Sentenza n. 143 del 1971
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SENTENZA N. 143

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, contenente provvedimenti per la tutela e lo sviluppo dei luoghi di cura, di soggiorno o di turismo (convertito nella legge 1 luglio 1926, n. 1380), promosso con ordinanza emessa il 23 aprile 1969 dal tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Comelato Dino e l'Azienda autonoma di soggiorno e turismo di Venezia, iscritta al n. 350 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 269 del 22 ottobre 1969.

Visti gli atti di costituzione di Comelato Dino e dell'Azienda di soggiorno e turismo di Venezia e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

uditi l'avv. Leopoldo Ermetes, per il Comelato, l'avv. Feliciano Benvenuti, per l'Azienda di soggiorno e turismo di Venezia, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 

Con decreto 5 novembre 1968 il Presidente del tribunale di Venezia ingiungeva a Comelato Dino di pagare all'Azienda autonoma di soggiorno di Venezia una determinata somma a titolo di "speciali contribuzioni" dovute ai sensi dell'art 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765 e degli artt. 20 e 21 del successivo regolamento approvato con r.d. 12 agosto 1927, n. 1615.

Avverso tale decreto proponeva opposizione il Comelato sollevando, tra l'altro, eccezione di illegittimità costituzionale del citato art. 15, in riferimento all'art. 23 della Costituzione rilevando che nella impugnata norma, istitutiva di una speciale contribuzione a favore delle stazioni di soggiorno, cura e turismo, non sarebbero stati precisati né i criteri di esercizio del potere discrezionale delle Aziende di soggiorno nella determinazione della prestazione obbligatoria, né i soggetti passivi della stessa, elementi questi che venivano entrambi indicati nel successivo provvedimento di natura amministrativa quale é appunto il regolamento contenuto nel r.d. n. 1615 del 1927.

L'eccezione di incostituzionalità veniva accolta dal tribunale che con ordinanza 23 aprile 1969 rimetteva gli atti a questa Corte.

Si afferma nell'ordinanza che i criteri di determinazione oggettiva e soggettiva dello speciale contributo istituito con l'art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, sono contenuti negli artt. 20 e 21 del regolamento approvato con r.d. 12 agosto 1927, n. 1615, ed é pertanto evidente la violazione dell'art. 23 della Costituzione, che riserva alla legge tale materia.

Nessun dubbio può esservi - ad avviso del tribunale - sulla natura amministrativa del citato regolamento sia perché come "regolamento di esecuzione" esso é definito dalla legge 1 luglio 1926 (che convertì in legge il r.d.l. n. 765 del 1926), sia perché il procedimento proprio dei regolamenti fu seguito per la sua formazione ed emanazione e carattere prevalentemente di esecuzione in senso proprio hanno le sue norme.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti il Comelato Dino, con deposito di deduzioni in cancelleria in data 28 agosto 1969 e l'Azienda autonoma soggiorno e turismo di Venezia, con deduzioni depositate il 3 settembre 1969.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito del proprio atto in data 24 luglio 1969.

Nelle proprie deduzioni la difesa del Comelato Dino sostiene l'incostituzionalità, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, della speciale contribuzione istituita dall'art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, osservando che nella norma impugnata non é indicata la misura, neppure quella massima, del contributo, che l'esecutivo può quindi fissare a suo piacimento; non sono sufficientemente specificati i soggetti passivi tenuti al pagamento del contributo; non sono infine dettate regole idonee a delimitare il potere discrezionale dell'esecutivo, che viene cosi lasciato libero di applicare e riscuotere il contributo nella misura e nel modo che crede.

Il denunciato vizio di incostituzionalità non può ritenersi sanato per effetto delle disposizioni contenute nel r.d. 12 agosto 1927, n. 1615, poiché questo atto é un semplice regolamento di esecuzione e non una legge delegata.

In via pregiudiziale la difesa dell'Azienda soggiorno e turismo di Venezia chiede che gli atti siano restituiti al tribunale per un nuovo giudizio in punto di rilevanza della proposta questione.

Osserva al riguardo che l'art. 15 del r.d. 15 aprile 1926, n. 765, impugnato risulta sostituito prima con l'articolo unico del r.d.l. 12 luglio 1934, n. 1398 (convertito nella legge 18 aprile 1935, n. 785) e, poi, con l'art. 10 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, concernente il decentramento dei servizi del Ministero dell'interno.

Nel merito la difesa dell'Azienda osserva che anche a prescindere da ogni questione sulla natura legislativa o amministrativa del r.d. 12 agosto 1927, n. 1615, le "speciali contribuzioni" istituite ai sensi dell'art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, trovano il loro fondamento, quanto all'oggetto e ai soggetti, in disposizioni preesistenti di indubbia natura legislativa. Queste speciali contribuzioni infatti si riallacciano e richiamano le normali contribuzioni previste dai rr.dd. 30 dicembre 1923, n. 3276, e 2 ottobre 1924, n. 1589, con i quali furono istituiti diritti erariali sugli introiti lordi degli spettacoli e trattenimenti dati al pubblico. Va conseguentemente disattesa l'osservazione del tribunale secondo la quale vaga e generica sarebbe la determinazione dei soggetti passivi dei contributi in esame poiché é evidente che "coloro che si giovano nelle stazioni di soggiorno, cura e turismo degli svaghi e trattenimenti in esse organizzati" sono necessariamente coloro stessi che sono obbligati al versamento dei diritti erariali di cui ai ricordati regi decreti.

