Sentenza n. 174 del 1971
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SENTENZA N. 174

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante norme sui licenziamenti individuali, promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1969 dal pretore di Voltri nel procedimento civile vertente tra Erede Ugo e l'Ospedale Martinez di Pegli, iscritta al n. 4 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 dell'11 febbraio 1970.

Visti gli atti di costituzione di Erede Ugo e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1971 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Franco Agostini, per l'Erede, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Ugo Erede, premesso che dal 1926 aveva prestato la propria opera di consulente ostetrico ginecologo con funzione di primario presso l'ospedale Martinez di Pegli e che il 2 agosto 1968 era stato licenziato senza ricevere la comunicazione dei relativi motivi, conveniva, con citazione del 30 agosto 1968, l'ente davanti al pretore di Voltri e chiedeva che, ai sensi della legge 15 luglio 1966, n. 604, il licenziamento fosse dichiarato inefficace.

Durante il corso del giudizio, assumeva che codesto licenziamento immotivato fosse in realtà determinato da ragioni politiche e religiose, e chiedeva di provare ciò, eccependo preliminarmente l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, in relazione agli artt. 4, 2 e 5, della detta legge ed in violazione degli artt. 3, 4 e 35, comma primo, della Costituzione.

Nel contrasto delle parti, il pretore, con sentenza non definitiva del 3 dicembre 1969, accertava l'esistenza di un rapporto di impiego privato tra l'Erede e l'amministrazione ospedaliera. E con ordinanza di pari data dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la sollevata questione, disponendo la rimessione degli atti a questa Corte. Secondo il pretore, il giudizio in corso, infatti, non avrebbe potuto essere definito senza la preventiva soluzione del problema di legittimità costituzionale; e la norma denunciata, ammettendo nei riguardi dei prestatori di lavoro in essa specificati l'applicabilità dell'art. 4 e non anche degli artt. 2 e 5, limiterebbe, in violazione delle citate disposizioni della Costituzione, la possibilità del lavoratore ultrasessantacinquenne o pensionato di difendersi da un licenziamento per motivi politici, religiosi e sindacali, e qualora questi non fossero esplicitamente dichiarati dal datore di lavoro.

Davanti a questa Corte si costituiva l'Erede, che, a mezzo degli avvocati Franco Agostini e Giambattista Lazagna, con deduzioni depositate il 3 marzo 1970, chiedeva che le norme denunciate fossero dichiarate illegittime. E spiegava intervento, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, che, con atto depositato il 3 marzo 1970, concludeva, invece, per la non fondatezza della questione.

2. - L'Erede, a sostegno della sua richiesta, deduceva che, in forza dello specifico richiamo agli artt. 4 e 9 contenuto nell'art. 11 della legge n. 604 del 1966 e per esclusione, non sarebbero applicabili ai prestatori di lavoro aventi diritto alla pensione o ultrasessantacinquenni le disposizioni di cui agli artt. 2 e 5 della stessa legge, e che ciò comporterebbe una sperequazione anche in relazione all'ipotesi di cui al detto art. 4: "anche in questa ipotesi, infatti, le norme degli artt. 2 e 5 debbono considerarsi integrative dello stesso art. 4, quanto alla sua possibilità di effettiva realizzazione, in un contesto nel quale non può effettuarsi la estinzione voluta dal legislatore se non travolgendo lo stesso art. 4".

L'Avvocatura dello Stato, preliminarmente, avanzava dei dubbi sull'assolvimento da parte del giudice a quo dell'onere di motivazione circa la rilevanza. Mancando un'idonea motivazione, si ignora, ad esempio se l'attore fosse un pensionato o un ultrasessantacinquenne, se l'amministrazione convenuta impiegasse oltre 35 dipendenti, ed infine se il rapporto dedotto in giudizio potesse rientrare nella materia disciplinata dalla legge n. 604 del 1966 e cioè si trattasse di rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel quale la stabilità non fosse assicurata da norma di legge o di regolamento.

Si rimetteva, comunque, a questa Corte circa il notato difetto di motivazione.

