Sentenza n. 145 del 1972

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 SENTENZA N. 145

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 192, ultimo comma, e 529, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 29 luglio 1970 dal pretore di Chieri nel procedimento penale a carico di Marrongiello Luigi, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1972 il Giudice relatore Angelo De Marco;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto penale in data 12 novembre 1969, il pretore di Chieri condannava tal Luigi Marrongiello a lire 20.000 d’ammenda, quale colpevole della contravvenzione preveduta dall'art. 106, commi settimo e undicesimo, del codice della strada.

Ma tale decreto - come del resto anche il verbale di denuncia - non poteva essere notificato al condannato, che risultava irreperibile.

Il pretore allora, con decreto in data 22 maggio 1970, ai sensi dell'art. 170 del codice di procedura penale, nominava un difensore di ufficio dell'imputato nella persona del dr. Giovanni Tarrocchione, praticante procuratore abilitato al patrocinio davanti alle preture, e disponeva che le notificazioni non potute eseguire e quelle che occorressero in seguito per tutta la durata del procedimento fossero eseguite mediante deposito nella cancelleria della pretura.

Dopo di ciò l'imputato, con decreto di citazione notificatogli in detta forma, veniva rinviato a giudizio e con sentenza dibattimentale in data 16 giugno 1970 veniva assolto per essere il reato estinto a seguito di amnistia.

Avverso questa sentenza il difensore di ufficio proponeva ricorso per cassazione, riservandosi i motivi e nominando difensori per la loro stesura e per il giudizio davanti alla Cassazione l'avv. Paolo Federico Orsi di Chieri, abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori, il quale, in termini, presentava i motivi di impugnazione.

Il pretore, presa visione dell'atto d'impugnazione e dei motivi, con ordinanza 29 luglio 1970, rilevava che ai sensi dell'art. 207 c.p.p. avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame:

a) perché, ai sensi dell'art. 192, ultimo comma, c.p.p., le impugnazioni non possono essere proposte da difensori che non abbiano la qualità di avvocati o procuratori;

b) perché i motivi erano stati, bensì, redatti da un avvocato abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori, ma che non aveva difeso l'imputato nel giudizio oggetto dell'impugnativa e che non aveva avuto conferito il relativo mandato dall'imputato stesso, come prescritto dall'art. 529 del codice di procedura penale.

Tanto rilevato, peraltro, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dei citati artt. 192 e 529 c.p.p. e, sospeso il giudizio in corso, ordinava la trasmissione degli atti a questa Corte.

La non manifesta infondatezza veniva motivata:

a) per quanto attiene all'art. 192, nella parte in cui esclude che il patrocinatore legale possa proporre gravame, la violazione del principio di eguaglianza va ravvisata, sotto il profilo preliminare del momento della dichiarazione di impugnazione, tra imputato che sia stato difeso, avanti al giudice a quo, da un avvocato o procuratore ed imputato che sia stato difeso da un patrocinatore; e, ancora, sotto il profilo della successiva presentazione e sottoscrizione dei motivi, tra imputato che sia stato assistito davanti al giudice a quo da avvocato cassazionista e tra imputato assistito da avvocato non cassazionista.

La violazione del diritto di difesa nel caso, come quello di specie, di imputato irreperibile, consisterebbe nella pratica impossibilità di esercitare il diritto di impugnativa;

b) per gli stessi motivi viene prospettata la dedotta violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 529, nella parte in cui non consente che l'avvocato cassazionista, che sottoscrive i motivi del ricorso, sia nominato da persona diversa dall'imputato.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, con l'atto d'intervento, depositato il 1 settembre 1970, chiede che le questioni prospettate con l'ordinanza di rinvio vengano dichiarate infondate.

Per quanto attiene alla denunzia dell'art. 192 c.p.p., l'Avvocatura deduce che per l'art. 128 c.p.p. il difensore d'ufficio doveva essere nominato tra gli avvocati e procuratori iscritti nell'albo locale, cosicché, se si fosse ottemperato a tale disposizione, l'inconveniente del patrocinatore legale non legittimato a proporre gravame, si sarebbe evitato.

Per quanto attiene alla denunzia dell'art. 529, l'Avvocatura deduce che, sempre in forza del citato art. 128, all'imputato può sempre sostituirsi il giudice, che ha l'obbligo di applicare detta norma in modo tale che la difesa resti pienamente assicurata in tutte le fasi del procedimento.

Dopo gli adempimenti di legge, il giudizio, come sopra promosso, viene ora sottoposto alla cognizione della Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 192 del codice di procedura penale dispone che il diritto di impugnativa può essere esercitato:

a) dall'imputato personalmente o per mezzo di procuratore speciale (primo comma);

b) dai genitori, per i figli minori sottoposti alla loro potestà, o dal tutore, per le persone sottoposte a tutela (secondo comma);

c) dall'avvocato o dal procuratore che ha assistito o rappresentato l'imputato nel procedimento (terzo comma).