Quel che semmai resterebbe non disciplinato per legge sarebbe il limite di queste speciali contribuzioni ma la riserva di legge contenuta nell'art. 23 della Costituzione non esige che tutti gli elementi e i presupposti della prestazione trovino nella legge la loro determinazione. Ben possono alcuni elementi essere successivamente determinati dall'autorità amministrativa mediante un atto di natura generale, quale é il regolamento, il quale opera come ulteriore limite rispetto al potere discrezionale dell'ente impositore.

Il r.d. n. 1615 del 1927 avrebbe appunto completata la disciplina del tributo di cui trattasi fissandone la misura massima e rinviando, per il procedimento di riscossione, ai decreti n. 3276 del 1923 e n. 1589 del 1924.

A parte queste considerazioni, la difesa dell'Azienda turismo di Venezia sostiene che al r.d. n. 1615 del 1927 deve essere riconosciuta natura di legge delegata. Esso infatti risulta emanato ai sensi dell'art. 15 del r.d.l. n. 765 del 1926 che configura lo schema di delegazione ipotizzato dall'art. 3, n. 1 della legge 31 gennaio 1926, n. 100.

Nel proprio atto di intervento l'Avvocatura dello Stato sostiene preliminarmente l'inammissibilità per difetto di rilevanza della questione proposta. Nota al riguardo che la norma impugnata dal tribunale di Venezia (art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765) non é più in vigore in quanto tale perché in buona parte sostituita dall'art. 10 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, il quale ha natura di decreto legislativo essendo stato emesso in virtù della delega contenuta nelle leggi 11 marzo 1953, n. 150 e 18 giugno 1954, n. 343.

La modifica apportata alla disposizione impugnata non é soltanto di carattere formale. Il primo comma dell'art. 15 del r.d.l. n. 765 del 1926, che demandava l'autorizzazione alla imposizione del contributo al Ministro dell'interno, di concerto col Ministro per le finanze, udito il Consiglio centrale, é stato interamente sostituito dal testo dell'art. 10 del citato d.P.R. n. 968 del 1954 il quale ha eliminato l'intervento del Consiglio centrale e ha demandato al Prefetto e all'Intendente di finanza il Potere di autorizzare l'imposizione.

Della norma impugnata resta quindi in vigore il solo comma secondo il quale dispone: "Le norme per l'applicazione e la riscossione di tali entrate saranno stabilite col regolamento di cui all'art. 25".

Il tribunale non ha tenuto conto dell'intervenuta modifica e ha denunciato un testo legislativo non più in vigore dal 23 ottobre 1954 (data di entrata in vigore del d.P.R. n. 968 del 1954) serbando il più assoluto silenzio sull'applicabilità della vecchia o della nuova normativa alla fattispecie sottoposta al suo esame.

In subordine, nel caso volesse ritenersi che l'ordinanza denunci soprattutto il secondo comma dell'art. 15, il cui testo é rimasto immutato, l'Avvocatura sostiene che la questione deve essere dichiarata non fondata. Il principio della riserva di legge posto dall'art. 23 della Costituzione, come ha costantemente insegnato la Corte, esige che nella legge siano indicati criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore, ma non vuole che nella legge sia altresì predeterminata l'aliquota massima del tributo (sentenze 30 e 47 del 1957).

L'art. 15 impugnato, dopo aver individuata la identità della prestazione e i soggetti passivi, ha demandato al Governo di stabilire con regolamento le norme di applicazione e riscossione di tali entrate. Con gli artt. 20 e 21 del regolamento approvato con r.d. 12 agosto 1927, n. 1615, si determina espressamente la misura della "contribuzione". Può conseguentemente affermarsi che l'ente impositore non ha alcuna discrezionalità nella determinazione del "quantum" del contributo il quale - come si evince dalla correlazione degli artt. 15 e 12 del citato r.d.l. - é dovuto solo quando i proventi dell'imposta e del contributo speciale di cura siano insufficienti al raggiungimento dei fini istituzionali dell'Azienda.

In conclusione é da ritenere che, relativamente agli spettacoli per i quali il contributo é ancora applicabile, la legge, collegando il presupposto ed i soggetti passivi del contributo stesso agli svaghi e divertimenti sottoposti ai diritti erariali e demandando all'esclusiva competenza di organi statali (Prefetto e Intendente) il potere di autorizzare l'imposizione, contiene una sufficiente oggettivazione della ipotesi di applicabilità del contributo, tale da far ritenere pienamente rispettato il precetto dell'art. 23 della Costituzione.

