Sentenza n. 159 del 1971
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SENTENZA N. 159

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 305 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 299 dello stesso codice, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 ottobre 1969 dalla Corte d'appello di Potenza nel procedimento civile vertente tra De Cillis Francesco ed Errico Giovanni ed altri, iscritta al n. 462 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 28 gennaio 1970;

2) ordinanza emessa il 27 gennaio 1970 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Moschella Giulia Fausta e Fubelli Alessandro, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1970.

Udito nella camera di consiglio del 19 maggio 1971 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.  

Ritenuto in fatto 

1. - Avverso la sentenza del 20 aprile 1966 del tribunale di Melfi con cui erano state accolte parzialmente le domande proposte da Giovanni Errico contro Francesco De Cillis e nei confronti di Margherita Araneo e di Enrico Errico che avevano spiegato intervento a sostegno delle richieste dell'attore, proponeva impugnazione il De Cillis, con atto dell'8 luglio 1966, davanti alla Corte d'appello di Potenza.

All'udienza di comparizione si costituivano tutte le parti ad esclusione della Araneo.

All'udienza del 25 giugno 1968, costituitasi volontariamente, Maria Errico, quale erede della Araneo, premesso che questa era morta il 25 agosto 1966, chiedeva che fosse dichiarata l'estinzione del processo, non essendo stato lo stesso riassunto dall'appellante nei confronti degli eredi di essa Araneo nel termine di mesi sei dall'indicata data del 25 agosto 1966, e cioè dal momento in cui del processo si era verificata l'automatica interruzione.

Con ricorso del 9 dicembre 1968 il procuratore dell'appellante chiedeva la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio. Il decreto, con il ricorso, veniva notificato al procuratore delle parti già costituite ed agli altri eredi della de cuius.

All'udienza del 28 gennaio 1969, presenti solo le parti già costituite, Maria Errico insisteva nella precedente richiesta mentre il De Cillis vi si opponeva, eccependo l'illegittimità costituzionale del disposto degli artt. 299 e 305 del codice di procedura civile, per violazione dell'art. 24 della Costituzione.

La Corte d'appello di Potenza, con ordinanza dell'8 ottobre 1969, riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione.

Premesso che, se una delle parti muore dopo la notificazione dell'atto di citazione o di impugnazione e prima della data di costituzione in giudizio, si verifica con effetto immediato ed automatico l'interruzione del processo (art. 299 c.p.c.) e che, per il caso di mancata prosecuzione o riassunzione nel termine di sei mesi dalla data in cui si é verificato l'evento interruttivo (e non dalla notizia - a mezzo di dichiarazione o notificazione - che di detto evento abbia avuto la parte) é comminata l'estinzione del processo (art. 305 dello stesso codice), la Corte di appello si poneva il quesito se questa ultima norma fosse aderente allo spirito informatore del dettato costituzionale che garantisce e vuole inviolabile in ogni stato e grado del processo la difesa in contraddittorio del cittadino.

A suo avviso, la "difesa" del precetto costituzionale non é solo possibilità di essere presenti nel giudizio o addirittura di avvalersi dell'assistenza e rappresentanza del difensore, ma altresì "diritto di conoscere, anche al di là del momento iniziale del processo, le varie situazioni del processo medesimo, specie in quanto la legge vi ricolleghi oneri e preclusioni tali da incidere sul concreto esercizio del diritto di difesa" ed in particolare, "quelle situazioni da cui scaturiscono oneri come quello della tempestiva riassunzione del processo interrotto".

Per altro, nell'art. 24 trova la sua base costituzionale il principio del contraddittorio, e per questo ha riscontro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di eguaglianza.

Stante ciò, il giudice a quo concludeva per la non manifesta infondatezza della questione.

Davanti a questa Corte, non si costituiva nessuna delle parti e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

2. - Avverso la sentenza del tribunale di Roma, del 24 gennaio 1966, con cui veniva dichiarata la separazione personale dei coniugi Giovanni Bonomini e Giulia Fausta Moschella per colpa di entrambi, proponeva appello con atto del 14 dicembre 1966 la Moschella chiedendo che la separazione fosse pronunziata per colpa esclusiva del marito. Costituitasi l'appellante, alla prima udienza del 23 gennaio 1967 compariva il procuratore del Bonomini nel giudizio di primo grado, il quale dichiarava che il suo cliente era deceduto il 9 agosto 1966 (e cioè prima della notificazione dell'atto di appello).

Dopo che l'istruttore aveva dichiarato interrotto il processo e l'appellante aveva provveduto alla riassunzione, sulle contrarie conclusioni delle parti che rispettivamente chiedevano l'annullamento della sentenza di primo grado e la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, e la dichiarazione di estinzione del processo e in subordine quella di improcedibilità dell'appello per cessazione della materia del contendere, la causa passava in decisione.

La Corte d'appello di Roma, sulla questione preliminare relativa all'estinzione del procedimento, riteneva che a seguito della morte del Bonomini (9 agosto 1966) il processo era rimasto interrotto per non essere stato proseguito o riassunto entro il termine utile per la costituzione delle parti nel giudizio di appello e che a sensi dell'art. 305 avrebbe dovuto essere dichiarato estinto (in accoglimento dell'eccezione sollevata dalla parte interessata). Sennonché, prescindendo il decorso del termine perentorio dall'accertamento dell'effettiva conoscenza della vicenda interruttiva da parte dell'interessato, si doveva rilevare che l'art. 305 c.p.c., nelle ipotesi di cui all'art. 299, alla stregua delle considerazioni fatte da questa Corte, "viola non solo e non tanto il diritto (strumentale) di difesa, ma vulnera in radice il potere (primario) del cittadino di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi".