Nel merito, l'Avvocatura, come si é detto, escludeva che potessero sussistere le dedotte violazioni dei principi costituzionali. A suo avviso, il giudice a quo avrebbe considerato su di un medesimo piano concettuale il regime probatorio attinente al licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo (artt. 1, 2, 5 e 8) e quello attinente al licenziamento determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, appartenenza ad un sindacato ovvero partecipazione ad attività sindacali. E tali regimi, invece, andavano tenuti distinti. perché in relazione al primo é il datore di lavoro tenuto a dimostrare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo, ed in relazione al secondo é il lavoratore che deve provare che il licenziamento é stato determinato da quelle ragioni, che ne comportano la nullità.

A quest'ultimo regime non sottostanno solo i pensionati e gli ultrasessantacinquenni, ma tutti i lavoratori. E per ciò é da escludersi che sussista, per quanto attiene alle prove, una limitazione dei diritti del lavoratore anziano rispetto agli altri lavoratori.

D'altra parte, non sembra che l'atto scritto richiesto per il licenziamento dei lavoratori non anziani dall'art. 2, possa di per sé costituire garanzia per il lavoratore. Anche quando, infatti, il licenziamento fosse motivato per iscritto (e fuori dei casi difficili a verificarsi in cui il datore di lavoro dovesse ammetterne la nullità, attraverso la dichiarazione dei motivi), l'onere probatorio circa i veri (ed illegittimi) motivi verrebbe sempre a gravare sul lavoratore (sia o non sia pensionato o ultrasessantacinquenne).

3. - All'udienza del 16 giugno 1971, l'avv. Agostini, per l'Erede, insisteva nelle precedenti richieste e ad integrazione delle ragioni già svolte, metteva in evidenza particolari e specifici profili della questione. Il sostituto avvocato generale dello Stato Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei ministri, contestava l'assunto della parte privata e si riportava alle conclusioni di cui all'atto di intervento.  

Considerato in diritto 

1. - Il pretore di Voltri, con l'ordinanza indicata in epigrafe, sottopone all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, in riferimento agli artt. 4, 2 e 5, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (contenente norme sui licenziamenti individuali), per contrasto con l'art. 3 e con gli artt. 4 e 35, comma primo, della Costituzione.

Posto che con il detto art. 11 il legislatore, "nei riguardi dei prestatori di lavoro che siano in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia o che abbiano comunque superato il 65 anno di età", dichiara applicabile la disposizione dell'art. 4 (secondo cui "il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato o dalla partecipazione ad attività sindacali é nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata") e non considera invece applicabili gli artt. 2 e 5 (secondo cui il licenziamento e l'indicazione dei relativi motivi, se richiesta, devono essere comunicati per iscritto, ed il datore di lavoro é tenuto a provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento), sarebbe di fatto limitata "la possibilità del lavoratore ultrasessantacinquenne o pensionato di difendersi da un licenziamento per motivi politici, religiosi e sindacali, se questi non siano esplicitamente dichiarati dal datore di lavoro".

Per ciò, il lavoratore anziano non troverebbe protezione contro il licenziamento per uno di questi motivi, e la limitazione violerebbe i citati artt. 3, 4 e 35, comma primo, della Costituzione che stabiliscono rispettivamente l'uguaglianza dei cittadini, la loro pari dignità sociale, senza distinzione particolarmente relativa alle condizioni sociali (tra le quali é l'età), e la tutela del diritto al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

2. - In base alle dirette risultanze dell'ordinanza di rimessione potrebbero prospettarsi dubbi in ordine all'assolvimento da parte del pretore dell'onere di motivazione circa il giudizio di rilevanza.

Ma, se si tiene conto anche e soprattutto del contenuto della sentenza non definitiva, emessa nello stesso giorno dell'ordinanza e da questa richiamata, emergono elementi sufficienti perché la Corte debba considerare rilevante la questione nei termini in cui é stata proposta.

