Sentenza n. 119 del 1972

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 SENTENZA N. 119

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1970 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Luciano Sabato, iscritta al n. 179 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 30 giugno 1971;

2) ordinanza emessa il 17 ottobre 1970 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Ronzitti Francesco, iscritta al n. 201 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 7 luglio 1971.

Visto l'atto di costituzione di Luciano Sabato;

udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1972 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito l'avv. Franco Dottarelli, per il Luciano.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - A seguito della morte di Mariantonia Luciano, ex operaia della Manifattura tabacchi, titolare di pensione diretta, il di lei marito Sabato Luciano, chiedeva, in quanto inabile al lavoro, la riversibilità in suo favore della pensione.

L'istanza veniva rigettata, con decreto del Ministro per le finanze, perché l'assunta inabilità non poteva farsi risalire alla data di morte della pensionata.

Il Luciano quindi proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti, chiedendo l'annullamento del provvedimento.

La Corte dei conti - sezione III giurisdizionale - poiché dagli atti risultava che il ricorrente, alla data di morte della moglie, non era inabile a proficuo lavoro e versava inoltre in condizioni economiche tali da escludere che potesse considerarsi a carico della dante causa, in accoglimento delle richieste avanzate dal pubblico ministero e dallo stesso ricorrente, con ordinanza del 17 ottobre 1970, considerava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 11, comma sesto, parte prima, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (contenente nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato), che pone, per il conferimento della pensione di riversibilità al vedovo di dipendente o pensionata statale, le condizioni dell'inabilità a proficuo lavoro e della convivenza a carico della dante causa.

La questione sarebbe rilevante perché il ricorrente, come si é detto, non si troverebbe nelle condizioni volute dalla legge.

E sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione, perché la norma denunciata "sancisce, ai fini della pensione di riversibilità, una palese disparità di trattamento tra il vedovo e la vedova, basandola unicamente sulla differenza di sesso" e perché da tale disparità potrebbe discendere in pratica che "mentre alla vedova, anche se fornita di cospicui redditi ed in giovane età, spetta la pensione di riversibilità per la morte del marito, per quest'ultimo invece sono previste dalle norme citate le due condizioni innanzi specificate".

L'ordinanza veniva ritualmente comunicata, notificata e pubblicata.

Davanti a questa Corte si costituiva il Luciano a mezzo dell'avvocato Franco Dottarelli, il quale, con la comparsa di costituzione e con la memoria difensiva, chiedeva che fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

2. - Francesco Ronzitti, vedovo di Caterina Olivieri, insegnante di ruolo negli istituti magistrali statali, deceduta in costanza di servizio, chiedeva al Ministero della pubbica istruzione la pensione di riversibilità.

Avverso il decreto del Ministro, con cui la domanda veniva respinta perché dagli accertamenti era risultato che il richiedente non poteva essere considerato a carico della moglie, l'interessato proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti, sostenendo, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma sesto, della legge 15 febbraio 1958, n. 46, nel punto in cui subordina il riconoscimento del diritto a pensione di riversibilità a favore del vedovo di una dipendente statale alla condizione di essere il richiedente all'atto del decesso della moglie a carico di questa, e ciò per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Alla richiesta del Ronzitti si associava il pubblico ministero.

La Corte dei conti - sezione III giurisdizionale - rilevava che, con il citato art. 11, comma sesto, della legge n. 46 del 1958, si é riconosciuto il diritto alla riversibilità al vedovo a condizione che questo sia stato a carico della moglie, mentre per il riconoscimento in favore della vedova del dipendente o del pensionato non é necessario lo stato di bisogno dell'avente causa, e pertanto sollevava l'anzidetta questione considerandola rilevante in quanto la norma in contestazione osterebbe al riconoscimento del diritto a pensione nei confronti del ricorrente, e non manifestamente infondata perché si sarebbe in presenza di una disparità di trattamento, connessa alla differenza di sesso tra due soggetti forniti d’eguali mezzi economici propri.

L'ordinanza veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata.

Davanti alla Corte non si costituiva alcuna delle parti e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - All'udienza del 12 aprile 1972, l'avvocato Dottarelli svolgeva le ragioni a sostegno delle richieste avanzate per il Luciano e insisteva nelle precedenti conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte dei conti, in sede giurisdizionale, con le due ordinanze indicate in epigrafe, solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma sesto, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (contenente nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato) nella parte in cui dispone che in caso di decesso della dipendente o pensionata la pensione di riversibilità spetta al marito quando questi sia riconosciuto inabile a proficuo lavoro e a carico della moglie.

Unica essendo la questione sottoposta all'esame della Corte, i relativi giudizi vengono riuniti e decisi con una sola sentenza.

