Sentenza n. 200 del 1971
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SENTENZA N. 200

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, quarto comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per l'espropriazione, bonifica ed assegnazione dei terreni ai contadini, promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1969 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - sezione V - sul ricorso di La Piccirella Arcangela e Antonietta contro il Ministero dell'agricoltura e delle foreste e la sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 25 febbraio 1970.

Visti gli atti di costituzione di La Piccirella Arcangela, degli eredi di La Piccirella Antonietta e del Ministero dell'agricoltura e delle foreste e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1971 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

uditi l'avv. Paolo Barile, per i La Piccirella, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministero dell'agricoltura e delle foreste.

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza 4 marzo 1969, il Consiglio di Stato - sezione V giurisdizionale - ha proposto la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 42, comma terzo, della Costituzione, dell'art. 9, comma quarto, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, recante disposizioni sulla espropriazione, bonifica, trasformazione e assegnazione delle terre ai contadini, nella parte in cui tale articolo prevede l'espropriazione senza alcun indennizzo dei terreni costituenti il "terzo residuo" sui quali il proprietario non abbia eseguito entro i termini di legge le opere di trasformazione previste dall'ente espropriante.

L'ordinanza risulta pronunciata in sede di esame del ricorso proposto dalle germane La Piccirella Arcangela e Antonietta avverso il d.P.R. 4 maggio 1958, con il quale, rilevatasi la inadempienza da parte delle ricorrenti proprietarie nella esecuzione delle opere di trasformazione e miglioramento sui terreni costituiti in "terzo residuo" entro il termine di due anni dall'adozione della deliberazione con cui tali opere erano state autorizzate, veniva disposto il trasferimento senza indennizzo di detti beni a favore della sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania.

Osserva il Consiglio di Stato che, ai sensi dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione, la proprietà privata può, in particolari casi previsti dalla legge, essere espropriata per motivi di interesse generale, purché ciò avvenga col pagamento di una indennità.

Nel caso in esame fondato appare il dubbio sulla incostituzionalità della norma impugnata poiché essa aggiunge alla decadenza dal beneficio di conservare una parte dei terreni inclusi nel "terzo residuo" una misura di sostanziale confisca dello stesso, disponendo che il sacrificio economico sofferto a titolo individuale da un soggetto in conseguenza della perdita della proprietà di determinati beni, per il soddisfacimento di interessi della collettività, resti privo di qualsiasi forma di indennizzo.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le parti private, rappresentate e difese dagli avvocati Teodoro Doria, Mario Gambardella, Nicola Carrano e Paolo Barile i quali hanno chiesto che sia dichiarata incostituzionale la norma denunciata.

Si é anche costituito il Ministro dell'agricoltura e foreste ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nei propri scritti difensivi l'Avvocatura assume che il Consiglio di Stato, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, sarebbe stato tratto in inganno dalla infelice espressione usata dall'art. 9, comma quarto, della legge n. 841 del 1950 in cui impropriamente si parla di esproprio senza indennizzo. A ben considerare, in tutta la disciplina del "terzo residuo" quale risulta dagli artt. 8 e 9 della legge, mancano quei caratteri di unilateralità e imperatività che sono le note caratteristiche e costanti dell'istituto dell'espropriazione e ci si trova, per contro, di fronte ad una libera manifestazione dell'autonomia privata. Al soggetto espropriando infatti la legge concede la facoltà di chiedere o non che un terzo dei suoi beni non siano sottoposti a immediata espropriazione e di sottostare o non alle condizioni di trasformazione e miglioramento di detti beni dettate dall'ente espropriante.

Il "terzo residuo" ha origine convenzionale e non imperativa e all'inadempimento della convenzione sono collegati certi rischi liberamente assunti dall'interessato in funzione di certi vantaggi precalcolati.

La decadenza dall'indennizzo é pertanto la conseguenza dell'inadempimento delle condizioni stabilite dall'ente di riforma ed accettate dal proprietario.

L'Avvocatura chiede perciò che la questione sia dichiarata infondata.

La difesa di parte ha presentato una memoria nella quale sostiene - tra l'altro - che i beni costituenti il terzo residuo non possono considerarsi nemmeno virtualmente espropriati giacché il proprietario resta tale finché il procedimento non sia esaurito.

In ordine al terzo residuo l'espropriazione ha luogo solo in un secondo momento e cioè dopo il compimento delle opere di trasformazione (limitatamente alla metà) ovvero dopo l'accertamento che tali opere non sono state compiute (in ordine a tutto il terzo).

Nel caso in esame l'ente di riforma senza tener conto che l'omesso completamento delle opere doveva ritenersi dovuto a cause non imputabili al proprietario ha proceduto ai sensi della norma impugnata all'espropriazione dell'intero terzo residuo senza indennizzo.