E pertanto con ordinanza del 27 gennaio 1970 sollevava la stessa questione come sopra prospettata dalla Corte d'appello di Potenza.

Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Considerato in diritto 

1. - In relazione a due specie che non erano identiche (dato che per una di esse - quella considerata dalla Corte d'appello di Roma - la morte della parte era intervenuta prima della notificazione dell'atto di appello), ma che sono state ricondotte, nelle due ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, alla previsione di cui all'art. 299 del codice di procedura civile, é stata sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 305 dello stesso codice nella parte in cui la norma, nelle ipotesi di morte o di perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o di cessazione di tale rappresentanza, e qualora l'evento interruttivo si verifichi prima della costituzione in cancelleria o all'udienza davanti al giudice istruttore, fa decorrere il termine perentorio, per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto, dal momento dell'interruzione e non dalla data in cui la parte interessata alla prosecuzione o alla riassunzione ne abbia avuto conoscenza.

2. - La questione - dalla cui unicità deriva che i due giudizi debbano essere riuniti e decisi con una sola sentenza - appare fondata.

Questa Corte, con la sentenza n. 139 del 1967, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del detto art. 305, perché la norma denunciata faceva decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la prosecuzione e per la riassunzione dello stesso anche nei casi regolati dal precedente art. 301.

Ora, con le sopraddette ordinanze, é prospettata una nuova violazione dell'art. 24 della Costituzione: in particolare, il vizio dell'art. 305 é visto là ove la norma dispone circa la decorrenza del termine nelle ipotesi di interruzione del processo di cui all'art. 299.

Questo articolo stabilisce che "se prima della costituzione in cancelleria o all'udienza davanti al giudice istruttore, sopravviene la morte oppure la perdita della capacita di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, il processo é interrotto, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l'altra parte provveda a citarli in riassunzione, osservati i termini di cui all'articolo 163 bis".

L'interruzione in queste ipotesi interviene automaticamente, sempre che la costituzione volontaria o la citazione in riassunzione non abbiano tempestivamente luogo, e nel momento in cui si verifica il singolo evento interruttivo.

L'art. 299 non costituisce oggetto di denuncia. E giustamente, almeno in riferimento all'art. 24 della Costituzione, perché l'interruzione é comminata proprio per assicurare alla parte o ai di lei eredi la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi e l'effettivo esercizio del diritto di difesa.

La denuncia riguarda, invece, come si é detto, l'art. 305 in relazione all'art. 299.

Nell'ipotesi di morte della parte (prima della costituzione) - ed il discorso vale con i necessari adattamenti per le rimanenti ipotesi - l'estinzione del processo può essere impedita mediante la prosecuzione o riassunzione dello stesso. Si presuppone, così, che l'evento interruttivo sia tempestivamente conosciuto dagli eredi della parte deceduta o dalla controparte e che quindi gli uni o l'altra siano in condizione di attendere con diligenza alla tutela dei rispettivi diritti ed interessi.

Qualora, però, i detti soggetti, in fatto, non vengano tempestivamente a conoscenza di quell'evento, nulla gli stessi possono fare per impedire il prodursi dell'effetto estintivo.

La loro posizione é da accostare a quella delle parti del processo interrotto a sensi dell'art. 301 del codice di procedura civile o delle parti del processo sospeso per una delle cause previste dall'art. 297, comma primo, dello stesso codice.

E come in quelle due altre ipotesi, valutate da questa Corte con la citata sentenza n. 139 del 1967 e con la sentenza n. 34 del 1970, é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma denunciata (e cioè rispettivamente dell'art. 305 e dell'art. 297, comma primo), così nell'ipotesi in esame si deve pervenire alla stessa pronuncia.

3. - L'illegittimità costituzionale dell'art. 305, in relazione all'art. 299, risiede in ciò che il termine stabilito per la prosecuzione o riassunzione del processo viene fatto decorrere dalla data dell'evento interruttivo anziché da quella in cui dell'evento stesso abbia avuto conoscenza la parte interessata.

Con tale disposizione non risultano garantite la tutela giurisdizionale e la difesa in ogni stato e grado del procedimento.

Gli eredi della parte deceduta ad es., che non sappiano della morte del loro dante causa, non sono infatti posti in grado di far valere in giudizio le loro pretese.

Il contraddittorio, inoltre, non si può regolarmente instaurare e mantenere.

Il diritto di difesa non viene assicurato in modo effettivo ed adeguato ed indipendentemente dal fatto che la parte voglia valersene. In particolare, non é garantito in relazione alla vicenda interruttiva, perché l'interruzione é ordinata in maniera produttiva di possibili svantaggi ad alcuna delle parti e segnatamente nelle fasi di impugnazione.

E in presenza di un termine legale di deliberazione, la norma in esame non dà al soggetto la possibilità di utilizzare per intero il tempo da essa assegnato.

Ricorrono, per ciò, valide ragioni perché la questione come sopra sollevata debba essere dichiarata fondata.

4. - Considerato, infine, che il processo é parimenti interrotto al momento dell'evento se la parte é costituita personalmente (art. 300, comma terzo, del codice di procedura civile), e che anche in tal caso il termine per la prosecuzione o riassunzione del processo interrotto decorre, a sensi dell'art. 305, dall'interruzione e non dalla data in cui dell'evento interruttivo la parte interessata abbia conoscenza, la Corte ritiene che di questa norma, ed in relazione al citato art. 300, comma terzo, debba dichiararsi l'illegittimità costituzionale in forza del disposto di cui all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 del codice di procedura civile nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto a sensi dell'art. 299 dello stesso codice decorre dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza.

In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara inoltre l'illegittimità costituzionale del detto art. 305 nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto a sensi del precedente art. 300, comma terzo, decorre dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza.  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1971.