Sentenza n. 109 del 1971
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SENTENZA N. 109

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 17 agosto 1957, n. 843, nella parte che ha reso esecutivo in Italia l'art. 12 dell'Accordo italo-libico del 2 ottobre 1956, promosso con ordinanza emessa il 29 aprile 1969 dalla Corte d'appello di Catania nel procedimento civile vertente tra Giacomazzo Michele e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 278 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 200 del 6 agosto 1969.

Visti gli atti di costituzione di Michele Giacomazzo e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1971 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Benedetto Bussi, per il Giacomazzo, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Soprano, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Giacomazzo Michele, cittadino italiano dipendente di società telefoniche esercenti in Libia, era assicurato presso l'INPS e risiedeva nella ex colonia sin dal 1936.

Rimastovi anche dopo la fine della guerra e il passaggio di sovranità, vi risiedeva ancora alla data del 1 luglio 1957, sotto la quale, iniziando la sua attività l'INAS, ente libico di assicurazioni sociali, l'INPS, per effetto dell'Accordo italo-libico del 2 ottobre 1956 (reso esecutivo in Italia con legge 17 agosto 1957, n. 843), cessò la sua attività nel territorio e cedé all'INAS le posizioni assicurative dei cittadini italiani ancora colà residenti.

Nell'Accordo, e più specificatamente nella nota di pari data e nell'allegato contrassegnato con la lettera Q, mentre per i cittadini italiani, sempre a quella data residenti in Libia e che già fruivano di pensione dell'INPS, si stabiliva che il nuovo ente libico avrebbe dovuto praticare un trattamento non inferiore a quello in atto, per coloro invece che, come il Giacomazzo, non avevano ancora liquidata la loro posizione assicurativa, si stabiliva che essi avrebbero goduto "dei benefici previsti dalla nuova legge libica", che, alla data dell'Accordo non era stata ancora emanata.

Poiché il trattamento pensionistico determinato dalla legge libica é stato poi inferiore a quello praticato dall'INPS, il Giacomazzo, che asserisce avrebbe avuto diritto, in base alla legge italiana, a una pensione mensile di circa 50.000 lire, ebbe a riceverne dall'ente libico solo una pari a lire italiane 13.333 e cioè per un importo persino inferiore al minimo di pensione INPS.

Nel porre in certo modo rimedio alla condizione nella quale sono venuti a trovarsi i nostri concittadini in base all'intervenuto trasferimento delle loro posizioni assicurative all'ente libico, sono stati poi emanati dallo Stato italiano i due provvedimenti legislativi 12 agosto 1962, n. 1338, e 27 aprile 1968, n. 488, che hanno disposto in loro favore la concessione di un assegno integrativo sino all'ammontare delle nostre pensioni minime, pari a lire 18.000 mensili.

Il Giacomazzo, lamentando di essere stato danneggiato da tale situazione, ha convenuto in giudizio l'INPS avanti al tribunale di Siracusa per chiedere il pagamento di una integrazione mensile fra la somma che egli percepisce in Libia e l'ammontare della intera pensione che gli sarebbe spettata in Italia in base ai contributi versati.

Pervenuta la causa, in grado di appello, avanti la Corte di Catania, questa, con ordinanza 29 aprile 1969, ha sollevato questione di costituzionalità sull'art. 2 della legge 17 agosto 1957, n. 843 (che ha reso esecutivo in Italia l'art. 12 dell'Accordo con la Libia, concluso in Roma il 2 ottobre 1956 e la nota 2 ottobre 1956), nella parte che concerne il trasferimento all'Istituto libico delle assicurazioni sociali delle obbligazioni derivanti dalle posizioni assicurative acquisite nei confronti dell'INPS dai cittadini italiani residenti in Libia alla data del 1 luglio 1957.

Secondo l'ordinanza, tali clausole dell'Accordo avrebbero violato:

1) l'art.38, secondo comma, in collegamento con l'art. 2 della Costituzione, perché avrebbero trasferito la posizione assicurativa di cittadini italiani a un ente straniero, sottraendoli così alla normativa e alla tutela del nostro ordinamento giuridico, senza per altro pattuire l'obbligo per l'ente libico di corrispondere loro assegni di pensione non inferiori a quelli che 1'INPS pratica in Italia per i suoi assicurati, e rendendo in tal modo il loro trattamento inadeguato alle loro esigenze di vita;

2) l'art. 3, primo comma, della Costituzione, perché avrebbero usato ai cittadini italiani residenti ancora in Libia al 1luglio 1957 un trattamento differenziato e deteriore rispetto a quello usato ad i già rimpatriati a quella data, la cui posizione assicurativa non é stata ceduta.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituito il Giacomazzo il quale, con atto del 26 agosto 1969 e con successiva memoria, ha chiesto che venga dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma denunciata, deducendo sostanzialmente le stesse censure prospettate nell'ordinanza di rinvio.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo della Avvocatura generale dello Stato che, con deduzioni del 26 agosto 1969, ha chiesto che la Corte dichiari infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dalla Corte d'appello di Catania.

