Sentenza n. 96 del 1971
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SENTENZA N. 96

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 151, terzo comma, del codice di procedura penale, promossi con quattro ordinanze emesse, rispettivamente, il 15 aprile 1969 dal tribunale di Marsala nel procedimento penale a carico di Tumbarello Giuseppe ed altro, il 19 maggio 1969 dalla Corte di cassazione - sezione quarta penale - nel procedimento penale a carico di Catenaccio Giacinto, il 14 ottobre 1969 dal pretore di Alessandria nel procedimento penale a carico di Carlessi Natale, ed il 16 settembre 1969 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Di Lauro Giuseppe; iscritte rispettivamente ai nn. 318, 375 e 432 del registro ordinanze 1969 ed al n. 145 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 243 del 24 settembre 1969, n. 280 del 5 novembre 1969, n. 324 del 24 dicembre 1969 e n. 136 del 3 giugno 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1971 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso di un procedimento penale in grado di appello, dinanzi al tribunale di Marsala - essendo risultato che l'imputato Giuseppe Tumbarello aveva proposto personalmente l'impugnazione senza nominare un difensore e, dopo che gli era stato notificato l'avviso di deposito della sentenza, aveva omesso di presentare i motivi - il tribunale, con ordinanza del 15 aprile 1969, riteneva rilevante e non manifestamente infondato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 151, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che l'avviso del suddetto deposito sia notificato al difensore che abbia proposto impugnazione o (rectius: e) a quello che sia designato dall'imputato nella dichiarazione relativa.

Nella motivazione dell'ordinanza, si precisa che la norma denunziata implicitamente esclude che analogo avviso sia notificato al difensore del dibattimento di primo grado che non abbia assunto alcuna delle due suddette qualifiche.

Sulla non manifesta infondatezza della questione, si osserva che tale difensore, pur avendo la facoltà di enunciare i motivi di un'impugnazione da lui non proposta (art. 201, primo comma, cod. proc. pen.), non ha diretta conoscenza né di tale impugnazione, né dell'avvenuto deposito della sentenza; e che, per quanto l'introduzione del giudizio di gravame sia dominata dal potere dispositivo del soggetto impugnante, la presentazione e la stessa formulazione dei motivi sarebbero lasciate all'iniziativa dell'imputato, in una fase processuale nella quale non é prevista la nomina di un difensore di ufficio, sebbene la difesa presenti un più accentuato carattere tecnico, per essere diretta alla censura di un provvedimento del giudice.

Da ciò deriverebbe, ad avviso del tribunale, la violazione del precetto costituzionale sull'inviolabilità della difesa, intesa come possibilità effettiva dell'assistenza tecnico-professionale e come diritto irrinunciabile e indisponibile.

La limitazione prevista nella disposizione denunziata non potrebbe, poi, essere configurata come un semplice adeguamento del diritto di difesa alle caratteristiche strutturali della fase di impugnazione. Infatti, l'imputato, normalmente sfornito di cognizioni tali da consentirgli di specificare i motivi di censura, che sono a pena di inammissibilità (art. 201, settimo comma, cod. proc. pen.), potrebbe ignorare anche l'onere di presentarli e, d'altro canto, il difensore del dibattimento, senza l'avviso di deposito, non sarebbe posto in grado di avere notizia né dell'impugnazione proposta, né del contenuto della sentenza.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione della parte privata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato il 26 giugno 1969, nel quale chiede che la questione sia dichiarata infondata.

Dopo aver accennato all'interpretazione giurisprudenziale del citato art. 151, nella sua originaria formulazione, nonché all'innovazione ad esso apportata con la legge di riforma del 18 giugno 1955, n. 517, l'Avvocatura deduce che il testo vigente pone in grado il difensore di redigere i motivi senza dover attendere dall'imputato la notizia dell'avvenuto deposito della sentenza, e che l'obbligo dell'avviso non sarebbe stato esteso al difensore del dibattimento che non abbia assunto alcuna delle qualifiche previste dalla disposizione denunziata, per la probabilità che egli sia stato dall'imputato sostituito. Aggiunge, infine, che anche il più idoneo sistema di garanzie fa pur sempre affidamento su di un minimo di diligenza, la cui omissione non può attribuirsi ad imperfezione della norma.