2. - Secondo la Corte dei conti la norma denunciata, messa a raffronto con quanto dispone lo stesso art. 11 per il caso di morte del dipendente o pensionato e nei confronti della vedova, porrebbe in essere, a proposito della spettanza del diritto alla riversibilità, una disciplina differenziata, basata unicamente sulla diversità di sesso dell'avente causa. Si fa al riguardo notare che, mentre per il vedovo della dipendente o pensionata statale viene richiesto al sopradetto fine, e tra l'altro, che esso sia inabile a proficuo lavoro ed a carico della moglie al momento della di lei morte, queste condizioni non é necessario che sussistano perché quello stesso diritto sia riconosciuto alla vedova del dipendente o pensionato statale. E da ciò si deduce che la rilevata disparità di trattamento, "tra due soggetti forniti di eguali mezzi economici propri", sia "connessa alla differenza di sesso" o più semplicemente che la norma denunciata sancisca, ai fini della pensione di riversibilità, "una palese disparità di trattamento tra il vedovo e la vedova, basandola unicamente sulla differenza di sesso".

3. - La questione, così proposta in riferimento all'art. 3 della Costituzione, non é fondata.

Il giudice a guo, come si é ora ricordato, riconduce la disparità di trattamento alla differenza di sesso, nei due casi, degli aventi diritto alla riversibilità, o puramente e semplicemente o argomentando dall'ipotesi che la vedova ed il vedovo siano forniti di eguali mezzi economici propri. Ma é da ritenersi che presupponga su un piano più generale come unica o eguale la situazione di fatto e di diritto del coniuge del dipendente o pensionato statale: altrimenti non potrebbe ascrivere solo alla differenza di sesso la diversità della disciplina giuridica.

Ma, a quest'ultimo riguardo, e per valutare la validità dell'implicita premessa, é necessario tenere nella dovuta considerazione che con l'art. 104 del testo unico delle leggi sulle pensioni civili e militari approvato con r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, venne riconosciuto alla vedova dell'impiegato o pensionato statale il diritto alla riversibilità del trattamento di quiescenza maturatosi in favore del marito o da questo già acquisito, e che tale diritto ha trovato definitiva disciplina nei primi due commi del citato art. 11 della legge n. 46 del 1958; e che, con quest'ultima legge, il diritto alla riversibilità é stato concesso ad altri soggetti, tra cui il vedovo della dipendente o pensionata.

Si é operato in tal modo un ampliamento della cerchia e del numero degli aventi diritto alla riversibilità, attraverso una graduale evoluzione della normativa.

Il legislatore del 1958, subordinando l'acquisto del diritto da parte del marito della dipendente o pensionata deceduta alla sussistenza, tra l'altro, delle dette due condizioni, non ha introdotto nell'ambito dell'istituto della riversibilità - come invece ritiene la Corte dei conti - modifiche sostanziali circa i criteri di riconoscimento del diritto, ma ha solo dettato una disciplina distinta e articolata della materia.

Per ciò, nulla può dedursi circa l’asserita illegittimità costituzionale della norma in questione dal semplice fatto che siano differenti i trattamenti per il coniuge superstite nei due casi di decesso del marito o della moglie.

Occorre, invece, risalire alla premessa implicita dalla quale - come si é detto - su un piano generale procede il giudice a quo nel sottoporre la questione.

Ora codesta premessa, in realtà, non é valida.

Non é consentito infatti ritenere che sia unica o unitaria la situazione di fatto e di diritto del coniuge del dipendente o pensionato statale. Non si può non considerare tra l'altro che, sia all'epoca in cui é entrata in vigore la legge n. 46, sia attualmente, i lavoratori subordinati di sesso maschile occupati nell'agricoltura, nell'industria e nelle altre attività erano e sono più dei due terzi dell'intero complesso delle forze di lavoro operanti in quei settori; che in relazione agli stessi anni tra i dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici é certamente prevalente il numero di quelli di sesso maschile; e che analoghe considerazioni potrebbero farsi a proposito della titolarità di redditi non derivanti da lavoro subordinato.

Tutto ciò comporta la minore probabilità che sia il marito anziché la moglie a dipendere economicamente dal coniuge, dipendente o pensionato statale, e fa sì che tale situazione possa ritenersi normale ed essere assunta a base della previsione normativa de qua.

Appare conseguentemente razionale che l'accertamento in fatto dello stato di bisogno sia richiesto solo per il marito e non anche per la moglie. Ed é del pari giustificata la previsione del requisito dell'inabilità a proficuo lavoro, specie se si ponga mente alla normale Coesistenza di tale stato con la vivenza a carico dell'altro coniuge.

Conclusivamente, la norma in esame é per ciò il riflesso di una situazione di fatto e giuridica che non é comune a tutti i coniugi dei dipendenti o pensionati, e trova nella peculiarità sopra messa in evidenza la sua logica ragione d'essere.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma sesto, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (contenente nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato), nella parte in cui dispone che in caso di decesso della dipendente o pensionata la pensione di riversibilità spetta al marito quando questi sia riconosciuto inabile a proficuo lavoro ed a carico della moglie, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI – Vincenzo Michele TRIMARCHI

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1972.