Dopo aver ricordato che l'Accordo stipulato tra l'Italia e il Regno di Libia il 2 ottobre 1956 costituisce l'adempimento di un obbligo assunto dallo Stato italiano con il Trattato di pace e l'attuazione di una Risoluzione delle Nazioni Unite del 15 dicembre 1950, l'Avvocatura osserva che tutte le disposizioni, comprese quelle impugnate, in esso contenute, hanno lo scopo di definire e disciplinare i complessi rapporti nascenti dal passaggio del territorio dalla sovranità dello Stato italiano a quella del Regno di Libia, anche in relazione ai cittadini italiani che hanno continuato a risiedere nei territori della ex colonia.

Si rileva in proposito che il trasferimento all'ente libico delle posizioni assicurative dei lavoratori italiani non é stato certo predisposto al fine di sottrarre quei lavoratori alla normativa assistenziale e previdenziale dello Stato italiano, per affidarli, senza la previsione di specifiche garanzie, alla tutela di uno Stato estero, ma costituisce il frutto di un'azione diplomatica diretta a tutelare proprio gli interessi dei cittadini italiani residenti in Libia, i quali, a causa del passaggio del territorio sotto la sovranità del Regno di Libia, non avrebbero potuto continuare ad essere assicurati con l'INPS.

Da questo punto di vista, secondo l'Avvocatura, dovrebbe essere ritenuta priva di fondamento la questione di legittimità dedotta nella ordinanza in esame.

In udienza le parti hanno ulteriormente illustrato le contrapposte tesi difensive.  

Considerato in diritto 

1. - Forma oggetto del presente giudizio la legge 17 agosto 1957, n. 843, che ha reso esecutivo in Italia l'Accordo italo - libico concluso in Roma il 2 ottobre 1956, nella parte in cui (art. 12 e nota del detto Accordo) ha disposto "il trasferimento all'Istituto libico di assicurazioni sociali delle obbligazioni derivanti dalle posizioni assicurative acquisite nei confronti dell'INPS dai cittadini italiani residenti in Libia alla data del 1 luglio 1957" sotto la quale quell'Istituto iniziò il suo funzionamento.

Secondo l'ordinanza di rimessione, le norme autorizzanti il trasferimento delle dette posizioni assicurative, rendendo possibile da parte dello Stato libico il pagamento ai cittadini italiani di assegni di pensione uguali a quelli concessi ai propri cittadini, anche se inferiori ai minimi praticati in Italia dall'INPS, avrebbero violato gli artt. 38, secondo comma, 2 e 3, primo comma, della Costituzione.

2. - Quanto alla censura concernente l'art. 38, secondo comma, si deduce più specificatamente nell'ordinanza che la violazione é posta in evidenza dal danno cagionato ai cittadini italiani che, a causa della cessione a un ente straniero delle loro posizioni assicurative, sono stati privati della normativa e della tutela dell'ordinamento nazionale, e sono stati così costretti a ricevere un trattamento pensionistico inferiore a quello cui avrebbero avuto diritto ed inadeguato alle loro esigenze di vita.

La questione non é fondata.

Si osserva in proposito che l'anzidetto trasferimento all'Ente libico delle posizioni assicurative dei cittadini italiani rimasti a risiedere e lavorare nella ex colonia, é stato determinato dalla impossibilità per lo Stato italiano di mantenere in funzione nella Libia, divenuta sin dal 1947, per effetto del Trattato di pace, uno Stato indipendente e sovrano, i nostri Enti di assicurazioni sociali, dopo che esso aveva creato un proprio organismo per assolvere quei compiti nei confronti di tutti i residenti nel suo territorio.

Dal che non conseguiva che le posizioni assicurative dei cittadini italiani esistenti presso l'INPS dovessero essere di necessità cedute, perché esse avrebbero potuto anche rimanere acquisite in Italia, ma senza possibilità di ulteriore accrescimento, in quanto i contributi successivi di coloro che restavano a lavorare in Libia dovevano affluire non più all'INPS, ma all'Ente assistenziale libico, a far tempo dalla data dell'inizio della sua attività.

