Sentenza n. 110 del 1971
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SENTENZA N. 110

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 5 aprile 1961, n. 322 (misura delle compartecipazioni alle pene pecuniarie per gli scopritori delle frodi nella preparazione e commercio dei prodotti agrari e delle sostanze di uso agrario), e dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1963, n. 441, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 maggio 1969 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Liore Guglielmo e Menegazzi Attilio, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 26 novembre 1969;

2) ordinanza emessa il 10 dicembre 1969 dal pretore di Campobasso nel procedimento penale a carico di Tamburro Aldo, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1971 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso del procedimento penale a carico di Liore Guglielmo e Menegazzi Attilio, imputati del reato di cui agli artt. 5, ultimo comma, e 8 della legge 13 novembre 1960, n. 1407 (commercio di olio di oliva in luogo di olio vergine) il pretore di Torino con ordinanza del 26 maggio 1969 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 5 aprile 1961, n. 322, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione.

La norma impugnata stabilisce che "metà dell'importo delle pene pecuniarie, pagate in applicazione delle disposizioni di legge riguardanti la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, sarà diviso in parti eguali fra gli agenti e funzionari che prelevarono i campioni e che eseguirono le analisi relative. La quota di partecipazione, però, non potrà superare in ogni caso e per ogni accertamento lire 50.000".

Il pretore ritiene che ad integrare il reato di interesse privato in atti di ufficio, di cui all'art. 324 del codice penale é sufficiente (a prescindere dall'effettivo conseguimento del profitto) la mera coincidenza di un interesse privato con quello pubblico. Questa coincidenza inficia l'operato degli agenti, che prelevano i campioni, e dei funzionari che procedono alle analisi, specie se si tiene conto che l'utile privato é condizionato, non già alle normali attività di tali organi della pubblica amministrazione, ma ad un determinato esito del giudizio penale, ossia alla condanna dell'imputato. Onde il dubbio se le testimonianze e gli atti di laboratorio possano, in giudizio, costituire materiale probatorio; dubbio che può essere escluso soltanto da una pronunzia della Corte costituzionale se la disciplina adottata dalla legge n. 322 del 1961 sia in contrasto oppur no, sul piano obiettivo, con il principio enunciato dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, per il quale i pubblici ufficiali sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione; e, sul piano soggettivo, con l'art. 98, primo comma, della Carta, per il quale i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

La stessa questione, in riferimento all'art. 97, primo comma, ed altresì in riferimento all'art. 3, primo comma, della Carta, é stata sollevata, con ordinanza 10 dicembre 1969, dal pretore di Campobasso nel corso di due procedimenti penali riuniti a carico di Tamburro Aldo, imputato del reato di cui agli artt. 1, 3 e 4 del r.d.l. 17 maggio 1938, n. 1177, in relazione agli artt. 32 e 61 della legge 15 ottobre 1925, n. 2033 e agli artt. 516-518 del codice penale.

Con la medesima ordinanza il pretore di Campobasso ha sollevato anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283, modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1963, n.441, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.

L'ordinanza rileva che ai sensi dell'art. 1 della legge n. 283 del 1962, modificato dall'art. 1 della legge n. 441 del 1963, l'autorità sanitaria può procedere, in qualunque momento, ed a mezzo di competenti organi ed uffici, ad ispezioni e prelievo di campioni negli stabilimenti ed esercizi pubblici, a sequestrare merci, fare eseguire analisi presso laboratori provinciali con conseguente denunzia al medico od al veterinario provinciale senza che sia possibile per l'imputato di esplicare, sia in sede di prelevamento, che in sede di analisi, le attività defensionali previste dal codice di procedura penale. Le norme impugnate violerebbero dunque sia l'art. 24 della Costituzione sia l'art. 3, primo comma, in quanto introducono una ingiustificata diversità di trattamento, sotto il profilo processuale penale, tra cittadini che producono sostanze alimentari e gli altri.

Nel giudizio davanti questa Corte, non vi é stata costituzione di parti; soltanto nel primo di essi, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

L'Avvocatura generale dello Stato rileva che il pretore ipotizza una distorsione dolosa della verità da parte dei verbalizzanti e degli analisti e ne deduce la impossibilità di decidere, prima che la Corte stabilisca se sussiste contrasto fra la norma impugnata e gli artt. 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione. Ma sotto questo profilo, la questione é inammissibile, in quanto la risoluzione di essa non é rilevante.

Nel merito la questione sarebbe infondata perché: 1) i verbalizzanti e gli analisti, nella specie, esplicano una attività vincolata, non discrezionale; 2) la somma data come premio sarebbe assai modesta in relazione alla severità delle pene pecuniarie, comminate per i trasgressori; 3) l'attività dei verbalizzanti e dei funzionari non é definitiva e determinante, ma soggiace al vaglio del magistrato, il quale può sempre disporre, di ufficio o su richiesta dell'imputato, una perizia per controllare la fondatezza tecnica dei risultati delle analisi sottopostigli.  

Considerato in diritto 

1. - Le due ordinanze di rimessione sollevano la stessa questione in riferimento agli artt. 97 e 98 della Costituzione. I due procedimenti pertanto possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - Secondo le ripetute ordinanze, il principio costituzionale per cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), sarebbe violato dall'articolo unico della legge 5 aprile 1961, n. 322, il quale dispone che metà dell'importo delle pene pecuniarie, pagate in applicazione delle disposizioni di legge per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, sia divisa in parti uguali fra gli agenti e funzionari che prelevarono i campioni e che eseguirono le analisi relative.

L'interesse privato inficerebbe l'operato di tali agenti e funzionari, tanto da far sorgere dubbi sulla efficacia probatoria sia delle relative testimonianze, sia dei risultati delle analisi.

Pertanto, l'ordinanza denunzia la violazione dell'art. 97 e dell'art. 98 della Costituzione, per il quale ultimo i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

3. - La questione é inammissibile. Infatti, il dubbio sulla imparzialità dei testimoni e degli analisti non verrebbe eliminato da una eventuale dichiarazione di illegittimità della norma impugnata, perché gli atti compiuti dai verbalizzanti e dai tecnici conserverebbero in ogni caso la loro efficacia. Invece, tale dubbio il giudice può escludere facendo ricorso a tutti i mezzi, che la legge gli offre, per controllare l'attendibilità della prova, e quindi definire il procedimento principale.

4. - L'altra questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n.283, modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1963, n. 441, sollevata dall'ordinanza del pretore di Campobasso, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, é stata già decisa dalla sentenza di questa Corte n. 149 del 1969.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

a) dichiara la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 5 aprile 1961, n. 322 (misura delle compartecipazioni alle pene pecuniarie per gli scopritori delle frodi nella preparazione e commercio dei prodotti agrari e delle sostanze di uso agrario), sollevata dalle ordinanze del pretore di Torino del 26 maggio 1969 e del pretore di Campobasso del 10 dicembre 1969, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 98, secondo comma, della Costituzione;

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242,243,247,250 e 262 t.u. delle leggi sanitarie, approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1963, n. 441, questione sollevata dalla suindicata ordinanza del pretore di Campobasso in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione e già decisa con la sentenza n. 149 del 27 novembre 1969.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 26 maggio 1971.