Sentenza n. 135 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 135

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:

a) degli artt. 60, primo e secondo comma, 61, primo comma, 62, primo e terzo comma, 63, primo comma, e 65 della legge 10 agosto 1950, n. 648, recante norme sul "Riordinamento delle disposizioni sulle pensioni di guerra";

b) degli artt. 48, primo, secondo e terzo comma, 49 primo e secondo comma, 50, primo, terzo e sesto comma, 51, primo comma, 55 e 59, quarto comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313, recante norme sul "Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra";

c) degli artt. 12 e 18 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, recante "Nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato";

d) dell'art. 40, secondo comma, della legge 11 aprile 1955, n. 379, recante norme sui "Miglioramenti dei trattamenti di quiescenza e modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro", modificato dall'art. 27, primo comma, della legge 26 luglio 1965, n. 965, e dall'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85;

promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 aprile 1969 dalla Corte dei conti - sez. 5a giurisdizionale per le pensioni di guerra - sul ricorso di Mastrocola Maria Domenica, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970;

2) ordinanza emessa il 25 novembre 1969 dalla Corte dei conti - sez. 3a giurisdizionale per le pensioni civili - sul ricorso di Raneri Gaetano, iscritta al n. 36 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970;

3) ordinanza emessa il 21 gennaio 1969 dalla Corte dei conti - sez. 3a giurisdizionale per le pensioni civili - sul ricorso di De Flora Antonietta, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 20 maggio 1970;

4) ordinanza emessa il 25 giugno 1970 dalla Corte dei conti - sez. 3a giurisdizionale per le pensioni civili - sul ricorso di Caserta Agatina, iscritta al n. 373 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 del 10 febbraio 1971.

Visti gli atti di costituzione di Mastrocola Maria Domenica e di Raneri Gaetano;

udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1971 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito l'avv. Silvio Paolucci, per la Mastrocola.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con due decreti del 28 maggio 1956 il Ministero del tesoro respingeva perché prodotta fuori termine la domanda di pensione di guerra di Maria Domenica Mastrocola, quale orfana dei genitori, deceduti il 2 febbraio 1944 per asserito evento bellico.

Con altri due decreti del 12 aprile 1963 lo stesso Ministero respingeva nuovamente la detta domanda, perché l'istante, divenuta maggiorenne, aveva avanzato la richiesta senza essere inabile a proficuo lavoro e nubile.

Nel giudizio instaurato davanti alla Corte dei conti dall'interessata, il Procuratore generale concludeva per l'accoglimento dei ricorsi con la dichiarazione del diritto alla pensione di guerra fino alla data del matrimonio.

La Corte dei conti, sez. 5a giurisdizionale per le pensioni di guerra, dopo avere richiamato le disposizioni della legge 10 agosto 1950, n. 648, e della legge 18 marzo 1968, n. 313 (entrata in vigore nelle more del giudizio), che considerano legittimate a conseguire la pensione di guerra ovvero a concorrere a determinare l'integrazione della pensione spettante al genitore superstite, le figlie dei militari morti per causa del servizio di guerra e dei civili deceduti per fatto bellico, solo se nubili, e rilevato che le stesse disposizioni non richiedono invece per i figli la condizione del celibato, con ordinanza del 26 aprile 1969 sollevava la questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, commi primo e secondo, 61, comma primo, 62, commi primo e secondo (recte: terzo), 63, comma primo, e 65 della legge n. 648 del 1950, e degli artt. 48, commi primo, secondo e terzo, 49, commi primo e secondo, 50, commi primo, terzo e sesto, 51, comma primo, 55, comma primo (recte: unico), e 59, comma quarto, della legge n. 313 del 1968, limitatamente alla parte in cui escludono dal diritto alla pensione di guerra le figlie non nubili, in riferimento all'art. 3, comma primo, della Costituzione.

La questione era considerata rilevante, perché dalla dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni denunciate in parte qua sarebbe potuto derivare per la ricorrente il conseguimento della pensione a vita e non soltanto fino alla data del contratto matrimonio.

Ed appariva non manifestamente infondata, perché la discriminazione non era giustificata da diversità obiettiva delle rispettive situazioni ed era basata esclusivamente sull'appartenenza del soggetto all'uno o all'altro sesso. Secondo la Corte dei conti, l'obbligo di mantenere i figli, infatti, grava sull'uomo e sulla donna coniugati ed in proporzione delle rispettive sostanze; e quello gravante sopra ciascuno dei coniugi nei confronti dell'altro coniuge diviene di solito attuale proprio quando il marito é inabile a proficuo lavoro e quindi in condizioni di conseguire la pensione, quale orfano di guerra, anche dopo raggiunta la maggiore età.

