunziata, che concerne l'esonero della perseguibilità delle pensioni dei giornalisti, non trova quindi conforto nella realtà normativa e non può perciò fornire la base d’appoggio all’eccezione d’illegittimità della stessa norma per violazione del principio d’eguaglianza.

3. - Parimenti é insussistente l'analogia che vi sarebbe, a detta dell'ordinanza, fra la cassa di previdenza dei giornalisti e quelle degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei geometri.

Invero, né i giornalisti sono liberi professionisti, né la loro cassa di previdenza ha gli stessi compiti delle casse che gestiscono la previdenza a favore dei sopraindicati esercenti professioni liberali.

É vero, peraltro, che dalla legge che disciplina la loro attività (legge 3 febbraio 1963, n. 69) i giornalisti sono qualificati giornalisti-professionisti, ma tale denominazione é loro conferita al solo fine di distinguerli dai "pubblicisti", per quanto concerne la professionalità dell'impegno di lavoro dei primi, che deve essere esclusivo e continuativo, cosa che non occorre invece per quegli altri che, unitamente all'attività giornalistica, possono anche esercitare altre professioni o impieghi (art. 1, comma quarto, detta legge).

Comunque sia poi in merito a tale qualificazione, certo é che i giornalisti-professionisti sono lavoratori dipendenti, il cui rapporto di lavoro é regolato da contratti collettivi, onde é certo che liberi professionisti o professionisti, nel senso tradizionale, essi non sono.

4. - Ancora meno sussiste poi un’analogia tra la struttura e gli scopi della cassa dei giornalisti e le finalità di quella dei liberi professionisti di cui si é detto, perché la prima, e cioé l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola" (legge 20 dicembre 1951, n. 1564), cui possono iscriversi solo i giornalisti che hanno in atto un rapporto di lavoro, sostituisce a tutti gli effetti le corrispondenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie (art. 1) e cioé non solo quelle attinenti alla pensione di vecchiaia e invalidità, ma anche quelle che concernono la disoccupazione involontaria, la tubercolosi, le malattie e gli assegni famigliari (art. 3), mentre le ricordate casse di liberi professionisti hanno compiti ben più limitati e circoscritti.

In sostanza, la cassa dei giornalisti costituisce un settore autonomo del complesso sistema previdenziale predisposto a tutela dei lavoratori dipendenti e i cui compiti sono assolti principalmente dall'INPS e dall'INAM.

Appare perciò - come del tutto logico e naturale che la legge 9 novembre 1955, n. 1122, abbia esteso all'Istituto previdenziale dei giornalisti tutti i benefici, privilegi ed esenzioni tributarie previsti per l'Istituto nazionale della previdenza sociale (art. 10), e quindi anche la norma impugnata, contenuta nell'art. 1, concernente l’insequestrabilità ed impignorabilità delle pensioni, la quale é poi anche essa una disposizione estensiva della normativa prevista in materia per l'INPS dall'art. 128 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827.

Deve quindi concludersi che la lamentata violazione dell'art. 3 della Costituzione non sussiste.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122, avente ad oggetto disposizioni varie per la previdenza e l'assistenza dei giornalisti italiani, questione proposta con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3, comma primo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1972.

Costantino MORTATI - Ercole ROCCHETTI

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1972.