Sentenza n. 166 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 166

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 137, terzo comma, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (leva e reclutamento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronautica), promosso con ordinanza emessa il 1 agosto 1969 dal pretore di Treviso nel procedimento penale a carico di Cavarretta Silvio, iscritta al n. 426 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 7 gennaio 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1971 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Cavarretta Silvio, il pretore di Treviso, con ordinanza emessa il 1 agosto 1969, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 25, comma secondo, della Costituzione, dell'art. 137, comma terzo, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, contenente norme sulla leva e sul reclutamento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronautica.

La norma impugnata concede al consiglio di leva la facoltà di annullare la dichiarazione di renitenza nei casi e nei limiti previsti dal regolamento: vale a dire - stando alla disciplina specificata dagli artt. 2074 e 2075 del r.d. 3 aprile 1942, n. 1133, tuttora vigente - secondo una propria valutazione discrezionale, che investirebbe per di più anche l'accertamento dell'elemento psicologico del reato e che sembrerebbe condizionata ad una istanza dell'interessato. Da qui l'accennato contrasto che l'ordinanza di rinvio prospetta, richiamandosi a precedenti pronunzie di questa Corte quali quelle n. 26 del 1966 e n. 109 del 1968, in relazione sia al principio costituzionale di eguaglianza per la possibilità di trattamento difforme di situazioni eguali, sia alla disposizione di cui al capoverso dell'art. 25 della Costituzione.

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo motiva che nell'ipotesi di una eventuale dichiarazione di incostituzionalità della normativa impugnata, venendo meno retroattivamente la potestà di annullamento della dichiarazione di renitenza già concretamente esercitata dall'Autorità amministrativa per un anteriore e distinto comportamento dello stesso imputato, quest'ultimo sarebbe chiamato a rispondere penalmente anche in relazione ad una precedente situazione di renitenza.

2. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con deduzioni depositate il 27 gennaio 1970, nelle quali sostiene anzitutto la ininfluenza per la fattispecie in esame della norma di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione che stabilirebbe soltanto il principio di irretroattività della legge penale. La questione sarebbe comunque non fondata, in quanto all'Autorità militare non sembrano essere stati concessi poteri più estesi di quelli che normalmente spettano agli organi di polizia in sede di denunzia concernente qualsiasi ipotesi di reato e che ovviamente implicano una preventiva valutazione - non vincolante per l'Autorità giudiziaria - del fatto criminoso nella sua integralità: essendo evidente che il potere-dovere di denunzia possa comportare, come avviene nel caso in esame, anche una facoltà di riesame. Né il problema di legittimità costituzionale presenterebbe un migliore fondamento se considerato rispetto all'art. 3, posto che tutte le persone dichiarate renitenti sono egualmente ammesse a presentare domanda per ottenere l'annullamento di quella dichiarazione e disparità di trattamento può sorgere unicamente in conseguenza della inerzia degli interessati.

Le conclusioni dell'Avvocatura dello Stato sono, pertanto, nel senso della infondatezza della questione proposta.

3. - All'udienza pubblica l'Avvocatura generale dello Stato ha confermato le proprie tesi e conclusioni.  

Considerato in diritto 

Come ricordato nella esposizione dei fatti, la questione sollevata dal pretore di Treviso ha per oggetto la disposizione del terzo comma dell'art. 137 del t.u. n. 237 del 1964 sul reclutamento e la leva, che attribuisce ai consigli di leva la facoltà di annullare "nei casi e nei limiti previsti dal regolamento", la dichiarazione di renitenza adottata nei confronti di coloro che non si siano presentati per l'esame e la visita nel giorno prescritto: dichiarazione che, a norma del successivo quarto comma, condiziona la denuncia dei renitenti alla Autorità giudiziaria, e a sua volta condiziona il promuovimento dell'azione penale. Poiché la legge rinvia al regolamento e questo, negli artt. 1074, lett. c, e 1075, rimetterebbe, secondo l'assunto, alla discrezionalità del consiglio di leva l'esercizio di detta facoltà, la disposizione del terzo comma dell'art. 137 contrasterebbe ad un tempo con gli artt. 25, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.

