Sentenza n. 144 del 1971
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SENTENZA N. 144

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 45, primo comma, del r.d. 18 giugno 1931, n. 914 (testo unico delle disposizioni legislative riguardanti il Corpo equipaggi marittimi e lo stato giuridico dei sottufficiali della marina), e dell'art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626 (che estende il nuovo regime delle pensioni ai militari dell'esercito e della marina), promosso con ordinanza emessa il 2 ottobre 1968 dalla Corte dei conti - sezione IV giurisdizionale ordinaria - sul ricorso di Giudice Alfredo, iscritta al n. 262 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969.

Visto l'atto di costituzione di Giudice Alfredo;

udito nell'udienza pubblica del 22 aprile 1970 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

udito l'avv. Mario Barra Caracciolo, per il Giudice.  

Ritenuto in fatto 

Il sottufficiale della marina Giudice Alfredo, il 28 novembre 1947, dopo quindici anni, otto mesi e diciassette giorni di servizio, veniva collocato in congedo perché rimosso dal grado per essere stato condannato dal tribunale militare di Taranto alla pena di tre anni e cinque mesi di reclusione, nonché alla pena accessoria della rimozione dal grado.

Dopo il rigetto da parte del Ministero difesa marina di due istanze dirette ad ottenere la pensione, il Giudice adiva la Corte dei conti e, tra l'altro, proponeva questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, di quelle norme per effetto delle quali, all'epoca della cessazione del suo rapporto di impiego, i sottufficiali di marina rimossi dal grado avevano diritto alla pensione solo se avessero compiuto diciannove anni, sei mesi ed un giorno di effettivo servizio - valevoli per anni venti - mentre gli ufficiali rimossi dal grado, se avevano compiuto quattordici anni, sei mesi ed un giorno, valevoli per quindici anni di servizio, avevano diritto alla pensione nella misura ridotta di 3/4.

Poiché il Giudice era stato rimosso dal grado a seguito di condanna per malversazione in danno di militari, fattispecie rientrante fra le ipotesi previste dall'art. 3 del r.d.l. 3 giugno 1938, n. 1032, secondo il quale la perdita del diritto a pensione conseguiva de jure alla condanna penale, la Corte dei conti riteneva che ogni decisione sulla rilevanza della suesposta questione si sarebbe dovuta adottare solo dopo che la Corte costituzionale si fosse pronunziata sulla legittimità costituzionale dell'art. 183 del t.u. 21 febbraio 1895, n. 70, cosi come modificato dal citato art. 3 del r.d.l. n. 1032 del 1938.

Con sentenza del 3 luglio 1967, n. 78, questa Corte dichiarava viziato di illegittimità costituzionale l'art. 183, come sostituito dall'art. 3 sopraindicato.

Riassunto il giudizio, avanti alla Corte dei conti, il Giudice insisteva nella proposta questione di legittimità costituzionale, e sollevava altresì, in subordine, nel caso di fondatezza della questione, anche quella dell'art. 12, comma ultimo, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626, assumendo che la riduzione della pensione a 3/4 in tal comma sancita, ed abolita soltanto per effetto della legge 8 giugno 1966, n. 424, contrasterebbe con l'art. 36 della Costituzione, il quale, in via di principio, assicura al lavoratore il compenso dovuto in corrispettivo del cessato rapporto di impiego.

La Corte dei conti, ritenuta la fondatezza della questione e la rilevanza di essa per la definizione del giudizio principale, con ordinanza del 2 ottobre 1968, ha denunciato:

a) l'art. 45, primo comma, del t.u. approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 914, in relazione all'art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626, ed in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

b) lo stesso art. 12, terzo comma, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, in subordine alla riconosciuta illegittimità dell'art. 45 sopraindicato.

L'ordinanza pone in rilievo che, mentre l'art. 12 del r.d. n. 1626 del 1920 estende la riduzione da 20 a 15 anni di servizio per il riconoscimento del diritto a pensione agli ufficiali dispensati dal servizio di autorità o rimossi dal grado o cessati comunque dal servizio per effetto di condanna che non implichi perdita del diritto stesso, l'art. 45 del t.u. del 1931, nel regolare tale diritto per i sottufficiali di marina, prescinde da questa particolare previsione dei 15 anni, creando pertanto una disparità di trattamento fra ufficiali e sottufficiali che si trovino nelle stesse condizioni. Il trattamento deteriore praticato ai sottufficiali sarebbe contrario al principio di eguaglianza fra cittadini, ovvia essendo la identità delle situazioni obbiettive e subbiettive (rimozione dal grado per motivi disciplinari o cessazione, comunque, dal servizio per effetto di condanna penale) e non essendovi alcuna ragione che possa giustificare la norma più rigorosa valevole per gli inferiori in grado.

Nell'ipotesi, poi, considerata dall'art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 192O, n. 1626, la riduzione della pensione a tre quarti sarebbe contraria al principio risultante dall'art. 36 della Costituzione, che garantisce al prestatore d'opera una retribuzione - nel corso del rapporto di lavoro o differita alla cessazione del medesimo - proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato. La riduzione é stata abolita dalla legge 8 giugno 1966, n. 424, ma questa legge dispone che i trattamenti già perduti, ridotti o sospesi, sono ripristinati integralmente a decorrere dal giorno successivo alla entrata in vigore della legge stessa, e cioè a partire dal 6 luglio 1966. E poiché nel giudizio principale, nel quale sono state sollevate le suesposte questioni, si controverte anche di diritti maturati anteriormente a tale data, le questioni stesse conservano la loro rilevanza, nonostante l'abrogazione delle disposizioni denunziate.

