Sentenza n. 145 del 1971
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SENTENZA N. 145

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 3 settembre 1969 dal giudice istruttore del tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di Ardito Antonina ed altri, iscritta al n. 378 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso del procedimento penale contro Ardito Antonina, Mistretta Girolamo e La Rocca Giacomo, imputati di concorso nel delitto di cui agli artt. 56, 110 e 640 del codice penale per avere tentato di indurre in errore l'INAIL per procurare un ingiusto profitto all'Ardito, simulando le circostanze di un infortunio agricolo, al fine di conseguire l'indennizzo dal predetto Istituto, il giudice istruttore presso il tribunale di Trapani con ordinanza del 3 settembre 1969, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (legge delegata) contenente il testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, in relazione all'art. 30 della legge delegante 19 gennaio 1963, n. 15, ed in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

Secondo l'ordinanza, nel fatto attribuito agli imputati sarebbe ravvisabile, non già il reato di tentata truffa, ma quello previsto dall'art. 18 del d.l.l. 23 agosto 1917, n. 1450, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, che puniva con le penalità comminate per il reato di truffa il lavoratore che simulava l'infortunio o ne aggravava dolosamente le conseguenze, e che deve intendersi abrogato, non essendo stato riprodotto nel suindicato d.P.R. n. 1124 del 1965, che ha raccolto in testo unico tutte le disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Siffatta abrogazione supererebbe i limiti della delega contenuta nell'art. 30 della legge n. 15 del 1963, atteso che da questa non si desumerebbe alcun criterio che possa interpretarsi in maniera tanto lata da far ritenere che il legislatore delegante abbia autorizzato un trattamento più benevolo all'assicurato fraudolento.

Nel presente giudizio, vi é stato soltanto l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

L'Avvocatura generale dello Stato riconosce che il t.u. del 1965 non ha riprodotto la norma di cui all'art. 18 del d.l.l. n. 1450 del 1917, né ha comunque previsto autonomamente il reato di simulazione di infortunio agricolo, ed ammette quindi la abrogazione tacita rilevata dall'ordinanza di rimessione; ma ritiene che non vi sia stato eccesso di delega attesa la formula dell'art. 30 della legge delegante n. 15 del 1963.  

Considerato in diritto 

1. - Secondo l'ordinanza di rimessione, il Governo - delegato dall'art. 30 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, a riunire in un testo unico le norme relative all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali - avrebbe violato i principi informatori della delega, omettendo di riportare, nel d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124,1'art. 18 del d.l.l. 23 agosto 1917, n. 1450, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, che dispone che il lavoratore agricolo, il quale abbia simulato l'infortunio o ne abbia dolosamente aggravato le conseguenze, perde il diritto ad ogni indennizzo ed é sottoposto alle penalità comminate dagli artt. 413 e 414 del codice penale allora vigente.

Siffatta omissione, che determina sostanzialmente l'abrogazione della norma, appare vantaggiosa per l'assicurato simulatore, dal momento che sopprime una autonoma figura di reato, assimilabile alla truffa soltanto quoad poenam e non abbisognevole quindi dei requisiti propri di tale delitto. Il legislatore delegato avrebbe pertanto violato l'art. 76 della Costituzione per inosservanza dei principi e criteri direttivi della delega contenuta nell'art. 30, atteso che da questa non si desumerebbe alcun criterio che possa interpretarsi in maniera tanto lata da far ritenere che il legislatore delegante abbia autorizzato un trattamento più benevolo all'assicurato fraudolento.

2. - La questione é infondata.

Ragioni di coordinamento fra le varie norme di legge relative all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sia dei lavoratori in agricoltura sia di quelli dell'industria, e necessità di semplicità e speditezza nelle procedure giustificano pienamente la soppressione dell'art. 18; per altro autorizzata dalla delega contenuta nell'art. 30 della legge n. 15 del 1963, la quale prevede che il Governo possa "stabilire modifiche, correzioni, ampliamenti, ed, ove occorra, soppressioni delle norme vigenti". Ed invero, siffatta soppressione é valsa ad eliminare molte questioni, che erano sorte in merito alla autonomia del reato ipotizzato in detto articolo ed in merito alla integrazione con le norme del codice penale, specialmente dopo l'entrata in vigore di quello del 1930, che aveva ulteriormente disciplinato il reato di simulazione di infortunio rispetto al codice precedente; ed era soprattutto richiesta dalla necessità di coordinamento delle norme vigenti per i lavoratori in agricoltura con quelle dei lavoratori dell'industria.

Infatti, l'art. 46 della legge n. 1765 del 1935 dispone che l'assicurato simulatore di infortunio "perde il diritto ad ogni prestazione, ferme rimanendo le pene stabilite dalla legge", afferma cioè il principio del rinvio al codice penale qualora il fatto costituisca reato. Ed a tale principio, per gli infortuni nell'industria, si é attenuto il legislatore delegato, riproducendo la norma contenuta in detto articolo, nell'art. 65 del d.P.R. n. 1124 del 1965.

Non sussistendo alcun plausibile motivo di mantenere per gli infortuni in agricoltura una autonoma figura di reato, per punire violazioni aventi le medesime caratteristiche, non é stato riprodotto nello stesso decreto presidenziale l'art. 18 di cui si discute, raggiungendosi così l'intento di realizzare una unica disciplina.

Né varrebbe il rilievo che l'art. 46 della legge n. 1765 del 1935 non é stato riprodotto anche per gli infortuni in agricoltura, in quanto per il rinvio alle norme del codice penale era, sostanzialmente, superflua la specificazione fatta dall'art. 65 del decreto presidenziale sopraindicato.

Non sussiste, pertanto, la denunziata violazione dell'articolo 76 della Costituzione.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione ohbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata dall'ordinanza 3 settembre 1969 del giudice istruttore del tribunale di Trapani in riferimento all'art. 76 della Costituzione ed in relazione all'art. 30 della legge delegante 19 gennaio 1963, n. 15.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 30 giugno 1971.