Considerato in diritto 

1. - La difesa dell'Azienda di soggiorno e turismo di Venezia e l'Avvocatura dello Stato hanno preliminarmente osservato che il primo comma della norma impugnata (art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765) non é più in vigore in quanto tale perché in parte modificato dall'art. 10 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, emanato in virtù della delega di cui alle leggi 11 marzo 1953, n. 150, e 18 giugno 1954, n. 343. Il tribunale di Venezia non avrebbe tenuto conto della intervenuta modifica di tal che sarebbe pregiudizialmente necessario, secondo la difesa dell'Azienda, disporre la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo giudizio di rilevanza, ovvero dovrebbe essere dichiarata, secondo l'Avvocatura, l'inammissibilità della questione proposta per mancanza del requisito della rilevanza.

La Corte ritiene di dover respingere tali eccezioni preliminari. Dal testo dell'ordinanza può chiaramente inferirsi - contrariamente a quanto affermato - che al tribunale é ben nota la modifica subita dal testo del primo comma dell'art. 15 del r.d.l. n. 765 del 1926 ad opera dell'art. 10 del d.P.R. n. 968 del 1954. É vero che quest'articolo non risulta espressamente indicato, ma é del pari innegabile che il suo testo figura letteralmente riprodotto nella ordinanza nella quale é dato appunto leggere la locuzione "coloro che si giovano, nelle stazioni di soggiorno, di cura e turismo, degli svaghi e trattenimenti in essi organizzati" che é stata adottata dall'articolo in questione.

La modificazione subita dall'art. 15 del r.d.l. n. 765 del 1926 riguarda la competenza ad autorizzare l'applicazione e riscossione delle speciali contribuzioni a favore delle stazioni di cura, soggiorno e turismo. In attuazione del decentramento dei servizi del Ministero dell'interno, disposto col citato d.P.R. n. 968 del 1954, si é stabilito di trasferire la competenza di cui trattasi, prima spettante al Ministero dell'interno di concerto col Ministero delle finanze, al Prefetto, su conforme parere dell'Intendente di finanza. Questa é la sola modifica subita dall'articolo in questione che é rimasto invece invariato nella parte in relazione alla quale é stata proposta la questione di costituzionalità.

2. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe viene sollevata, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, convertito nella legge 1 luglio 1926, n. 1380. Secondo il tribunale la norma impugnata, istitutiva di "speciali contribuzioni" a carico di coloro che nelle stazioni di cura, soggiorno e turismo si giovano degli svaghi in esse organizzati, sarebbe in contrasto col principio della riserva della legge enunciato nel citato precetto costituzionale avendo demandato (articolo 15, comma secondo) la specificazione dei criteri di determinazione soggettiva ed oggettiva dello speciale contributo ad un provvedimento amministrativo quale appunto é il r.d. 12 agosto 1927, n. 1615, con il quale venne approvato il regolamento di esecuzione della legge cui appartiene la norma denunciata. Solo gli artt. 20 e 21 del citato regolamento avrebbero infatti provveduto alla precisa individuazione dei soggetti passivi e all'ammontare dei contributi da essi dovuti.

3. - Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale il giudice a quo muove evidentemente dal presupposto che se la Corte la ritenesse fondata le disposizioni degli artt. 20 e 21 del regolamento n. 1615 del 1927 - emanate in base all'autorizzazione contenuta nel secondo comma della disposizione legislativa impugnata - non potrebbero ricevere applicazione.

La questione, al pari di altre analoghe precedentemente decise (sentenze 73 del 1968, 117 del 1969 e 67 del 1970), é inammissibile per difetto assoluto di rilevanza perché l'eventuale dichiarazione d'illegittimità costituzionale della norma denunciata non produrrebbe gli effetti in considerazione dei quali la questione appare proposta.

Anche nel caso in esame tanto la legge autorizzante, quanto il regolamento sono di data anteriore all'entrata in vigore della Costituzione e perciò quand'anche la Corte, in accoglimento dell'eccezione formulata, ritenesse incostituzionale l'art. 15 del r.d.l. n. 765 del 1926, per aver demandato ad un atto amministrativo i criteri di determinazione oggettiva e soggettiva di una prestazione patrimoniale in violazione del principio sancito dall'art. 23 della Costituzione, gli effetti di tale pronuncia d'incostituzionalità sopravvenuta potrebbero prodursi solo su atti che in virtù della stessa norma autorizzativa fossero stati emanati in epoca posteriore all'entrata in vigore della Costituzione. Nessuna incidenza avrebbe invece la dichiarazione d'incostituzionalità sulla validità di atti che - come il regolamento del 1927 - sono stati emessi in data anteriore a quella in cui la legge che ne autorizzava l'emanazione é divenuta incompatibile con i precetti della nuova Costituzione.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 del r.d.l. 15 aprile 1926, n. 765, contenente provvedimenti per la tutela e lo sviluppo dei luoghi di cura, di soggiorno o di turismo (convertito nella legge 1 luglio 1926, n. 1380), sollevata, con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 23 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 giugno 1971.