Ricorre, infatti, la necessaria pregiudizialità in funzione della decisione nel merito, perché é pacifico tra le parti che il prestatore di lavoro fosse, al momento del licenziamento di età superiore ai 65 anni e non é oggetto di contestazione il numero dei dipendenti dell'ente e perché risulta dalla sentenza che tra le parti sussisteva un rapporto d'impiego privato.

3. - Secondo il pretore di Voltri sarebbe di fatto limitata la possibilità del lavoratore ultrasessantacinquenne o pensionato di difendersi da un licenziamento per motivi politici, religiosi e sindacali, e qualora i motivi del licenziamento non siano esplicitamente dichiarati dal datore di lavoro. In tal caso il lavoratore anziano verrebbe a trovarsi in una posizione diversa e meno favorevole di quella del lavoratore non anziano, perché essendo esclusa dall'art. 11 l'applicabilità nei suoi confronti degli artt. 2 e 5, non avrebbe diritto a ricevere per iscritto il licenziamento e l'indicazione dei relativi motivi e non potrebbe giovarsi del vantaggio connesso al fatto che l'onere della prova, circa la giusta causa o il giustificato motivo, gravi sul datore di lavoro.

La questione viene in tal modo prospettata con riferimento alla differente posizione del lavoratore anziano e di quello non anziano a proposito della distribuzione ed incidenza dell'onere della prova tra le parti, nell'ipotesi di licenziamento effettivamente posto in essere per uno dei motivi previsti dall'art. 4. Ed a rigore non tocca, se non in modo del tutto indiretto, la materia, di natura sostanziale, della licenziabilità ad nutum.

Alla Corte pare non dubbio che, nonostante la portata generale dell'art. 4, applicabile a tutti i lavoratori di cui alla legge n. 604 del 1966, e la costante incidenza sopra tali lavoratori dell'onere della prova nei giudizi di nullità dei licenziamenti determinati da motivi politici, religiosi e sindacali, il fatto che, di fronte ad un licenziamento del genere, il datore di lavoro sia esentato dall'obbligo di comunicare per iscritto il licenziamento e, se richiesto, i motivi, e soprattutto sia liberato dall'onere di provare la giusta causa ed il giustificato motivo, comporti per il lavoratore anziano una tutela sensibilmente inferiore a quella riconosciuta al lavoratore non anziano. L'avente diritto alla pensione di vecchiaia e l'ultrasessantacinquenne infatti non possono ottenere, e senza bisogno di assolvere sul punto alcun onere di carattere probatorio, che il licenziamento sia dichiarato inefficace (a seguito della mancata osservanza dell'art. 2 da parte del datore di lavoro) ovvero risulti operante sia pure con le conseguenze previste dall'art. 8 (ed ora possa essere annullato, a sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300) (a seguito della mancata prova della giusta causa o del giustificato motivo, e sempre da parte del datore di lavoro in base all'art. 5). E non rileva, dato che la norma é operativa nei confronti di tutti i lavoratori, che questi, anche se anziani, debbano provare che i licenziamenti che li riguardino, siano stati posti in essere per i motivi indicati nell'art. 4.

Esaminata, pertanto, la questione sotto il particolare profilo ora considerato, dall'inapplicabilità degli artt. 2 e 5, in forza dell'art. 11, ai lavoratori anziani, potrebbe dedursi l'esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento (in contrasto con l'art. 3 della Costituzione) e di una insufficiente tutela del diritto al lavoro (con la violazione degli artt. 4 e 35, comma primo, della Carta).

Ad avviso della Corte, però, non si prestano ad essere considerati sullo stesso piano i lavoratori che "siano in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia" e quelli che "abbiano comunque superato il 65 anno di età".

Nei riguardi dei lavoratori che si trovino nella prima delle due condizioni soggettive, a ben guardare, la previsione di un trattamento diverso da quello disposto per i lavoratori non anziani risponde a ragioni, le quali, anche se in astratto e in generale potrebbero essere ritenute non sufficienti, debbono dirsi concretamente coerenti ed adeguate. Tali lavoratori, infatti, si presuppone che abbiano diritto alla pensione di vecchiaia: e la loro licenziabilità (fuori delle ipotesi di cui all'articolo 4) non ha riscontro nell'eventualità che essi possano rimanere senza retribuzione e senza trattamento di quiescenza per vecchiaia. D'altra parte, in una società, come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottooccupazione, la mancata piena tutela del diritto al lavoro, per quei lavoratori, é il riflesso giuridico di una necessità pratica, autonomamente valutabile dal legislatore.