2. - Nel corso di un giudizio di impugnazione di un'ordinanza del pretore di Roma, che aveva dichiarato inammissibile, per mancata presentazione dei motivi, l'appello proposto contro una sentenza di condanna dall'imputato, il quale, nella relativa dichiarazione, non aveva nominato un difensore, la Corte di cassazione, con ordinanza del 19 maggio 1969, ha sollevato questione di legittimità, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dello stesso art. 151, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte che reca: "nel caso preveduto nel primo capoverso" e "nel caso preveduto dalla prima parte, al difensore che abbia proposto la impugnazione ed a quello che sia stato designato nella dichiarazione di impugnazione".

Secondo la Cassazione, la disposizione denunziata potrebbe risolversi in una menomazione del diritto di difesa, in quanto, nell'ipotesi in cui l'impugnazione sia proposta dal solo imputato che non abbia provveduto a nominare un difensore, verrebbe a mancare la possibilità di quell'assistenza tecnica che, integrando l'essenza del diritto di difesa, deve persistere in ogni stato e grado del procedimento.

Non vi é stata, in questa sede, costituzione di parte.

3. - Analoghe questioni di legittimità costituzionale del più volte citato art. 151, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che l'avviso di deposito della sentenza pronunziata in dibattimento sia notificato soltanto "al difensore che abbia proposto l'impugnazione e a quello che sia stato designato dall'imputato nella dichiarazione di impugnazione", sono state separatamente sollevate, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, con ordinanza del 14 ottobre 1969 dal pretore di Alessandria e del 16 ottobre 1969 dal pretore di Milano, nel corso di due incidenti di esecuzione di sentenza di condanna, il cui appello, proposto dal solo imputato, era stato dichiarato inammissibile, per omessa presentazione dei motivi di impugnazione, con ordinanze, per le quali non era stato notificato avviso di deposito al difensore nella fase di cognizione.

Neppure in tali giudizi innanzi a questa Corte vi é stata costituzione di parte.  

                                                                         Considerato in diritto        

1. - Il dubbio di legittimità costituzionale, avanzato con varie argomentazioni nelle diverse ordinanze, con riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, attiene all'articolo 151, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui statuisce che l'avvenuto deposito della sentenza pronunziata in seguito al dibattimento (art. 151, primo comma) viene notificato "alle parti private a cui spetta il diritto di impugnazione" (oltreché comunicato al pubblico ministero) e, inoltre, "al difensore che abbia proposto l'impugnazione e a quello che sia stato designato dall'imputato nella dichiarazione di impugnazione".

2. - La questione é fondata.

É da premettere che dalla sistematica del codice di diritto processuale penale (art. 125 e segg.) emerge il principio generale secondo cui il difensore non cessa dal mandato e dall'ufficio sino a quando non sia sostituito con altro difensore (di fiducia o d'ufficio): la revoca e la nomina del nuovo difensore non producono effetto se non comunicate all'autorità giudiziaria (art. 133, secondo comma, cod. proc. pen.); e il difensore di fiducia deve essere sostituito con il difensore d'ufficio tanto nel caso in cui, essendo stato revocato dall'imputato, da questo non venga sostituito con un altro, quanto nel caso in cui sia egli stesso ad abbandonare l'incarico.

Una puntuale applicazione di tale principio si ha nell'articolo 201, primo comma, cod. proc. pen., che, proprio per il coordinamento con la norma impugnata, abilita chi é stato difensore nel dibattimento a predisporre, sottoscrivere e presentare i motivi, pur se l'imputato, direttamente impugnante, non l'abbia designato nella dichiarazione di gravame (e, si ritiene, persino se nella dichiarazione sia stato designato altro difensore: invero, il nuovo difensore potrebbe non accettare il mandato).