Davanti a questa Corte si costituiva la Mastrocola, e per essa il tutore provvisorio Dante Seccia, il quale con le deduzioni e la memoria, chiedeva che la questione fosse dichiarata fondata. Non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. All'udienza del 21 aprile 1971 l'avv. Silvio Paolucci, per la parte costituita, insisteva nelle precedenti conclusioni.

2. - Con istanza del 22 dicembre 1958 Gaetano Raneri, quale orfano maggiorenne inabile del dott. Francesco Raneri, magistrato deceduto in quiescenza il 30 ottobre 1907, chiedeva al Ministero di grazia e giustizia la riversibilità della pensione a suo tempo goduta dal padre. La domanda veniva respinta sotto il profilo che il richiedente non era inabile al lavoro al momento della morte del padre né a quello del raggiungimento della maggiore età come prescritto dagli artt. 12 e 13 della legge 15 febbraio 1958, n. 46. Il Raneri proponeva ricorso alla Corte dei conti ed essendo stata accertata in sede istruttoria la sua inabilità alla data di entrata in vigore della legge (1 gennaio 1958), eccepiva l'illegittimità costituzionale della norma (art. 18) secondo cui le orfane nubili maggiorenni hanno titolo alla pensione di riversibilità a condizione che l'inabilità sussistesse al 1 gennaio 1958, e analogo beneficio non é dato agli orfani.

La Corte dei conti, sez. 3a giurisdizionale per le pensioni civili, con ordinanza del 25 novembre 1969, considerava rilevante e non manifestamente infondata la questione. A questo ultimo riguardo, osservava che la previsione, sia pure transitoria, del beneficio soltanto per le orfane, dà luogo ad una disparità di trattamento tra orfani di sesso diverso che non può trovare giustificazione nelle diversità fisico - biologiche ed appare fondata esclusivamente sulla diversità di sesso, dato che la generica attitudine o inabilità al lavoro é indipendente dal sesso, ed é quindi contrastante con l'art. 3 della Costituzione.

Davanti a questa Corte si costituiva il Raneri il quale, con le deduzioni, concludeva per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione denunciata. Non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - Antonietta De Flora, vedova Testa, premesso che quale sorella di Angiolina De Flora, già insegnante elementare deceduta il 19 aprile 1957, aveva chiesto alla Direzione provinciale del tesoro di Salerno la pensione di riversibilità e che la domanda era stata respinta sotto il profilo che non sussisteva la condizione della convivenza della richiedente a carico della dante causa, proponeva ricorso avverso il relativo decreto.

La Corte dei conti, sez. 3, giurisdizionale per le pensioni civili, con ordinanza del 21 gennaio 1969, in contrasto con le richieste del Procuratore generale, per il quale non era necessario che la convivenza si fosse protratta per oltre un quinquennio antecedentemente alla morte della dante causa riteneva di dover confermare il proprio indirizzo giurisprudenziale secondo cui per la concessione della pensione alle collaterali si richiede anche la condizione dello stato nubile o di quello vedovile con almeno cinque anni di convivenza a carico dell'impiegato (o pensionato) statale dopo la morte del marito. E posto che codesta condizione é prevista dall'art. 12, comma secondo, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (di cui la giurisprudenza necessariamente ha dovuto tener conto nel determinare il proprio indirizzo), per detta norma sollevava la questione di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, non sembrando ad essa Corte conforme al principio della parità tra i due sessi la distinzione che il legislatore pone tra i soggetti di sesso diverso, quando limita il beneficio pensionistico alle sole orfane nubili ed a queste equipara soltanto le vedove che risultino conviventi a carico del dipendente civile di ruolo o del pensionato da almeno cinque anni dopo la morte del marito, mentre nessuna limitazione e nessuna esclusione prevede nei confronti dell'orfano di sesso maschile coniugato. Ora, se la pensione ha una funzione di rimedio economico nei confronti dell'orfano di sesso maschile coniugato che comunque sia stato a carico del dipendente statale (o pensionato) e si trovi in condizioni di inabilità fisica e di nullatenenza, non si vede - secondo la Corte dei conti - perché la stessa ratio non possa operare nei confronti dell'orfana che, se pur coniugata, versi nelle identiche condizioni, e come possa essere giustificata la limitazione del beneficio pensionistico alle sole orfane nubili o vedove conviventi con il genitore per almeno un quinquennio dopo la morte del marito.