Il che non sarebbe stato di certo vantaggioso per i lavoratori italiani; fra i quali una parte almeno, da presumersi preponderante perché costituita dagli appartenenti alle classi più giovani, non poteva avere acquisito presso l'INPS accreditamenti sufficienti ai fini del conseguimento dei benefici assicurativi e, perciò, traeva giovamento dalla unificazione della posizione assicurativa anteriore con quella che veniva a crearsi nel Paese di residenza.

D'altra parte, la clausola dell'Accordo che - recepita nella legge di esecuzione - ciò prevedeva, oltre ad aderire alla situazione determinatasi dal passaggio di sovranità, si ispirava alla legittima presunzione che i cittadini italiani rimasti a lavorare in Libia alla data del 1 luglio 1957, a distanza cioè di tanti anni da quando avevano perduto la qualità di cittadini risiedenti in colonia ed acquisita quella di lavoratori operanti in paese straniero, vi sarebbero restati a risiedere pure per l'avvenire, tenendo conto anche del fatto che molti di loro vi erano addirittura nati.

La detta clausola non presentava perciò alcun aspetto che contrastasse a principi di giustizia e di razionalità quanto al disposto trasferimento delle posizioni assicurative dei nostri concittadini all'Ente libico e alla conseguente loro perdita della tutela delle nostre leggi e delle nostre istituzioni.

É però avvenuto che la Libia, nelle sue leggi in materia di assicurazioni sociali, alla data dell'Accordo italo - libico non ancora emanate, abbia poi determinato l'ammontare degli assegni di pensione in misura notevolmente inferiore a quella praticata in Italia, sino al punto da attribuire a un lavoratore, che - come quello che ha promosso il giudizio a quo - avesse versato pressoché il massimo delle contribuzioni, una pensione inferiore di circa un terzo alla minima delle pensioni corrisposte in Italia.

In proposito la censura di violazione dell'art. 38, secondo comma, si appunta sulla mancata corresponsione ai cittadini italiani rimasti in Libia di un trattamento pensionistico idoneo a fornire ad essi "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita".

Ma la censura non ha fondamento perché non può essere riferito allo Stato italiano quanto successivamente intervenuto ad opera dello Stato libico dopo il trasferimento delle posizioni assicurative dei nostri connazionali all'Ente libico: infatti, per le ragioni avanti enunciate, quel trasferimento deve ritenersi legittimamente operato e la norma che l'ha disposto immune da censure sul piano costituzionale.

Né va taciuto che lo Stato italiano, successivamente all'intervenuta sistemazione delle loro posizioni assicurative, é venuto ancora incontro alle necessità dei nostri lavoratori di Libia, disponendo in loro favore, con i due provvedimenti legislativi n. 1338 del 1962 e n. 488 del 1968, l'integrazione delle loro pensioni sia pure sino alla misura minima di quelle italiane.

3. - Insieme con la violazione dell'art. 38, secondo comma, l'ordinanza deduce quella dell'art. 2 della Costituzione, ritenendo che il diritto a conseguire mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di invalidità e di vecchiaia rientri fra i diritti inviolabili dell'uomo.

La questione non é fondata.

A prescindere da ogni altra considerazione sulla classificabilità di un diritto, solo perché costituzionalmente garantito, fra i diritti inviolabili dell'uomo, fondandosi l'eccezione sugli stessi motivi dedotti a sostegno della censura che investe l'articolo 38, secondo comma, altro non occorre aggiungere per ritenerne la infondatezza.

4. - Viene infine dedotta nell'ordinanza la violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione perché le norme impugnate avrebbero usato ai cittadini italiani residenti in Libia al 1 luglio 1957 un trattamento diverso e deteriore rispetto a quello praticato ai già rimpatriati a quella data, rimasti assicurati con l'INPS e aventi perciò diritto ad assegni di pensione di importo maggiore.

Ma nemmeno questa censura può ritenersi fondata: la differenza di trattamento deriva da una circostanza di fatto che, come tale, non rileva in questa sede, dovendosi anche tener conto che la data discriminante non era assunta arbitrariamente, ma coincideva con quella dell'inizio del funzionamento dell'ente libico e con la cessazione dell'attività dei nostri organi assicurativi nel territorio.

5. - Ciò non impedisce alla Corte di auspicare, specie dopo gli ultimi forzati rimpatri di molti altri nostri concittadini dalla Libia, che la materia venga adeguatamente riesaminata nella competente sede legislativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 17 agosto 1957, n. 843, che ha reso esecutivo in Italia l'Accordo italo - libico concluso in Roma il 2 ottobre 1956, nella parte concernente l'art. 12 del detto Accordo, e l'annessa nota, questione sollevata dalla Corte di appello di Catania, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 38, secondo comma, 2 e 3, primo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 26 maggio 1971.