Nel giudizio innanzi questa Corte si é costituito soltanto il Giudice, ribadendo, sostanzialmente, le argomentazioni addotte dall'ordinanza di rimessione.  

Considerato in diritto 

L'ordinanza di rimessione ritiene che la norma impugnata violi il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione in quanto, per i sottufficiali dell'esercito e della marina rimossi, destituiti o che cessino dal servizio per condanna fa, in materia di pensione, un trattamento differenziato e non giustificato rispetto agli ufficiali che si trovino nelle medesime condizioni: i primi hanno diritto a pensione soltanto se hanno compiuto venti anni di servizio (19 anni, 6 mesi ed un giorno) mentre per gli ufficiali sono sufficienti quindici anni (14 anni, 6 mesi ed un giorno).

La questione é fondata.

Secondo il t.u. sulle pensioni civili e militari approvato con r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, e successive modificazioni, sia gli ufficiali che i sottufficiali dell'esercito e della marina che, dopo 20 anni di servizio, cessavano dal servizio a loro domanda, o di autorità, o per disposizioni di legge, avevano diritto a pensione.

Il limite di 20 anni di servizio fu ridotto a 15 in caso di cessazione per riforma: per gli ufficiali con l'art. 12 del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626; per i sottufficiali dell'esercito con l'art. 23 del r.d.l. 16 ottobre 1919, n. 1986; per i sottufficiali di marina con l'art. 53 del r.d. 20 ottobre 1919, n. 1988, riprodotto poi nell'art. 55 del t.u. 21 novembre 1924, n. 1525, e nell'art. 45, secondo comma, del t.u. 18 giugno 1931, n. 914.

L'art. 12 del sopraindicato r.d. n. 1626 del 1920, che estendeva il nuovo regime delle pensioni ai militari dell'esercito e della marina, non si limitò a ridurre il limite di 20 anni a 15 di servizio per gli ufficiali che cessavano dal servizio per riforma, ma aggiunse che tale riduzione del periodo minimo di anni per conseguire il diritto a pensione si estendeva "agli ufficiali dispensati dal servizio di autorità". E stabiliva, inoltre, al terzo comma, che "gli ufficiali eliminati dai ruoli, rimossi, destituiti, o che cessino dal servizio per effetto di condanna, che non importi la perdita del diritto a pensione, hanno diritto ai tre quarti dell'assegno temporaneo o vitalizio spettante ai riformati".

Le disposizioni del secondo e del terzo comma del sopraindicato art. 12, non furono estese ai sottufficiali né dallo stesso decreto né da altre leggi successive, perché, anzi, il t.u. 18 giugno 1931, n. 914, nel regolare il diritto a pensione dei sottufficiali di marina contiene un generico rinvio alle disposizioni che regolano il diritto dei sottufficiali, e cioè all'art. 53 del t.u. approvato con r.d. 21 agosto 1925, n. 1525: il quale stabilisce che il trattamento di pensione normale spetta ai sottufficiali che, dopo venti anni di servizio, cessino dal servizio sia in seguito a domanda, sia di autorità o per prescrizione di legge secondo le norme del t.u. sulle pensioni civili e militari, approvato con r.d. 21 febbraio 1895, n. 70.

In atto é in vigore la legge 8 giugno 1966, n. 424, che ha abrogato le disposizioni che prevedono - a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare - la perdita, la riduzione o la sospensione del diritto dei dipendenti dello Stato al conseguimento ed al godimento della pensione: tuttavia permane la disparità di trattamento fra gli ufficiali ed i sottufficiali rispetto al minimo degli anni di servizio occorrenti per conseguire il diritto alla pensione: 15 anni per i primi e 20 per i secondi.

Non si può addurre alcuna giustificazione per il trattamento differenziato in materia di pensione, fatto tra persone appartenenti alle stesse Forze Armate e che hanno analoghi doveri e si trovano in analoghe condizioni, non avendo la differenza di grado alcuna rilevanza rispetto agli anni di servizio necessari per conseguire il diritto a pensione; onde sussiste la violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

É invece infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626, sollevata dalla stessa ordinanza in riferimento all'articolo 36 della Costituzione. Infatti, disponendo per gli ufficiali eliminati dai ruoli, rimossi, destituiti o condannati, la riduzione a tre quarti dell'assegno temporaneo o vitalizio spettante ai riformati, il legislatore ha tenuto conto non solo della riduzione degli anni ma anche dei motivi per i quali il servizio é cessato con i relativi riflessi sul rendimento; e conseguentemente ha ritenuto che non fosse rispondente a giustizia concedere ai suddetti ufficiali la pensione nella misura spettante a quelli che lasciavano il servizio per motivi di salute. E la Corte ritiene che non contraddica al principio costituzionale della proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato il determinare l'importo della pensione in misura diversa da quella normale quanto sussistono altri elementi razionali di valutazione e giustificati motivi.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 45, primo comma, del testo unico approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 914, nella parte in cui per i sottufficiali dell'esercito e della marina, non dispone lo stesso trattamento pensionistico regolato, per gli ufficiali, dal secondo e dal terzo comma dell'art. 12 del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626 (che estende il nuovo regime delle pensioni ai militari dell'esercito e della marina), sollevata in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dall'ordinanza del 2 ottobre 1968 della Corte dei conti.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 30 giugno 1971.