Sentenza n. 205 del 1971
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SENTENZA N. 205

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 88 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 ottobre 1970 dalla Corte di assise di Torino nel procedimento penale a carico di Iannuzzi Antonio, iscritta al n. 351 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 del 23 dicembre 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1971 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel dibattimento celebratosi avanti alla Corte di assise di Torino il 22 ottobre 1970 a carico di Iannuzzi Antonio, imputato di uxoricidio e tentato omicidio, questi, interrogato insistentemente dal Presidente, non rispondeva, ed assumeva anzi un atteggiamento tale da indurre la Corte a disporre perizia psichiatrica, al fine di accertare se egli, per le sue condizioni mentali, fosse o no in grado di assistere utilmente al dibattimento.

All'esito della perizia, espletata immediatamente, si accertava che l'imputato presentava manifestazioni isteriche, ma la Corte riteneva di potere escludere la sussistenza delle condizioni di totale incapacità di intendere e di volere previste dall'art. 88 cod. proc. pen. per la sospensione del procedimento, e ordinava pertanto procedersi oltre nel giudizio. La difesa, peraltro, eccepiva l'illegittimità costituzionale della detta norma per contrasto con la garanzia del diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, affermando che la norma impugnata consentirebbe la prosecuzione del giudizio anche nel caso in cui, come nella specie, l'imputato, pur capace di intendere e di volere, sia tuttavia nella impossibilità di esprimersi, e sia quindi impedito nell'esercizio della difesa materiale.

La Corte d'assise, con ordinanza emessa nello stesso giorno, riteneva la questione rilevante e non manifestamente infondata.

Anche secondo il giudice "a quo", l'art. 88 cod. proc. pen. consentirebbe la prosecuzione del procedimento nel caso di constatata incapacità all'esercizio della difesa materiale da parte dell'imputato per impedimento fisico, purché siano presenti la capacità di intendere e di volere, come appunto dovrebbe accadere nei confronti dello Iannuzzi, e si porrebbe quindi in contrasto col dettato costituzionale.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 324 del 23 dicembre 1970.

Nel giudizio avanti a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che, qualunque sia stato l'ostacolo manifestatosi al valido esercizio della difesa da parte dell'imputato, sarebbe da escludere che possa essersi determinata una situazione non riferibile ad una delle due categorie di impedimenti fisici previste dalla legge. Invero, se, come parrebbe aver ritenuto la Corte d'assise, l'imputato era impossibilitato ad esprimersi per una delle cause di cui all'art. 143 cod. proc. pen., egli avrebbe potuto godere delle garanzie apprestate dalla legge appunto allo scopo di assicurare anche ai muti e sordomuti l'esercizio del diritto di difesa. Se invece l'impedimento fosse stato tale da impedire la sua comparizione in dibattimento, il procedimento avrebbe dovuto sospendersi ai sensi dell'art. 497 cod. proc. pen. In entrambi i casi, quindi, il diritto di difesa dell'imputato sarebbe stato tutelato, e mal si comprenderebbe come la Corte di assise abbia potuto sollevare la questione di legittimità in esame, che dovrebbe quindi dichiararsi infondata.

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza della Corte d'assise di Torino, dato atto dell'accertamento medico dibattimentale che il giudicabile, pur presente in udienza, si trovava in quel momento in condizioni di incapacità di provvedere alla propria "difesa materiale" per impedimento fisico (mutismo isterico) e quindi, secondo l'ordinanza, fuori della possibilità di ottenere la sospensione del procedimento a termini dell'art. 88 del codice di procedura penale, sottopone alla Corte la questione di legittimità di questo articolo. Ciò in quanto esso limita la possibilità di sospensione alla sola ipotesi di incapacità di intendere o di volere, dipendente da accertata totale infermità di mente, senza estenderla all'ipotesi di contingente impossibilità di esercitare la "difesa materiale", frustrando così il pari diritto di difesa, che si estrinseca nella indefettibile possibilità di discolpa diretta e personale da parte dell'imputato.

2. - La questione non é fondata.

L'autodifesa, mediante risposte all'interrogatorio, discolpe e dichiarazioni in genere, é certamente diritto primario dell'imputato, garantito dalla Costituzione, immanente a tutto l'iter processuale, dalla fase istruttoria a quella di giudizio (artt. 367, 441, 443 cod. proc. pen.) sino al momento di chiusura del dibattimento, in cui "l'imputato deve avere per ultimo la parola" (art. 468 cod. proc. pen.).

L'art. 88 cod. proc. pen. risponde alla finalità di mantenere intatto l'esercizio di quel diritto e di evitarne la compromissione nel caso in cui l'imputato venga a trovarsi "in tale stato di infermità di mente (sopravvenuta) da escludere totalmente la sua capacità di intendere o di volere". Da qui, anzitutto, la sospensione del procedimento, fino a quando l'imputato riacquisti la capacità (comma terzo) e, insieme, l'avvio ad accertamenti peritali, con eventuale internamento dell'imputato in manicomio (comma primo).

Trattasi, pertanto, di norma che trova, nei sui presupposti e nel contenuto, autonoma, razionale e compiuta giustificazione.

L'ordinanza di rinvio, muovendo dall'accertamento di presupposto diverso, escludente una infermità della natura e del grado previsti nell'indicato art. 88, prospetta, come si é detto, il dubbio di incostituzionalità pel fatto dell'omessa previsione, nel contesto dell'articolo stesso, di altra ipotesi, di natura diversa (fisica, non mentale) ma di uguale effetto, come quello derivante dal blocco emotivo dei mezzi verbali di espressione del pensiero.

Ma la Corte osserva che la cennata autonomia dell'art. 88 esclude che possano in esso ravvisarsi lacune di normativa che ne vizino il contenuto, con effetti pregiudizievoli nell'esercizio del diritto di difesa personale o cosiddetta "materiale".

La sospensione del procedimento, nell'ipotesi di cui all'art. 88, non costituisce l'unico mezzo di tutela di tale diritto, al di fuori del quale ogni altra esigenza tutelatrice non possa che essere sacrificata per mancata previsione di mezzi idonei relativi ad altre situazioni.

Sono, infatti, previsti, come provvedimenti contingenti, da adottarsi in caso di necessità, sia la "sospensione" del dibattimento (art. 431 c.p.p.) sia il "rinvio" del dibattimento a tempo indeterminato (art. 432 c.p.p.).

É poi ulteriormente prevista, anche nel caso di solo mutismo, l'adozione di provvedimenti succedanei, atti a supplire alla fisica impossibilità o difficoltà di espressione (art. 143 c.p.p.).

In definitiva, il diritto di difesa personale trova le sue sufficienti garanzie nel sistema del diritto positivo, senza che ne risulti in alcun modo intaccata la legittimità dell'art. 88 del codice di procedura penale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 88 del codice di procedura penale, proposta, con ordinanza 22 ottobre 1970 dalla Corte d'assise di Torino, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1971.

Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1971.