Davanti a questa Corte la De Flora non si costituiva, e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

4. - Agatina Caserta nata Grasso, orfana maggiorenne di Francesca Santoro vedova Grasso, ex dipendente del Comune di Laureana, chiedeva al Ministero del tesoro, Direzione generale degli Istituti di previdenza, la riversibilità della pensione fruita dalla madre. L'istanza veniva respinta nella considerazione che la richiedente non si trovava, alla data di morte della dante causa, nelle condizioni di stato nubile o vedovile richieste dall'art. 40, comma secondo, della legge 11 aprile 1955, n. 379. Proponeva allora ricorso alla Corte dei conti l'interessata, sostenendo che pur essendo essa coniugata, doveva essere equiparata, ai fini della concessione della pensione, alle orfane vedove, in quanto il di lei marito, emigrato all'estero fin dal 19 maggio 1930, non aveva più dato notizie di sé.

La Corte dei conti, sez. 3a giurisdizionale per le pensioni civili, riteneva di potersi e doversi porre preliminarmente il quesito circa la legittimità costituzionale del detto comma secondo dell'art. 40 della citata legge n. 379 del 1955 (modificato, per ciò che concerne la data a cui é da riferire l'accertamento dei requisiti della invalidità e della nullatenenza, dall'art. 27, comma primo, della legge 26 luglio 1965, n. 965, e dall'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85); e della norma così modificata sollevava questione di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Osservava la Corte che, ponendo la detta norma come condizione per il diritto a pensione dell'orfana che la medesima sia nubile o vedova, si instaura una discriminazione nei riguardi delle orfane (coniugate) e non anche degli orfani, per i quali la citata disposizione non richiede la condizione di celibato o di vedovanza, pur a parità, per le une e per gli altri, dei requisiti di convivenza a carico del dante causa, di inabilità permanente a qualsiasi lavoro e di nullatenenza. E tale disparità di trattamento, basata esclusivamente sull'appartenenza del soggetto all'uno o all'altro sesso, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Nessuna delle parti si costituiva e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Considerato in diritto 

1. - Con le quattro ordinanze indicate in epigrafe, la Corte dei conti denunzia, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, le norme di cui agli artt. 60, commi primo e secondo, 61, comma primo, 62, commi primo e secondo (recte: terzo), 63, comma primo, e 65 della legge 10 agosto 1950, n. 648, e agli artt. 48, commi primo, secondo e terzo, 49, commi primo e secondo, 50, commi primo, terzo e sesto, 51, comma primo, 55, comma primo (recte: unico), e 59, comma quarto, della legge 18 marzo 1968, n. 313; le norme di cui agli artt. 12, comma secondo, e 18 della legge 15 febbraio 1958, n. 46; ed infine, le norme di cui all'art. 40, comma secondo, della legge 11 aprile 1955, n. 379 (modificato dall'art. 27, comma primo, della legge 26 luglio 1965, n. 965, e dall'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85).

Le norme denunziate concernono il diritto a pensione (di guerra, ordinaria a carico dello Stato, e a carico degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) di determinate categorie di soggetti, e tra le stesse operano distinzioni sulla base del sesso.

Avendo per ciò, identico o analogo oggetto, i giudizi, che dalle quattro ordinanze sono derivati, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Relativamente alla prima denunzia, che si riferisce alla legislazione pensionistica di guerra, é dato preliminarmente di osservare che le questioni, per una parte, sono carenti di rilevanza.

La Corte dei conti prospetta il dubbio di legittimità costituzionale a proposito delle norme che riguardano specificamente il diritto a pensione dei figli di militari e civili deceduti per fatti di guerra, e che, direttamente o meno, sono applicabili alla specie considerata, al caso cioè di un'orfana di genitori deceduti per asserito evento bellico.

Ma sottopone anche all'esame di questa Corte, altre norme che prevedono la maggiorazione o l'integrazione della pensione vedovile in caso di coesistenza di figli (artt. 60, commi primo e secondo, e 61, comma primo, della citata legge n. 648 del 1950 e artt. 48, commi primo, secondo e terzo, e 49, commi primo e secondo, della citata legge n. 313 del 1968) o dettano il trattamento dovuto alle vedove ed agli orfani di invalidi deceduti per cause diverse dall'invalidità di guerra (art. 59, comma quarto, della citata legge n. 313 del 1968).

Ora, la risoluzione delle questioni relative a questo secondo gruppo di norme appare ictu oculi non pregiudiziale per la decisione del merito: e per tanto non può non constatarsene l'evidente mancanza di rilevanza.

