Sentenza n. 78 del 1972

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 SENTENZA N. 78

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele  TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 112, ultimo comma, e 10, quinto comma, del d.P.R.30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 febbraio 1970 dal tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e Fantinato Gaetano, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1970;

2) ordinanza emessa il 16 ottobre 1970 dal tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e la società Libco, iscritta al n. 164 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 16 giugno 1971.

Visti gli atti di costituzione della società Libco e dell'INAIL e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1972 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Leopoldo Jacobelli, per la società Libco, l'avv. Valerio Flamini, per l'INAIL, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento civile promosso dall'INAIL nei confronti di Fantinato Gaetano per il recupero delle prestazioni erogate in favore di Dengo Giulio, infortunatosi mentre lavorava, a titolo di scambio di mano d'opera, nel fondo del convenuto, il tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 19 febbraio 1970, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 112, ultimo comma, e 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Premesso, in ordine alla rilevanza, che l'azione proposta dall'INAIL rientra sotto la disciplina del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, perché la prestazione di lavoro per scambio di mano d'opera va sostanzialmente assimilata al rapporto di lavoro subordinato, il tribunale osserva che l'art. 112 del citato decreto, il quale ha elevato da uno a tre anni il termine per l'esercizio del diritto di regresso da parte dell'Istituto assicuratore, non sembra perseguire alcuna delle finalità indicate nell'art. 30, secondo comma, della legge di delega 19 gennaio 1963, n. 15, e, pertanto, risulta emanato in violazione dell'art. 76 della Costituzione.

La stessa censura, secondo il giudice a quo, va estesa all'art. 10, comma quinto, del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui eleva da uno a tre anni, anche per l'INAIL, il termine di decadenza per la proposizione, dinanzi al giudice civile della domanda di rimborso ivi prevista.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituito l'Istituto assicuratore, che, con deduzioni del 28 luglio 1970, ha chiesto che la questione proposta dal tribunale di Padova venga dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Dopo aver affermato che il giudizio di rilevanza della questione di legittimità é contraddittoria e insufficientemente motivata, perché l'azione di rimborso proposta dall'Istituto contro il Fantinato avrebbe dovuto esser considerata come una comune surroga assicurativa regolata dall'art. 1916 del codice civile, del tutto svincolata dai termini di prescrizione e di decadenza che sono stati sottoposti al sindacato di costituzionalità, la difesa dell'INAIL rileva che le questioni di legittimità costituzionale sono comunque infondate nel merito, in quanto il prolungamento dei termini da parte del legislatore delegato rientrava nei poteri di riordinamento definitivo della materia che gli erano stati concessi dalla legge di delega 19 gennaio 1963, n. 15.

Nell'esercizio di tali poteri, il legislatore delegato ha giustamente ritenuto, secondo l'Istituto assicuratore, di dover allineare al termine di tre anni stabilito direttamente dal Parlamento per l'esercizio del diritto al conseguimento delle prestazioni, anche gli altri termini di prescrizione e di decadenza, relativi all'azione civile di responsabilità e di regresso contro il datore di lavoro e l'operaio in dolo.

3. - Nello stesso giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, la quale, con deduzioni del 17 luglio 1970, chiede che siano dichiarate infondate le questioni di legittimità proposte con l'ordinanza in esame.

Anche la difesa dello Stato pone in evidenza che l'ampiezza della delega legittimava il Governo a rendere coerente e unitaria l'intera legislazione della materia, armonizzandola con le nuove disposizioni e principi posti direttamente dalla legge, mediante modifica delle norme vigenti. La norma contenuta nell'art. 16 della legge n. 15 del 1963, che ha portato a tre anni il termine per il promovimento da parte dell'assicuratore, dell'azione diretta a conseguire le prestazioni assicurative, aveva creato, secondo l'Avvocatura, contrasto e discordanza con le disposizioni vigenti che stabilivano il più breve termine di un anno per le altre azioni di responsabilità civile e di regresso; e ciò non solo perché i termini erano stati sempre disciplinati in modo uniforme, ma anche per ragioni di logica e di coerenza, risultando evidente l'esigenza che il termine per il promovimento dell'azione diretta a conseguire le prestazioni assicurative venisse a scadere prima dei termini sia per l'azione di regresso dell'Istituto assicuratore, sia per l'azione di responsabilità civile del lavoratore, relativa al pagamento della differenza tra il danno subito e l'indennità ottenuta a titolo di prestazioni assicurative.

4. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 112, ultimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, con riferimento all'art. 76 della Costituzione, é stata proposta anche dal tribunale di Bari, con ordinanza 16 ottobre 1970 emessa nel procedimento civile vertente tra l'INAIL e la società Libco.

Tale ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata a termini di legge.

5. - Anche in questo giudizio si é costituito l'Istituto assicuratore con deduzioni depositate il 6 luglio 1971 chiedendo che la questione dedotta dal tribunale di Bari venga dichiarata infondata per motivi analoghi a quelli già dedotti nel giudizio proposto dal tribunale di Padova.

