Sentenza n. 169 del 1972

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 SENTENZA N. 169

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

Avv. LEONETTO AMADEI

Prof. GIULIO GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 389, ultimo comma, del codice di procedura penale, modificato dalla legge 7 novembre 1969, n. 780, promosso con ordinanza emessa il 12 maggio 1971 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico d’Orioli Giuseppe, iscritta al n. 286 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 ottobre 1972 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 12 maggio 1971 il pretore di Milano, accogliendo un'eccezione sollevata dalla difesa dell'imputato, ha proposto una questione di legittimità costituzionale concernente l'ultimo comma dell'art. 389 del codice di procedura penale.

Ad avviso del pretore, la disposizione impugnata é fonte di un’illegittima disparità di trattamento giacché, mentre nell'ipotesi di giudizio direttissimo di competenza del tribunale o della Corte d’assise l'imputato, avvalendosi della facoltà concessa dalle modifiche apportate all'art. 389 c.p.p. dalla legge 7 novembre 1969, n. 780, "può chiedere che il procedimento a suo carico venga istruito con il rito formale", nel caso di giudizio direttissimo di competenza pretorile l'imputato non può influire neppure indirettamente sulla scelta fra rito direttissimo ed istruzione sommaria. Tale disparità, non giustificata dalla diversa struttura del giudizio pretorile, si risolverebbe, secondo l'ordinanza, in una violazione dell'articolo 3 della Costituzione.

2. - L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri (atto 31 luglio 1971), ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata perché priva del suo presupposto: a suo avviso, infatti, l'art. 389 c.p.p. non riguarda affatto il giudizio direttissimo, che é disciplinato dagli artt. 502 ss. dello stesso codice.

In tale tesi la difesa dello Stato ha insistito nella pubblica udienza.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rimessione propone, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l'ultimo comma dell'art. 389 del codice di procedura penale nella parte in cui esso non attribuisce all'imputato, quando si tratti di giudizio direttissimo pretorile, la facoltà di chiedere che si proceda ad istruzione sommaria. L'illegittima disparità di trattamento nascerebbe, secondo il giudice a quo, dalla circostanza che, invece, quando il giudizio direttissimo sia di competenza del tribunale o della Corte d’assise, l'imputato potrebbe avvalersi della facoltà, prevista dalle modifiche apportate all'art. 389 dalla legge 7 novembre 1969, n. 780, di chiedere che si proceda con istruzione formale.

2. - La questione non é fondata. Essa é stata proposta dal giudice a quo sul presupposto che l'art. 389 c.p.p. e, in particolare, le innovazioni introdotte dalla legge n. 780 del 1969, trovino applicazione nel giudizio direttissimo per reati di competenza del tribunale o della Corte di assise: ma tale presupposto é sicuramente e manifestamente errato. Ed infatti la disciplina risultante dal nuovo testo dell'art. 389 riguarda esclusivamente l'istruzione sommaria ed i rimedi apprestati quando l'imputato ritenga che, non ricorrendone le ipotesi, si debba procedere col rito formale, sicché tutta la problematica relativa al giudizio direttissimo, specificamente ed autonomamente disciplinato dagli artt. 502 e segg., é certamente estranea alla disposizione impugnata. L'errore nel quale il pretore di Milano é incorso é quello di ritenere che anche il rito direttissimo preveda una fase di istruzione sommaria: ma su ciò non si può consentire, giacché, anche se il sommario interrogatorio dell'imputato previsto dall'art. 502 dovesse qualificarsi come atto istruttorio, non si tratterebbe, certo, di quella istruzione sommaria che é disciplinata dal titolo terzo del libro secondo del codice. Da qui discende l'ovvia conseguenza che nei reati di competenza del tribunale o della Corte di assise, per i quali si proceda col rito direttissimo, l'imputato non può esercitare la facoltà concessa dal quarto comma dell'art. 389 né proporre il ricorso previsto dal sesto comma dello stesso articolo: solo il giudice del dibattimento - art. 504 c.p.p. - (si tratti del pretore, del tribunale o della Corte di assise) é competente a verificare l'effettiva sussistenza dei presupposti del rito direttissimo e, quindi, solo nel dibattimento l'imputato può, anche su questo punto, far valere le sue ragioni.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 389, ultimo comma, del codice di procedura penale, proposta dall'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 1972.

Giuseppe CHIARELLI – Francesco Paolo BONIFACIO

Depositata in cancelleria il 12 dicembre 1972.