La questione non é fondata.

Sotto il primo profilo, é agevole osservare che il principio di legalità in materia di reati e di pene, enunciato insieme con quello di irretroattività dal secondo comma dell'art. 25 della Costituzione, é invocato fuori proposito. Ed invero, come la dichiarazione di renitenza e la conseguente denuncia all'Autorità giudiziaria non rientrano nella fattispecie del reato, compiutamente delineata in tutti i suoi elementi costitutivi nell'art. 135 della legge, così, all'inverso e per logica conseguenza, l'annullamento di quella dichiarazione non incide comunque sulla fattispecie stessa.

Nemmeno sussiste il denunciato contrasto con il principio di eguaglianza. Deve tenersi presente al riguardo che, a norma del ricordato art. 135, ad aversi delitto di renitenza non é sufficiente il mero fatto omissivo della mancata presentazione, richiedendosi altresì l'assenza di un "legittimo motivo" di impedimento. É perciò che il quarto comma dell'art. 137 prescrive l'obbligo della denuncia non già nei confronti di coloro che, non essendosi presentati, siano stati per ciò solo e prima facie dichiarati renitenti, ma bensì ed esclusivamente di coloro per i quali non sia posteriormente intervenuto l'annullamento di tale dichiarazione: che é quanto dire, dunque, nei confronti di coloro la mancata presentazione dei quali non sia giustificata da un legittimo motivo, poiché soltanto in questa ipotesi il consiglio di leva si trova in presenza di un fatto suscettibile di costituire reato e di essere pertanto penalmente perseguito.

Si comprende allora come la cosiddetta "nota di renitenza" possa e debba essere "cancellata" (annullata o revocata), ogni qual volta un legittimo motivo venga poi invocato e comprovato dai chiamati presentatisi tardivamente ovvero fermati e tradotti, o venga comunque a risultare dagli accertamenti disposti d'ufficio dal consiglio di leva a seguito della mancata tempestiva presentazione.

Alla stregua di quanto sin qui detto, la norma denunciata acquista il suo proprio significato: essa non conferisce ai consigli di leva una generica e indiscriminata facoltà di annullare la dichiarazione di renitenza frattanto provvisoriamente adottata, ma al contrario ne subordina l'esercizio alla circostanza dell'essersi accertato un legittimo motivo di impedimento. E, nella impossibilità di elencare una esaustiva casistica, l'art. 1074 del regolamento, cui la legge rinvia, nella lett. c segna un limite preciso all'apprezzamento dei consigli di leva, specificando che solo quando "si possa escludere interamente il dolo o il proposito deliberato di sottrarsi agli obblighi di leva", le ragioni addotte dagli interessati o risultanti dagli atti sono suscettibili di integrare il "legittimo motivo" di cui all'art. 135 della legge e dar luogo perciò all'annullamento o revoca della dichiarazione di renitenza.

Rettamente interpretata, dunque, la norma non determina di per sé disparità di trattamento, poiché tutti i chiamati non presentatisi alla data stabilita sono egualmente posti in grado di giustificarsi, evitando così di essere sottoposti a procedimento penale. E quanto all'ipotesi, astrattamente prospettata dall'ordinanza, di dichiarazione di renitenza tenuta ferma malgrado la sussistenza di legittimi motivi che avrebbero dovuto portare invece ad annullarla, che é poi la sola ipotesi in cui un cattivo uso del potere inciderebbe sfavorevolmente su diritti ed interessi individuali, il rimedio sta nel controllo pieno sul fatto contestato a titolo di reato, spettante all'Autorità giudiziaria: i cui poteri di cognizione permangono - ovviamente - integri sotto ogni aspetto, dopo che il presidente del consiglio di leva abbia provveduto alla denuncia. Tanto più che, come espressamente dispone l'art. 139, primo comma, della legge, il proscioglimento in giudizio equivale a tutti gli effetti, compresi quelli della esenzione o dispensa dal servizio di ferma, all'annullamento amministrativo della dichiarazione di renitenza.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 137, terzo comma, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, sul reclutamento e la leva, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal pretore di Treviso con l'ordinanza in epigrafe.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1971.