Orbene se é lecito al legislatore disporre che nel caso di mancato adempimento degli obblighi di trasformazione sia espropriato l'intero terzo residuo non é più lecito aggiungere la sanzione della decadenza dall'indennizzo in palese contrasto col disposto dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione.

Nell'udienza pubblica la difesa di parte e l'Avvocatura dello Stato hanno ulteriormente svolto le proprie deduzioni e ribadito le rispettive conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - Oggetto del presente giudizio é il quarto comma dell'art. 9 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, che l'ordinanza di rinvio denuncia come costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 42, comma terzo, della Costituzione, limitatamente alla parte in cui dispone l'esproprio "senza alcun indennizzo" dei terreni costituenti il terzo residuo sui quali il proprietario non abbia eseguito entro il termine di due anni le opere di trasformazione previste dall'ente di riforma fondiaria.

La tesi svolta dall'Avvocatura dello Stato a sostegno della legittimità della norma impugnata é che nell'istituto del terzo residuo non sarebbe dato scorgere i caratteri tipici di un rapporto espropriativo, bensì un rapporto convenzionale tra ente ed espropriando nel quale quest'ultimo liberamente assume determinati obblighi di trasformazione accettando le conseguenze previste dalla legge nel caso di inadempimento degli stessi. La decadenza dalla indennità potrebbe essere quindi considerata come la conseguenza dell'inadempimento di siffatta convenzione o al più essere intesa come risarcimento del danno che l'ente riforma verrebbe a subire nella realizzazione dei propri piani per effetto della mancata attuazione degli obblighi di trasformazione e miglioria da parte del privato.

2. - Ad avviso della Corte questa tesi non appare giustificata né dalla lettera né dalla disciplina delle norme concernenti il beneficio del terzo residuo.

Il terzo residuo é istituto tipico ed esclusivo della legge 21 ottobre 1950, n. 841. Scopo di esso é stato quello di inserire positivamente il proprietario nel processo tecnico economico e sociale della trasformazione fondiaria consentendogli di collaborare attivamente all'attuazione dei piani di riforma dell'ente. Gli artt. 8 e 9 che la legge dedica a tale istituto stabiliscono che qualora si proceda all'esproprio immediato solo di due terzi dei terreni espropriabili il restante terzo resta soggetto a vincolo di indisponibilità da trascriversi a cura dell'ente nei registri immobiliari (art. 8). Al proprietario che intenda conservare definitivamente una parte dei terreni costituenti il terzo residuo é data facoltà di chiedere di eseguire su di essi le opere di trasformazione previste dall'ente. Con la domanda di trasformazione il proprietario consegue l'effetto della sospensione dell'espropriazione immediata per un terzo dei terreni espropriabili ed assume nei confronti dell'ente obblighi precisi di condurre ad esecuzione, a proprie spese, secondo termini e piani prestabiliti, le opere di miglioramento e trasformazione assegnategli. All'adempimento di questi obblighi fanno puntuale riscontro il diritto alla conservazione in proprietà della metà dei terreni del terzo residuo, il diritto al pagamento della indennità di espropriazione e al rimborso delle spese di trasformazione sostenute per l'altra metà che deve essere consegnata all'ente. Nel caso invece di inadempimento delle obbligazioni assunte il proprietario non solo dovrà consegnare all'amministrazione l'intero terzo residuo, ma non avrà neppure diritto all'indennizzo.

Orbene quest'ultima parte della disposizione contenuta nel quarto comma dell'art. 9 della legge stralcio e cioè la privazione di ogni indennizzo si pone in contrasto con il precetto dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione.

Né a giustificare detta previsione normativa vale addurre che se il proprietario non fosse privato dell'indennizzo l'inadempimento degli obblighi da lui volontariamente assunti nei confronti dell'ente resterebbe senza sanzione.

É naturale ed é conforme ai principi dell'ordinamento che all'inadempimento di una obbligazione consegua una sanzione. La privazione dell'indennizzo però non può svolgere nella specie la funzione di sanzione sia perché essa prescinde totalmente dalle ragioni che hanno impedito la realizzazione delle opere nel biennio, sia perché non é in alcun modo collegata al danno che l'ente possa aver subito.

In mancanza di tali presupposti anche per l'espropriazione del terzo residuo deve essere corrisposta l'indennità di cui all'art. 18 della legge stralcio, fermo restando l'obbligo del proprietario di risarcire tutti i danni secondo il diritto comune.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma quarto, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per l'espropriazione, bonifica ed assegnazione dei terreni ai contadini, limitatamente alle parole "senza alcun indennizzo".  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1971.

Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1971.