6. - Con deduzioni del 16 marzo 1971 si é inoltre costituita dinanzi alla Corte la società a r.l. Libco, chiedendo, in via preliminare, che la causa venga discussa e decisa congiuntamente a quella proposta dal tribunale di Padova, e, nel merito, che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 112, ultimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.

Secondo la difesa della Libco, la norma impugnata non trova riscontro o giustificazione nei principi e criteri direttivi della legge delegante, perché nessuna disposizione autorizzava il Governo a modificare e ad innovare la disciplina dell'azione di regresso dell'Istituto assicuratore; ciò é dimostrato anche dal fatto che il legislatore delegante, quando ha voluto modificare taluno dei termini di prescrizione previsti dall'art. 67 del testo unico n. 1765 del 1935, lo ha fatto direttamente (art. 16 della legge n. 15 del 1963) senza demandarlo al Governo, ritenendo con ciò implicitamente che dovesse rimanere ferma la prescrizione dell'azione di regresso.

7. - In entrambi i giudizi l'INAIL ha depositato memorie illustrative sviluppando le argomentazioni già svolte. Anche la società Libco ha presentato una memoria in cui ribadisce le proprie conclusioni.

All'udienza di discussione ciascuna delle parti costituite ha ulteriormente illustrate le proprie deduzioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due giudizi, aventi ad oggetto questioni parzialmente identiche, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - In entrambe le ordinanze di rimessione viene espresso il dubbio che l'art. 112, ultimo comma, del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sia in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui varia, elevandolo da uno a tre anni, il termine per l'esercizio dell'azione di regresso volta ad ottenere il rimborso delle prestazioni erogate; azione esperibile dall'INAIL, nei confronti del datore di lavoro, allorché, con sentenza penale, é stata accertata la colpa di lui o di un suo dipendente, nella produzione dell'evento.

La stessa censura é stata inoltre prospettata dal tribunale di Padova nei confronti dell'art. 10, quinto comma, del citato decreto presidenziale, nella parte in cui eleva da uno a tre anni il termine per la proposizione, sempre da parte dell'Istituto assicuratore, dell'azione diretta ad accertare in sede civile la responsabilità penalmente rilevante del datore di lavoro o di un suo dipendente, allorché il processo penale é rimasto estinto per amnistia o per morte dell'imputato.

L’illegittimità costituzionale delle norme denunciate sussisterebbe perché l'art. 30 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, che disponeva la delega, non avrebbe autorizzato tali variazioni.

3. - Per quanto concerne l'ordinanza del tribunale di Padova, la difesa dell'INAIL eccepisce l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 112, sostenendo che nella fattispecie era stata esperita la comune azione di surrogazione spettante, per l'art. 1916 del codice civile, all'assicuratore nei confronti del terzo responsabile dell'evento dannoso.

Invece, l'azione speciale di regresso che, ai sensi del citato art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, é proponibile contro il datore di lavoro che ha, per colpa penalmente rilevante, causato l'infortunio del lavoratore dipendente, non avrebbe potuto essere invocata nel giudizio a quo, in quanto l'infortunio era avvenuto in un'azienda agricola e vittima ne era stato un altro proprietario che vi lavorava a titolo di scambio d'opera (articolo 2139 c.c.), comunemente ritenuto, sulla scorta della giurisprudenza della Cassazione, lavoratore autonomo, coperto, per il rischio di lavoro, dall'assicurazione propria e non da quella del proprietario dell'azienda.

L'eccezione non é fondata.

Premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di rilevanza spetta al giudice a quo e non può essere ridiscusso se non in caso di assoluta incongruenza logica, sta in fatto che il tribunale, nell'ordinanza di rinvio, ha ampiamente motivato sulla qualificazione giuridica del rapporto di scambio di mano d'opera, ritenendo, sia pure in contrasto con l'orientamento della Corte di cassazione, che il così detto reciprocante sia assimilabile al prestatore di lavoro dipendente per quanto attiene alla disciplina assicurativa in materia di infortunio sul lavoro.

Di conseguenza, questa Corte non può non ritenere ammissibile l'esame della proposta questione incidentale di legittimità costituzionale.

4. - Nel merito, essa é però da ritenersi non fondata.

Il d.P.R. 17 agosto 1935, n. 1765 (art. 67), in conformità con le anteriori leggi sulla disciplina delle assicurazioni sociali contro gli infortuni sul lavoro, fissava nel termine unico di un anno il tempo utile per l'esercizio delle varie azioni nascenti dal rapporto assicurativo.

Tale termine coincideva con quello previsto prima dal codice di commercio (art. 924) e poi dal codice civile (articolo 2952) per le varie azioni in materia di assicurazione.

Con la legge 19 gennaio 1963, n. 15, che modificò in molti punti l'intera disciplina, il termine concesso al lavoratore per esperire l'azione volta a conseguire le prestazioni venne elevato a tre anni. L'art. 30 della stessa legge conferì, poi, al Governo un'ampia delega legislativa per apportare modifiche, correzioni, ampliamenti, ed ove occorresse, soppressioni, delle norme vigenti in materia di infortuni sul lavoro, riordinandole e riunendole in un solo provvedimento legislativo.