Nel giudizio a quo, che si svolgeva in pretura nei confronti di un imputato dichiarato irreperibile, il pretore aveva dovuto emettere, ai sensi dell'art. 170 c.p.p., decreto con il quale gli nominava un difensore di ufficio scelto, peraltro, nella persona di un praticante procuratore ammesso al patrocinio in pretura e ordinava che le notificazioni venissero eseguite mediante deposito in cancelleria. Detto difensore ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di assoluzione perché estinto il reato per amnistia, riservandosi i motivi per la presentazione dei quali nominava all'imputato un avvocato abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte suprema di cassazione il patrocinatore legale o il praticante procuratore ammesso al patrocinio, ai sensi dell'ultimo comma del riportato art. 192 c.p.p., non sono legittimati a proporre impugnazioni.

Da questa giurisprudenza il giudice a quo, con l'ordinanza di rinvio, ha tratto argomento per denunziare a questa Corte, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, detto ultimo comma dell'art. 192 c.p.p. nonché l'art. 529, primo comma, c.p.p., nella parte in cui non consente che l'avvocato cassazionista che sottoscrive i motivi del ricorso sia nominato da persona diversa dall'imputato, in quanto porrebbero in essere una sperequazione tra imputato che sia stato difeso davanti al giudice a quo da un avvocato o procuratore ed imputato che sia stato difeso da un patrocinatore, nonché tra imputato che sia stato difeso da un avvocato cassazionista ed imputato che sia stato difeso da un avvocato non cassazionista.

Sperequazione ancora più grave nel caso di imputato irreperibile, assistito davanti al giudice a quo da difensore nominato d'ufficio.

2. - Così chiariti i termini delle questioni sottoposte all'esame della Corte, deve anzitutto rilevarsi che la sussistenza eventuale dei vizi denunziati dal giudice a quo deve esaminarsi soltanto per l'ipotesi di imputato non presente nel giudizio od al quale sia stato comunque nominato un difensore d'ufficio.

Infatti l'imputato presente nel giudizio, anzitutto, può esercitare personalmente il diritto di impugnativa e comunque può esercitarlo mediante procuratore speciale scelto, eventualmente, nella persona dello stesso patrocinatore, dal quale, nei giudizi davanti al pretore abbia ritenuto opportuno di farsi difendere e, quando si prospetta la necessità del patrocinio di un cassazionista, ben può nominarlo direttamente: imputet sibi, quindi, se non ha saputo avvalersi dei mezzi che la legge gli offre per provvedere adeguatamente alla sua difesa.

Nell'ipotesi di imputato irreperibile o, comunque, assente dal giudizio o che non abbia nominato un difensore di fiducia ed al quale occorre quindi nominare un difensore d'ufficio, poi, i vizi denunziati dal giudice a quo non possono verificarsi quando alla nomina del difensore d'ufficio si proceda con l'esatta osservanza della norma di legge che la disciplina e l'impone.

Come ha rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, invero, l'art. 128 c.p.p., al terzo comma, dispone che il "difensore di ufficio é nominato tra gli avvocati e i procuratori iscritti negli albi locali" ed il giudice a quo, non poteva ignorare che la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione ha dichiarata illegittima la nomina di un difensore di ufficio scelto tra i patrocinatori legali e non fra gli avvocati e procuratori e, conseguentemente, ha giudicati nulli i giudizi svoltisi con la loro assistenza.

Né può opporsi che la disparità di trattamento dovrebbe ravvisarsi tra patrocinatori che, una volta ammessi al patrocinio, dovrebbero poterlo esercitare senza limitazioni, da un lato ed avvocati e procuratori dall'altro e non tra i loro difesi, sia perché tale disparità deriva da una differenziata valutazione di efficienza tecnica, sicuramente rientrante nella discrezionalità del legislatore, sia perché il giudice a quo la questione l'ha proposta soltanto sotto il profilo della disparità di trattamento tra difesi e non tra difensori.

D'altra parte, mentre per l'impugnato ultimo comma dell'art. 192 c.p.p. l'avvocato o procuratore che abbia difeso l'imputato in giudizio é legittimato, non soltanto a proporre l'impugnativa, ma anche ad enunciarne contestualmente i motivi, é ovvio che, ove se ne prospetti la necessità, la difesa di ufficio ben può essere affidata ad un avvocato abilitato al patrocinio davanti alle magistrature superiori.

Vengono, così, a cadere anche le censure mosse contro l'art. 529 del codice di procedura penale.

3. - Le considerazioni che precedono dimostrano che le proposte questioni debbono essere dichiarate prive di fondamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 192, ultimo comma, e 529, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Chieri, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Angelo DE MARCO

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1972.