4. - Queste ragioni, invece, non valgono nei riguardi dei lavoratori che abbiano superato il 65 anno di età e non siano già pensionati o in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia: in tal caso risulta effettiva la violazione dell'art. 3 da parte della norma impugnata, nella quale inoltre non ricorre concretamente la tutela del diritto al lavoro nei modi e limiti costituzionalmente garantiti.

Per costoro in realtà la disparità di trattamento non appare razionalmente giustificata.

Non ricorrono specifiche e particolari ragioni perché a codesti lavoratori venga negato o non egualmente riconosciuto il diritto a determinate garanzie.

La semplice maggiore probabilità, che, in quanto anziani, i lavoratori non si trovino nelle migliori condizioni per il normale dispiegamento delle energie fisiche e psichiche in favore del datore di lavoro e che questo, correlativamente, attraverso la loro collaborazione, non consegua un regolare adempimento delle obbligazioni contrattuali e di legge o il normale apporto all'esercizio dell'impresa, non può essere assunta a valida e sufficiente condizione del trattamento differenziato. Al lavoratore, che presti la propria opera in favore del datore di lavoro o che sia inserito nella impresa di questo, non possono essere negate, e per il solo fatto dell'età, cautele e garanzie che sono informate al rispetto della personalità umana e costituiscono, altresì, indici del valore spettante al lavoro nella moderna società industriale. In particolare, ed a prescindere dal risultato (della non recedibilità ad nutum) al quale per tale via si dovesse pervenire, il licenziamento del lavoratore anziano non può non essere comunicato per iscritto in una all'indicazione dei motivi (se richiesta); e nel processo, se si pretende dal lavoratore che il licenziamento sia stato determinato da uno dei motivi di cui all'art. 4, non può non incombere sul datore di lavoro l'onere di fornire la prova contraria indiretta (e cioè che quel licenziamento in effetti é avvenuto per giusta causa o per giustificato motivo).

5. - Il riferimento che dal giudice a quo viene fatto agli artt. 4 e 35, comma primo, della Costituzione, non appare pertinente a proposito della seconda disposizione. Come la Corte ha avuto occasione di precisare (e da ultimo con sentenza n. 10 del 1970), infatti, il principio enunciato nel primo comma dell'art. 35 "si limita a stabilire il criterio generale ispiratore di tutte le disposizioni comprese nel titolo III".

Risulta invece la norma denunciata in contrasto con l'articolo 4 della Costituzione, ove si consideri - come pare alla Corte - che la tutela del diritto al lavoro sia strettamente connesso all'attuazione (in precedenza valutata) del principio di uguaglianza.

A ciò non é d'ostacolo l'interpretazione che dell'art. 4 si é data e secondo cui non é garantito a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un'occupazione così come non gli é garantito il diritto alla conservazione del lavoro (cfr. sent. n. 45 del 1965), perché, come la Corte ha precisato con la stessa pronuncia, là ove sono previsti i casi, i tempi ed i modi dei licenziamenti la disciplina, per essere conforme alla Costituzione, deve rispecchiare l'esigenza di un trattamento giuridico eguale per le situazioni eguali, e in relazione a queste può essere diversificato solo in presenza di giustificate ragioni.

Ora a proposito della norma denunciata, non appare rispettato il disposto dell'art. 4 nel senso ed entro i limiti in cui sussiste la rilevata violazione dell'art. 3.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma primo, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (contenente norme sui licenziamenti individuali), nella parte in cui esclude l'applicabilità degli artt. 2 e 5 della stessa legge nei riguardi dei prestatori di lavoro che, senza essere pensionati o in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia, abbiano superato il 65 anno di età.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1971.