In attuazione della delega venne emanato, con il d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, il nuovo testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nel quale i termini per l'esercizio delle varie azioni derivanti dal rapporto assicurativo (eccetto quello per la riscossione dei premi di assicurazione) sono stati nuovamente allineati e portati a tre anni, in conformità di quanto la legge di delega aveva disposto per il solo termine relativo all'azione per il conseguimento delle prestazioni assicurative da parte dell'infortunato.

Le ordinanze di rinvio, in rapporto a tale variazione dei termini, ritengono che il legislatore delegato abbia superato i limiti della delega, che sarebbero stati indicati nel secondo comma dell'art. 30 della legge delegante, laddove si precisa che "ogni innovazione... dovrà tendere a conseguire una più precisa determinazione nel campo di applicazione, una maggiore speditezza e semplicità nelle procedure amministrative, più idonei controlli sugli obblighi assicurativi, più efficaci sanzioni nei confronti degli inadempienti...".

E poiché, secondo le ordinanze, l'aumento dei termini per l'esperimento delle azioni previste negli artt. 112, ultimo comma, e 10, quinto comma, non perseguirebbe nessuna delle dette finalità, ne conseguirebbe che le norme che quell'aumento hanno disposto sarebbero state emanate in violazione dell'articolo 76 della Costituzione.

5. - Va in contrario osservato che quelle finalità, per la stessa genericità della formula adoperata (ogni innovazione "diretta a conseguire" significando che, nel risultato, essa può anche non conseguirla), non esauriscono, sul piano concettuale, quei "principi e criteri direttivi" che l'art. 76 vuole siano posti a circoscrivere la delega, né contengono tutte le indicazioni che servano a definire i termini della delega in concreto conferita.

Di ben diversa importanza sono invece le altre indicazioni che si ricavano dall'art. 30 della legge n. 15 del 1963, sia in ordine ai principi cui il Governo doveva ispirarsi e sia con riferimento agli scopi che il legislatore delegato era tenuto a perseguire.

Quanto ai principi, l'articolo in esame precisa che le norme delegate devono essere emanate "nei limiti dei principi che presiedono alla legislazione previdenziale vigente" e, quanto agli scopi, esso indica come preminente quello del coordinamento, disponendo che il legislatore delegato apporti le necessarie modifiche alle norme vigenti "riordinandole e riunendole in un solo provvedimento legislativo".

Ora, per rispettare i principi della legislazione previdenziale, é evidente che il Governo dovesse preoccuparsi di conservare, curando che fosse tutelato in tutta la sua anteriore estensione, il diritto dell'INAIL, nei casi ammessi, a recuperare le somme erogate, perché l'esercizio di esso fornisce una delle fonti di finanziamento e quindi delle stesse possibilità operative dell'Istituto assicuratore. A tale scopo era perciò necessario eliminare la discordanza sorta tra i termini temporali dell'azione relativa al conseguimento delle prestazioni (tre anni) e dell'azione di regresso (un anno), giacché l'esperimento di questa veniva reso impossibile tutte le volte che la prima fosse stata proposta dopo la data di scadenza del termine previsto per esercitare il regresso; termine che inizia dalla pubblicazione della sentenza emessa nel giudizio penale istituito contro chi abbia per colpa causato l'infortunio. Il che avrebbe potuto facilmente verificarsi quando il processo penale, specie se venisse a estinguersi per amnistia o per morte dell'imputato, avesse avuto breve o anche brevissima durata.

Il ripristino della omogeneità dei termini si imponeva quindi, non già in omaggio ad una tradizione quasi secolare, che pur doveva avere una sua ragion d'essere, ma per eliminare in sede di coordinamento le conseguenze ablative che la diversa disciplina dei termini avrebbe operato sull'esercizio del regresso.

Né può aver pregio l'argomento sostenuto dalla difesa della società Libco, che la legge delegante, modificando solo il termine per l'esercizio della azione volta a conseguire le prestazioni, aveva implicitamente inteso di volere mantenere fermi gli altri. Una simile interpretazione contrasta con la ragione prima della delegazione legislativa, contenuta nel citato art. 30, che era proprio quella di affidare all'esecutivo il compito di coordinare la materia, eliminando le antinomie determinate dalla sovrapposizione delle norme emanate in tempi diversi, e, da ultimo, con la stessa legge di delega.

Comunque, quand'anche il legislatore, modificando uno solo dei termini, si fosse proposto di lasciare immutati gli altri, poiché, conferendo la delega, si disinteressava dei problemi di coordinamento, non aveva motivo né di avvertire né di risolvere questioni attinenti alla incompatibilità dei vecchi termini rispetto al nuovo, né, tanto meno, di precludere al legislatore delegato la soluzione dei relativi contrasti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 112, ultimo comma, e 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno l965, n. 1124, recante il testo unico delle norme sulle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, questione proposta in relazione all'art. 30 della legge di delega 19 gennaio 1963, n. 15, e in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Ercole ROCCHETTI

Depositata in cancelleria il 4 maggio 1972.