3. - In base al disposto degli artt. 62, commi primo e terzo, e 63, comma primo, della legge n. 648 del 1950 e degli artt. 50, commi primo, terzo e sesto, e 51, comma primo, della legge n. 313 del 1968, il diritto alla pensione di guerra é riconosciuto ai figli e alle figlie minorenni di genitori morti per causa del servizio di guerra o attinente alla guerra, o deceduti per dati fatti di guerra, qualora, in caso di morte del padre, siano altresì privi della madre o questa, per qualunque motivo, non possa conseguire la pensione o la perda per passaggio a nuove nozze, ovvero venga a mancare dopo la morte del marito, e qualora, in caso di morte della madre, siano altresì privi del padre o questo, essendo comunque inabile a qualsiasi proficuo lavoro e trovandosi in date condizioni economiche, non possa, per qualunque motivo, conseguire la pensione o la perda; e a detti figli minori sono equiparati gli orfani maggiorenni iscritti ad Università e ad Istituti superiori, per tutta la durata del corso legale degli studi, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età.

Hanno diritto alla detta pensione anche i figli e le figlie maggiorenni divenuti comunque inabili a qualsiasi proficuo lavoro prima di avere raggiunto la maggiore età o prima della data di cessazione del diritto a pensione da parte del genitore.

Le norme sopra richiamate richiedono che le figlie, minorenni o maggiorenni, siano nubili.

Analogamente agli artt. 65 della legge n. 648 del 1950 e 55 della legge n. 313 del 1968 dispongono che la pensione si perde dagli orfani che raggiungono il ventunesimo anno di età, salvo quanto previsto per gli orfani studenti universitari e per i casi di inabilità a lavoro; e solo dalle orfane, anche di età minore, che contraggono matrimonio.

Codesta disciplina mette in evidenza che le condizioni necessarie per l'acquisto e la conservazione del diritto alla pensione di guerra sono sostanzialmente eguali per tutti gli orfani, ma che per quelli di sesso femminile é richiesta inoltre la condizione di nubile.

Si ha perciò per le orfane non nubili un trattamento giuridico diverso da quello riservato agli orfani non celibi.

Le condizioni richieste dalla legge per l'acquisto e la conservazione della pensione e comuni a tutti gli orfani, non é pensabile che si possano atteggiare diversamente a seconda del sesso del singolo avente diritto.

D'altronde é innegabile che dette condizioni possono indifferentemente concorrere sia nei confronti dell'orfano che dell'orfana, ancorché essi abbiano contratto matrimonio. In particolare, ciò é dato notare a proposito dello stato di bisogno, connaturale alla portata assistenziale o alimentare della pensione, e che in concreto può sussistere qualunque sia, in relazione al matrimonio, la posizione del soggetto legittimato.

Nella previsione delle norme impugnate non é possibile perciò scorgere alcuna razionale giustificazione del trattamento differenziato nei confronti delle orfane non nubili. Di tal che appare fondata la questione come sopra sollevata, e ne discende la illegittimità costituzionale delle ripetute norme nella parte in cui, sull'esclusiva base dell'appartenenza del soggetto legittimato all'uno o all'altro sesso, dispongono l'esclusione del diritto a pensione per la figlia non nubile e non anche per il figlio non celibe.

4. - Alla stessa conclusione e sulla base delle medesime considerazioni é consentito di pervenire a proposito dell'art. 40, comma secondo, della citata legge n. 379 del 1955, modificato nei sensi sopra specificati.

Agli orfani minorenni dei dipendenti degli enti locali iscritti alle relative casse per le pensioni sono equiparati, ai fini del trattamento di quiescenza "gli orfani maggiorenni e le orfane nubili o vedove maggiorenni", i quali alla data di morte dell'iscritto siano a di lui carico, inabili permanentemente a qualsiasi lavoro e nullatenenti.

Anche in questa particolare ipotesi, le condizioni essenziali (vivenza a carico, inabilità permanente e nullatenenza) sono comuni a tutti gli orfani. Eppure viene operata l'anzidetta discriminazione che non é giusticabile con la differenza di sesso: anche le orfane coniugate come gli orfani coniugati possono infatti trovarsi identicamente in quelle condizioni.

Ne discende l'evidente violazione del principio di eguaglianza, perché a situazioni eguali e senza che ricorra una razionale giustificazione della diversità, non corrisponde trattamento giuridico uniforme. E deve pertanto dichiararsi la illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui riconosce il diritto a pensione al soggetto di sesso femminile solo se in stato di nubilato o di vedovanza.