3. - Detto ciò, se si scende all'esame diretto della questione, se ne scorge immediatamente la fondatezza.

Come é noto, l'avviso ha lo scopo di far decorrere il termine per la individuazione, la formulazione e la presentazione dei motivi, i quali debbono essere esposti specificamente, a pena di decadenza (art. 201, ultimo comma, cod. proc. pen.). Orbene, l'art. 151, terzo comma, cod. proc. pen., indicando ed elencando i soggetti a cui va fatta la notifica del deposito della sentenza dibattimentale, esclude tale notifica per il difensore nel dibattimento, che non abbia proposto l'impugnazione per conto della parte privata o che non sia stato, dalla parte direttamente impugnante, designato nella dichiarazione di gravame.

Sicché esso difensore, al quale l'avviso non va notificato, non ha conoscenza autonoma del proposto gravame né dell'avvenuto deposito della sentenza impugnata e perciò non v'é la sicurezza che sia messo in condizione di apprestare tempestivamente la difesa. Il che contrasta col criterio, più volte affermato dalla Corte, per cui l'art. 24, secondo comma, della Costituzione contiene un'effettiva garanzia del diritto della parte (e specialmente dell'imputato) all'assistenza tecnica in ogni stato e grado del procedimento e, correlativamente, del diritto del difensore a svolgere l'attività necessaria per l'espletamento del mandato affidatogli (vedi, da ultimo, sentenza n. 62/1971).

L'illegittimità costituzionale deriva, dunque, da ciò: che - nel momento forse più delicato del procedimento e in una fase costitutiva del gravame in cui le ottemperanze, a pena di decadenza e di conseguente inammissibilità (artt. 201, ultimo comma, 207, primo comma, e 209, primo comma, cod. proc. pen.), sono ristrette entro termini assai angusti di tempo - l'interessato può trovarsi privo dell'assistenza del difensore professionale; il che é illogico, fra l'altro, se si pensa che chi sia stato difensore nel giudizio a quo può presentare i motivi di gravame (sopra, n. 2).

4. - Devono essere disattese le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato - secondo la quale vigilantibus iura succurrunt - poiché l'imputato e le altre parti private possono non essere in grado di conoscere o comprendere le esigenze essenziali del processo penale e, in particolare, la necessità della tempestiva redazione dei motivi con l'eventuale ausilio del difensore.

Al rilievo della stessa Avvocatura che il difensore può presentare i motivi senza attendere la comunicazione della parte, é agevole replicare che egli, come si é già accennato, non é in grado di predisporli, se ignora persino che il deposito é avvenuto, né di redigerli, se non ha diretta conoscenza della sentenza e di quant'altro vi attiene (vedi art. 201, terzo comma, cod. proc. pen.), dato che essi concernono la motivazione. E non é vero che la mancata conferma del precedente difensore autorizzi a dedurre che la parte intenda sostituirlo: infatti, la nuova nomina va effettuata con atto ricevuto dall'autorità giudiziaria, o ad essa presentato, ovvero con dichiarazione resa, anche per lettera, alla cancelleria o segreteria (art. 134 cod. proc. pen.) o, quando si tratta di detenuto, con dichiarazione ricevuta presso lo stabilimento carcerario (art. 80 cod. proc. pen.); e sino a che uno di questi atti non esista, resta difensore chi lo é stato in precedenza.

Ad ogni modo, quel che occorre é la sicurezza di una difesa tecnica subito dopo la dichiarazione di gravame, sicurezza che la norma impugnata non dà. A tacere, poi, del caso particolare in cui l'imputato non sia in grado o possa non essere in grado di provvedere alla difesa, allorché, essendo minorenne o altrimenti incapace, il genitore o il tutore impugnante (persona diversa da lui) non abbia designato il nuovo difensore.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 151, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che l'avviso di deposito della sentenza pronunziata in seguito a dibattimento sia notificato anche al difensore nel dibattimento.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria l'11 maggio 1971.