5. - Risulta ancora fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma secondo, della citata legge n. 46 del 1958, applicabile, per il giudice a quo, anche al caso in cui, in mancanza di altri aventi diritto, la pensione spetta alle sorelle e ai fratelli inabili permanentemente a qualsiasi proficuo lavoro conviventi a carico dell'impiegato.

La norma denunciata richiede inoltre per i figli e per le figlie nubili la nullatenenza e per le figlie vedove la convivenza a carico da almeno cinque anni dopo la morte del marito. Di modo che solo per le figlie devono ricorrere particolari condizioni e requisiti (condizione di nubile o di vedova, e per le vedove una qualificata convivenza).

Tale trattamento differenziato riposa esclusivamente sulla diversità di sesso e pertanto dà vita ad una evidente violazione dell'art. 3 della Costituzione, che va rimossa con la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui limita il beneficio pensionistico alle "nubili" o "vedove... che risultino conviventi a carico del dipendente civile di ruolo o del pensionato da almeno cinque anni dopo la morte del marito".

6. - Ricorre infine la denunciata disparità di trattamento, in violazione del principio di eguaglianza, a proposito dell'art. 18 della citata legge n. 46 del 1958.

Trattasi di una norma di favore dettata per i figli dell'impiegato o del pensionato deceduto prima del 1 gennaio 1958, data di entrata in vigore della legge. Di regola, in base agli artt. 12 e 13 della stessa legge, le condizioni per la concessione della pensione e quindi anche quella dell'inabilità al lavoro proficuo e della nullatenenza debbono sussistere al momento del decesso del dipendente o del pensionato. Con il detto art. 18, invece, si considera sufficiente che l'inabilità e la nullatenenza sussistano alla data del 1 gennaio 1958; ma questa disciplina transitoria é limitata agli orfani di sesso femminile non coniugati.

Ora siffatto trattamento non ha riscontro in situazioni o posizioni differenti: é di tutta evidenza che l'inabilità a proficuo lavoro e la nullatenenza sono situazioni di fatto indipendenti in modo assoluto dal sesso, e non sono ravvisabili ragioni peculiari e diverse che abbiano potuto indurre il legislatore a dover considerare tali inabilità e nullatenenza, alla data del 1 gennaio 1958, come condizioni necessarie e sufficienti per l'acquisto del diritto per le donne e non anche per gli uomini. La discriminazione appare quindi operata solo in dipendenza della diversità di sesso.

La norma per ciò, in quanto in contrasto con il principio di eguaglianza, va dichiarata illegittima costituzionalmente nella parte in cui, nel concorso di tutte le altre condizioni, non concede il diritto a pensione anche ai figli maschi non coniugati che alla data anzidetta risultino inabili al lavoro proficuo e siano nullatenenti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

a) dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, commi primo e secondo, e 61, comma primo, della legge 10 agosto 1950, n. 648, sul riordinamento delle disposizioni sulle pensioni di guerra, e degli artt. 48, commi primo, secondo e terzo, 49, commi primo e secondo, e 59, comma quarto, della legge 18 marzo 1968, n. 313, sul riordinamento della legislazione pensionistica di guerra, sollevata con l'ordinanza del 26 aprile 1969 dalla Corte dei conti in riferimento all'art. 3, comma primo, della Costituzione;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale:

1) degli artt. 62, commi primo e terzo, e 63, comma primo, della citata legge 10 agosto 1950, n. 648, degli artt. 50, commi primo, terzo e sesto, e 51, comma primo, della citata legge 18 marzo 1968, n. 313, e dell'art. 12, comma secondo, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (contenente nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato) nella parte in cui dispongono che le orfane hanno diritto alla pensione solo se nubili;

2) degli artt. 65 della citata legge 10 agosto 1950, n. 648, e 55 della citata legge 18 marzo 1968, n. 313, nella parte in cui dispongono che la pensione si perde dalle figlie o che le stesse decadono dal diritto quando contraggono matrimonio;

3) dell'art. 40, comma secondo, della legge 11 aprile 1955, n. 379 - modificato dall'art. 27 della legge 26 luglio 1965, n. 965, e dall'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85 - (contenente miglioramenti dei trattamenti di quiescenza e modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), nella parte in cui ammette al trattamento di quiescenza le orfane solo se nubili o vedove;

4) dell'art. 18 della citata legge 15 febbraio 1958, n. 46, nella parte in cui, nel concorso di tutte le altre condizioni, esclude dal diritto a pensione i figli maschi celibi che alla data del 1 gennaio 1958 siano inabili al lavoro proficuo e siano nullatenenti.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 giugno 1971.